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Elezioni europee: se non le racconti bene, come faccio a votare?

Si avvicina l'appuntamento elettorale dell'8 e del 9 giugno. Ma quale consapevolezza c'è nell'elettorato sull'importanza della partecipazione? Come possiamo rendere più vicine le questioni dell'Europa in occasione del voto?

4 minuti di lettura

Molto spesso, l’affluenza al voto e il modo in cui viene raccontata un’elezione sono collegati da un filo comune fatto di parole e narrazione. A una centralità della politica nazionale fanno da contorno le peculiarità dei singoli territori, guidati da logiche singolari e diversificate, e la narrazione vaga di quanto accade in Europa.

A guardare bene, però, a livello territoriale ci sono logiche e rapporti di forza che danno connotazioni specifiche alla politica territoriale, mentre, quando si parla di politica europea, la narrazione fumosa contrasta con il fatto che buona parte di ciò che riguarda la politica degli Stati membri ha una base fortemente ancorata a Bruxelles.

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L’Unione doganale, le norme in materia di concorrenza, la politica monetaria, la politica commerciale comune e la conservazione delle risorse biologiche del mare, sono tutte competenze esclusive dell’Unione Europea, ex art 3 TFUE. Allo stesso tempo, tra le competenze concorrenti su cui possono legiferare sia l’Unione che gli Stati membri, rientrano ambiti come il mercato interno e la coesione, le politiche sociali, trasporti ed energia, la cooperazione allo sviluppo, l’agricoltura e la pesca, la sanità e la ricerca (art. 4 TFUE).

La progressiva integrazione, per i più ottimisti, porterà al totale superamento del concetto di sovranità nazionale, giungendo all’europeizzazione delle politiche che bypassa i limiti strutturali del sistema di decisione intergovernativo. D’altro canto, per il mondo conservatore e sovranista, tale ipotesi viene vista come un rischio e una minaccia per il presente e il futuro dei singoli Stati. A un certo punto della storia, ci spiegheranno come può un singolo Stato membro competere con potenze economiche e politiche come gli Stati Uniti o la Cina, ma questa è un’altra storia…

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Errori di comunicazione o errori di politica?

Quando si parla di Europa ed elezioni europee, la comunicazione politica e l’informazione rischiano da sempre di spostare l’attenzione su tematiche e temi di carattere nazionale. Da un lato, perché meglio conosciuti dall’uditorio, dall’altro, perché si preferisce sfruttare l’onda lunga della polarizzazione che si crea nel tempo sui temi nazionali.

Una delle tecniche più utilizzate è quella dell’“Europa Matrigna” che chiede sacrifici, che mette a rischio il cibo, il futuro, i nostri figli, le nostre tasche, ecc. Vedere l’Europa come “altra” rispetto a noi e al nostro Paese consente di giocare meglio la partita della propaganda, sebbene l’Italia, essendo uno dei Paesi più popolosi, sia tra gli Stati maggiormente rappresentati. Ne consegue che l’Italia contribuisce, influisce e decide.

Il principale rischio è quello di non avere temi tangibili, tipici delle elezioni “più vicine ai cittadini”, e di non fare un’adeguata informazione sul contesto europeo, sui temi discussi e sull’impatto che questi hanno sulla vita dei cittadini e delle cittadine europei. Ne conseguono una scarsa conoscenza e un forte rischio che i voti vengano dati per schieramento fatto a priori, senza capire cosa i propri rappresentanti faranno in Europa.

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Un elettorato non coinvolto non vota

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso del discorso di fine anno, ha reputato necessario affermare che «Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia, qualcosa di importante, con i nostri valori e la solidarietà di cui siamo capaci, con la partecipazione attiva alla vita civile, a partire dall’esercizio del diritto di voto», affermando che la democrazia è fatta di esercizio di libertà. A questo è opportuno aggiungere che all’Art. 48 della Costituzione si definisce il voto come personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Il problema è che questo voto, questa affermazione di democrazia, viene sempre meno esercitato.

Nelle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia dell’anno scorso, si sono recati alle urne rispettivamente il 37,2% e il 41,6% degli aventi diritto. Punta massima a Roma con il 33,11%, dato ancora più significativo se si considera che alle precedenti Regionali del 2018 andò alle urne il 63,11% degli aventi diritto.

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Avvicinandoci all’appuntamento europeo, le elezioni regionali in Sardegna, vinte da Alessandra Todde (nome comune espresso da M5S, PD e AVS), hanno visto la partecipazione del 52,4 % degli aventi diritto al voto. In Abruzzo, alle regionali che hanno portato alla vittoria del candidato di centrodestra Marco Marsilio, l’affluenza si è fermata al 52,2%.

Il dato delle elezioni regionali è significativo in quanto considerato “vicino ai cittadini”, così come le elezioni amministrative. Discorso diverso va fatto per le elezioni europee, il cui appeal è nettamente inferiore, in parte per la storia delle elezioni europee nel nostro Paese, e in parte per una mancata conoscenza delle tematiche trattate in Europa. Non è un caso che alle ultime elezioni europee, nel 2019, l’affluenza fosse già al 55%, percentuale non dissimile all’affluenza del 2014, attestatasi a circa il 57% degli aventi diritto al voto.

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Ci sono problemi, ma possiamo pensare a qualche soluzione?

Proviamo a fare un piccolo esercizio: troviamo soluzioni semplici a tutte queste criticità.

Per rispondere all’assenza di conoscenza dell’Unione Europea, l’unica soluzione è costruire occasioni di formazione politica e civica che mostrino l’UE non come un bancomat, ma come il miglior risultato che la cooperazione e la democrazia abbiano mai prodotto. È migliorabile, ma chi dovrebbe farlo se non tutti e tutte noi? Solo in questo modo possono crearsi le condizioni per pretendere una politica e un’informazione migliore.

Per evitare che per parlare di Europa si usino solo parametri e argomentazioni nazionali, bisogna pensare che la politica europea non è un riflesso di quella nazionale, ma segue logiche diverse e autonome che vanno capite e spiegate.

Infine, vogliamo essere rappresentati meglio in Europa? Partiamo dal pretendere che la discussione sulle elezioni non si limiti ai due mesi prima delle elezioni e che le singole candidature, a prescindere dallo schieramento, siano basate su competenza, conoscenza politica e concretezza.

Possiamo realmente abbandonarci a questa situazione? L’8 e il 9 giugno abbiamo l’occasione di creare un’Europa migliore che contribuisca a creare un futuro migliore. Perché non farne parte?

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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!

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