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Eroi e cattivi: «Jeeg Robot» e il fascino dell’imperfezione

«Ha le carte in regola per essere un film di supereroi, per una volta senza bisogno del sigillo di garanzia Marvel.» Qual è la trama del nuovo capolavoro del regista romano?

8 minuti di lettura

Ogni eroe per essere tale ha bisogno di tre cose: una città in pericolo, una fanciulla da salvare, un cattivo pronto a mettergli i bastoni tra le ruote. Lo chiamavano Jeeg Robot ha tutto questo e quindi ha le carte in regola per essere un film di supereroi, per una volta senza bisogno del sigillo di garanzia Marvel. Ma, a sorpresa, alla fine del film scopriamo che quasi quasi avremmo preferito che vincesse il cattivo.

jeeg robot

Il film firmato da Gabriele Mainetti è un successo annunciato: già prima del suo approdo nelle sale italiane si sapeva che avrebbe fatto parlare di sé e in modo decisamente positivo. La conferma è poi arrivata dal successo di pubblico, dagli incassi da record e da ben sette riconoscimenti ai David di Donatello (tra cui migliori attore e attrice protagonista, miglior attore non protagonista e miglior regista esordiente). Non poteva che essere così: Lo chiamavano Jeeg Robot funziona su tutti i fronti e, alla sceneggiatura perfetta, che non scade mai nel noioso o nel già visto, si accompagnano attori che danno anima ai loro personaggi. Ed è un’anima del tutto romana; anzi, italiana.

Il tratteggio dell’eroe è splendido e riuscitissimo. Enzo Ciccotti (Claudio Santamaria) è un Hiroshi Shiba in sovrappeso, ghiotto di budini alla vaniglia e di film porno. Ed è un ladruncolo di strada, uno di quelli che ruba per tirare avanti nel suo squallido appartamento a Tor Bella Monaca, la periferia più dimenticata di Roma. Cosa può fare un personaggio del genere quando scopre di avere dei superpoteri, ereditati da un bagno in una sostanza nerastra scaricata illegalmente nel Tevere? Ovviamente quello che sa fare meglio: ruba. D’altra parte, come suo primo atto da Spider Man, Peter Parker partecipa a un incontro di wrestling clandestino per guadagnare soldi; non siamo molto lontani da Enzo e i suoi budini alla vaniglia. Ci vuole l’intervento di qualcuno con le idee chiare su cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Questo qualcuno è Alessia (Ilenia Pastorelli), dolce e ingenua figlia di un amico di Enzo. Convinta di vivere nel mondo di Jeeg Robot d’acciaio, Alessia insegna a «Hiro», con ingenuità ma anche con energia, come usare al meglio i suoi poteri. E da qui la strada verso l’eroismo è tutta in discesa: Enzo inciampa ogni tanto, è investito da un dolore che quasi lo vince definitivamente, ma in fondo sa cosa deve fare. Capire come si diventa eroi non è difficile; il difficile è diventarlo.

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Per i cattivi, invece, è tutta un’altra storia. Fare il cattivo non è complicato: basta fare tutto quello che l’eroe non farebbe mai. Ma per essere un villain un minimo credibile ci vuole un motivo ed è questa la parte più impegnativa nel tratteggio dell’antieroe. Ci sono cattivi che agiscono per odio verso l’eroe o verso l’umanità intera o una sua parte; ci sono cattivi che cercano la ricchezza o il potere, altri che cercano vendetta. Alcuni sono cattivi per il gusto di esserlo, ma in genere in questo caso ci si prende il disturbo di renderli completamente pazzi. Lo Zingaro, la nemesi di Enzo, è tutto questo e anche di più.

Fabio Cannizzaro, interpretato da uno straordinario Luca Marinelli, è il capo di una banda criminale composta da ladruncoli senza troppe ambizioni, che si accontentano di qualche rapina ben fatta e di un pò di denaro facile. Lo Zingaro, invece, punta a entrare nel giro più grosso delle vere organizzazioni mafiose, quelle che dominano non solo Roma, ma tutta la nazione. La sua parabola si sviluppa in parallelo a quella di Enzo e giunge a incrociarla quando Fabio scopre l’identità dell’uomo d’acciaio in grado di divellere la cassa di un bancomat e aprire un furgone portavalori come fosse una scatola di cartone. E così anche lui si apre alla conoscenza del pubblico, che scopre in lui un personaggio ambiguo e affascinante.

Nella prima scena che lo vede protagonista Fabio – parlata romanaccia, borse sotto gli occhi e ghigno malefico stampato sul viso – se la prende con uno dei suoi «ragazzi», colpevole di aver rubato per lui un iPhone bianco quando lui lo aveva espressamente richiesto nero. E noi già sorridiamo e proviamo simpatia per questo ragazzo di provincia che si crede un boss, ma che in fondo è solo un bambino un pò viziato. Se non fosse che, nei successivi cinque minuti, scopriamo che questa simpatica canaglia è in grado di ammazzare a sangue freddo e in modo decisamente brutale. Spietato come solo un villain può essere, lo Zingaro si fa davvero pochi scrupoli ad eliminare chiunque intralci la sua strada lastricata di ambizioni. Non a caso alcune delle scene che lo vedono come protagonista danno un sapore decisamente pulp a tutto il film, dove non si risparmiano sangue e urla.

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Ma nel corso del film scopriamo anche un Fabio che, dopo ogni delitto, si lava convulsamente le mani – e la coscienza – con il disinfettante; che piange disperato di fronte alla possibilità della morte; che canta con voce straordinaria Un’emozione da poco di Anna Oxa. E solo dopo che abbiamo imparato a conoscerlo lo Zingaro rivela la sua vera ambizione. Non sono il rispetto o la ricchezza in sé, quanto piuttosto la fama. Odia Enzo perché gli ha portato via la sua occasione di emergere, ma più di tutto lo invidia e vorrebbe quello che ha lui: i poteri e la notorietà; una notorietà che Fabio misura con il numero di visualizzazioni su YouTube. È in questo modo che la realtà, la nostra realtà di tutti i giorni, irrompe in modo prepotente e inaspettato nel mondo dei supereroi. Non cerchiamo forse anche noi i like di Facebook o i retweet di Twitter?

La maestria di Mainetti è stata quella di creare un villain talmente credibile da sembrare reale, a cui Marinelli ha saputo dare corpo e anima, al punto da renderlo quasi più protagonista del protagonista stesso. Un film che propone un supereroe dai buoni sentimenti ma non stucchevole è un film riuscito; uno che propone un cattivo in grado di affascinare con quei difetti che sono anche i nostri è un capolavoro.

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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