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Francia ottocento adolescenti

Essere adolescenti nella Francia ottocentesca: “educazione” affettiva e forse sessuale

La società francese ottocentesca era rigidamente regolata, soprattutto nella condotta amorosa e sessuale. Come vivevano gli adolescenti di quel tempo?

13 minuti di lettura

Gran secolo l’Ottocento. C’è il caos della rivoluzione che combatte a viso aperto i reazionari ancora aggrappati al modello che fu l’Antico Regime. C’è l’odore della polvere da sparo nelle strade, tra le barricate. C’è fermento di idee perché chi ragiona (e non solo) sta capendo che si può decidere il destino del mondo. Il fatto è che dopo la Restaurazione – quel fenomeno per cui i regni europei provarono a nascondere sotto al tappeto le idee rivoluzionarie portate in giro dai soldati di Napoleone – moltissimi esponenti di nobiltà e alta borghesia (che ormai nulla avevano a differenziarli se non un titolo) provarono a tirare dritto e fare come se nulla fosse successo. Nei palazzi continuarono balli, ricevimenti e intrighi, come se là fuori stesse continuando tutto come prima.

Essere adolescenti in una ricca famiglia della Francia ottocentesca ci sembra senza dubbio invidiabile in un mondo incantato e perfetto, con abiti stupendi sempre a disposizione, la spensieratezza garantita dal fatto che in caso ci si fosse cacciati nei guai ci sarebbe sempre stato qualcuno più indifeso di noi a prendersi la colpa.  Il prezzo da pagare era quasi sempre una vita già decisa dalle famiglie sulle basi di codici sociali irrigiditisi proprio perché le classi sociali elevate stavano chiudendosi a riccio per difendere i propri privilegi e non farli disperdere nel vento dell’uguaglianza – qualcuno lo avrebbe chiamato “spettro” già nel 1848 – che spirava ormai da tutte le direzioni.
I giovani di entrambi i sessi crescevano in realtà ovattate e artificiose, in cui anche i passaggi dell’adolescenza, che oggi in molti abbiamo avuto la fortuna di vivere secondo i nostri ritmi, erano regolarmente scanditi. La condotta amorosa e sessuale era regolata, naturalmente in modi diversi a seconda del genere a causa del differente fardello messo sulle spalle ai ragazzi e alle ragazze. L’adolescenza è da sempre il momento della rottura con la famiglia di provenienza, quello in cui fisiologicamente e socialmente ci si prepara a crearne un’altra e a essere indipendenti, e nell’Ottocento questo trovò una declinazione particolare; era una società che distingueva nettamente l’ambito privato e quello pubblico: anche l’educazione sessuale, come quella affettiva, arrivava dalle chiacchierate con amici e amiche più esperti, e talvolta dai parenti stretti, in forme più o meno accurate di saggezza popolare. La Chiesa e la superstizione in molti casi mantenevano una presa ancora forte sulle coscienze, nonostante la costante tendenza positivista di fine secolo, con una progressiva fiducia (sempre più cieca) nella scienza.

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Nella Francia del XIX secolo la fine dell’infanzia era collocata intorno agli undici anni per i maschi delle famiglie nobili e borghesi; a quell’età abbandonavano infatti la casa di famiglia e l’educazione dei precettori “a domicilio” per andare a vivere e studiare nei collége. Qui proseguivano gli studi in ambito giuridico o militare, destinati a seguire le gloriose orme di famiglia.
I confini dell’adolescenza e dell’età adulta erano vaghi per i maschi, non corrispondevano a precisi segnali del corpo o a riti di passaggio ben precisi; il collége diventava dunque il luogo dell’emancipazione dalla famiglia, della nascita di amicizie che sarebbero durate per tutta la vita, dell’alimentazione del cameratismo tra ragazzi che era considerato uno dei collanti della società. Anche negli istituti più severi capitava di chiudere un occhio davanti alle trasgressioni perché dopotutto si trattava di ragazzi che avevano voglia di divertirsi («boys will be boys» direbbe qualcuno), con buona pace delle controparti femminili di cui parleremo tra poco; e se da una parte non ci sorprende vedere che la masturbazione maschile rimaneva fortemente condannata – in quanto spreco di seme e causa di indebolimento fisico – il rapporto sessuale non generava scandali giganteschi, proprio perché considerati sfogo dello spirito giovanile, un piacere irresistibile; nella visione della società era scontato che gli uomini avessero una conoscenza del sesso maggiore rispetto alle donne e che arrivassero al matrimonio “preparati”.
Nei collége, come accennato, si trovavano le amicizie della gioventù, naturalmente nello stesso pool sociale di appartenenza, che in molti casi sarebbero continuate per la vita e sarebbero state la base della propria rete di contatti. Non mancavano i momenti di iniziazione, le sfide, le trasgressioni, le fughe, i riti di passaggio che, spalmati nel giro di alcuni anni, avrebbero trasformato il preadolescente in un giovane rampante.
Intorno ai ventidue anni arrivava il momento di debuttare in società in maniera ufficiale e cominciare a guardarsi intorno in cerca di una fidanzata (sempre che la famiglia non avesse già concordato un’unione), ma senza mai mettere fretta al giovane che spesso continuava a muoversi quasi indisturbato nell’esplorazione della socialità.

