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L’Espressionismo tra arte e cinema: «Il Gabinetto del dottor Caligari»

Il capolavoro di Robert Weine è una delle manifestazioni più inquietanti e iconiche dell'Espressionismo tedesco, che unisce messa in scena e arte attoriale con l'arte pittorica.

2 minuti di lettura

Film diretto nel 1920 da Robert Wiene (Breslavia, 27 aprile 1873 – Parigi, 17 luglio 1938), Il Gabinetto del dottor Caligari è uno dei film più iconici del periodo del muto. È considerato, insieme a Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau (Bielefeld, 28 dicembre 1888 – Santa Barbara, 11 marzo 1931) del 1922, uno dei maggiori esempi del cinema espressionista e uno dei capostipiti del cinema horror.

Oltre ad essere estremamente innovativo dal punto di vista del linguaggio cinematografico, Il Gabinetto del dottor Caligari è un esempio di come una corrente artistica nata al di fuori del cinema – in questo caso l’Espressionismo – possa influenzare la messa in scena fondendosi totalmente con la diegesi di un film.

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La trama de «Il Gabinetto del dottor Caligari»

Il film è diviso in sei atti: la narrazione ha una forte dimensione onirico-allucinatoria che spaesa lo spettatore e rende difficile capire cosa sia reale o meno.

Il primo atto si apre in un giardino dove Francis, il protagonista, comincia a raccontare una storia che viene poi mostrata in analessi nei seguenti atti. L’intera narrazione è ambientata alla fiera Holstenwall, in Germania, dove il dottor Caligari, un uomo dalle strane fattezze e dall’indole misteriosa, si serve del sonnambulo Cesare per predire il futuro.

La trama si infittisce quando Cesare comincia a profetizzare omicidi che poi effettivamente avvengono.

Francis, insospettito da tale coincidenza, comincia ad investigare e smaschera il dottor Caligari. Il presunto illusionista è in realtà il direttore di un manicomio e che il sonnambulo Cesare altro non è che un suo paziente.

Il finale del film rimane tuttavia aperto e ingarbugliato perché si scopre che lo stesso Francis è internato nel manicomio e che sta riportando quella che sembrerebbe essere un’allucinazione: tutto ciò che ha raccontato è dunque realtà o finzione?

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La messa in scena

Il film è noto per la particolarità della scenografia realizzata da Walter Reimann, Walter Röhrig e Hermann Warm. Interamente costruita ad hoc in studio, è caratterizzata da ambienti e oggetti volutamente distorti e surreali: la prospettiva è completamente manipolata, le immagini tendono spesso alla bidimensionalità (incrementata dalle lunghe riprese fisse in campo medio o lungo) e la rappresentazione nel complesso genera una forte sensazione claustrofobica.

Anche il contrasto chiaroscurale dato dal continuo alternarsi di luce e ombra conferisce all’ambientazione una atmosfera cupa, oscura e decadente.

La recitazione è esageratamente espressiva, i movimenti degli attori vengono enfatizzati e i volti sono straniati anche grazie all’utilizzo di un trucco che sembra ispirarsi direttamente alle tele di Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 6 maggio 1880 – Davos, 15 giugno 1938), pittore tra i maggiori esponenti dell’Espressionismo.

Cesare (Conrad Veidt), Il Gabinetto del dottor Caligari
Autoritratto, Ernst Ludwig Kirchner, 1914

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Le modalità della messa in scena sottolineano la dimensione psicologica e sognante-allucinatoria del film: Robert Wiene, come tutti gli artisti dell’Espressionismo tedesco, risentì fortemente del contesto storico in cui operò. Negli anni Venti la Germania, in seguito alla Prima Guerra Mondiale, stava affrontando da sconfitta grandi cambiamenti: gli esponenti dell’avanguardia espressionista risposero alle turbolenze sociali e politiche dell’epoca riportando su tela – o pellicola – una realtà filtrata dall’occhio emotivo della soggettività, restituendo così allo spettatore un mondo distorto e irrealistico.

Il regista

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, Robert Wiene è stato uno dei più influenti esponenti del cinema dell’espressionismo tedesco. Oltre a Il Gabinetto del dottor Caligari ha diretto anche altre brillanti pellicole come Raskolnikow nel 1923 e Der Rosenkavalier nel 1925.

La sua carriera fu fortemente influenzata dalla dittatura nazista: fu costretto alla fuga prima a Londra e poi Parigi dove morì nel 1938 durante le riprese di Ultimatum.

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Antonia Cattozzo

Appassionata di qualsiasi forma d'arte deve ancora trovare il suo posto nel mondo, nel frattempo scrive per riordinare i pensieri e comunicare quello che ciò che ha intorno le suscita.

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