Primo elemento della differenziazione per le ragazze era il fatto che a segnalare l’inizio dell’adolescenza in quel mondo fosse il menarca, la prima mestruazione, un evento fisico e chiaramente riconoscibile, caricato di significati opprimenti dalla notte dei tempi. Da quel momento cominciava un percorso verso la trasformazione in perfette e remissive esponenti dell’alta società, che includeva il matrimonio, la procreazione e il sapersene stare accanto a un uomo in silenzio.
L’adolescenza di una ragazza trascorreva talvolta nella casa in cui era cresciuta, ma più spesso presso parenti, amici di famiglia o conoscenti per imparare a muoversi nel mondo degli adulti grazie all’esempio delle donne già presenti; non era raro nemmeno ritrovarsi inserite in un convento, in cui sarebbe comunque proseguita l’educazione. In questi luoghi l’entità del controllo esterno era soggettivo e dipendente dall’inclinazione di chi si occupava della fanciulla, ma la tendenza generale restava quella di imporre dei limiti ben chiari che le impedissero di essere contaminata dai mali della società.
Sul piano della sessualità, sorprende vedere che la masturbazione per le ragazze, e poi per le donne, non era sempre ossessivamente condannata (in modo naturalmente slegato dall’ambito del piacere personale); soprattutto dalla metà del secolo in avanti sempre più medici consigliavano attività di stimolazione di vario genere per l’area genitale, ad esempio l’equitazione, con l’idea di rafforzare l’utero in vista delle gravidanze. Poi, e questo è più noto, la masturbazione iniziò a essere considerata come la migliore cura per listeria (termine-ombrello usato per secoli dalla medicina e poi dalla psichiatria per qualificare sintomi più o meno patologici o addirittura stili di vita femminili).
Entro i vent’anni arrivava il momento del debutto in società e dei corteggiamenti: era importante riuscire a sposarsi prima dei venticinque anni per non iniziare a essere qualificata come vieille fille, una vecchia ragazza. Insomma, se per i ragazzi crescere significava emanciparsi – passando dalla famiglia al collége alle libertà della vita giovanile –, per le ragazze si trattava di una costante situazione di controllo esterno; sposarsi in molti casi consisteva semplicemente passare dall’oppressione familiare a quella del marito.

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La fine dell’adolescenza per maschi e femmine corrispondeva quindi all’incontro ufficiale con l’altro genere, declinato in chiave formale e rituale, e in quanto tale piuttosto regolamentato. Gli incontri tra ragazzi e ragazze avvenivano in luoghi variegati: i salotti prima di tutto, quelli più classici, in cui si stringeva la maggior parte degli accordi matrimoniali, poi i parchi (si stampavano addirittura delle guide con i migliori parchi in cui tentare un approccio) e le sale da ballo; flirtare per strada restava una faccenda piuttosto sconveniente, poiché il confine con la prostituzione in quel caso era labile, a meno che non ci si trovasse in situazioni decisamente non equivoche. Fare le cose per bene, tra uomini e donne, significava mantenere ben chiari i confini e far sì che nulla di scandaloso accadesse tra due promessi sposi, tentativo che ovviamente sfociava spesso in ovvie ipocrisie e negazioni dell’evidenza: l’incontro tra i sessi era in tanti casi già avvenuto quando si arrivava a debuttare in società, ma era cura e interesse della famiglia fare sì che non si sapesse o che non se ne parlasse.
Destava per esempio scalpore per i viaggiatori francesi vedere che in alcuni luoghi, come i Paesi Bassi, i giovani che si erano dichiarati all’amata potevano già frequentarsi con lei prima del matrimonio, addirittura in assenza di testimoni e senza che i genitori di lei o i conoscenti si scandalizzassero.

L’Europa dell’Ottocento restava quindi, salvo poche eccezioni, un luogo di controllo sugli affetti che in tanti casi vediamo ancora oggi, ma in modo sistematico e socialmente approvato; era effettivamente parte della ritualità di un ceto che in questo modo tentava di proteggere i suoi privilegi da una richiesta di cambiamento che veniva dal basso – e in tanti casi addirittura dall’interno. La socialità è inevitabilmente regolata in ogni società, è uno dei prezzi da pagare per stare insieme, ma riflettere sulle modalità ci dice moltissimo di uomini e donne dell’epoca, sulle loro normalissime, straordinarie vite. L’Ottocento è stato un secolo denso e affascinante, in cui l’individuo cominciava a emergere e a costruire le nuove illusioni di un’epoca nuova. Sogni, fantasie e nuove idee che trovavano forma, come sempre, nel modo in cui i giovani crescevano.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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