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I flussi di migranti, oltre la campagna elettorale

Soffia aria di campagna elettorale nell’agosto più caldo da decenni nel Belpaese. E il tema dei migranti torna alla ribalta. Ma qual è la reale situazione?

13 minuti di lettura

Soffia aria di campagna elettorale nell’agosto più caldo da decenni nel Belpaese e il tema dei migranti torna alla ribalta, dopo due anni di pandemia in cui pareva essere passato in sordina. Di fronte a un potenziale tsunami elettorale, serve un po’ di chiarezza per restare a galla in questo mare di propaganda.

Migranti in arrivo nel 2022

I dati parlano di un aumento dei flussi in entrata nel 2022 rispetto agli anni precedenti: si contano circa 50mila arrivi tra il 1 gennaio e il 22 agosto 2022 contro i 67mila lungo tutto il corso del 2021, i 34mila durante il 2020 e gli 11mila nel 2019. I dati in realtà non sono affatto preoccupanti, come sottolineano associazioni e centri di ricerca del settore tra cui Openpolis. Infatti, le cifre che tra il 2015 e il 2017 hanno posto la “crisi dei rifugiati” come una delle priorità delle politiche italiane ed europee rientravano tra i 110mila e i 180mila arrivi l’anno, numeri lontani da quelli attuali.

L’hotspot di Lampedusa e l’inefficienza del sistema

In queste settimane è il caso dell’hotspot di Lampedusa ad attrarre l’attenzione mediatica e politica: la struttura ha una capienza stimata di 350 persone ed è arrivata a doverne accogliere 1800. Centinaia di uomini, donne e bambini si sono ritrovati in condizioni disumane, con servizi igienici insufficienti, sovraffollamento, evidente impossibilità di ricevere prima assistenza sanitaria e foto-segnalamento. Il Ministero degli Interni è intervenuto a fine luglio, quando la situazione sembrava definitivamente al collasso, organizzando un piano di trasferimento dei migranti principalmente a Porto Empedocle. In questo comune siciliano a maggio di quest’anno era stata inaugurata una nuova struttura sul porto preposta alla prima accoglienza e al transito di migranti.

Le associazioni che si occupano di ricerca e assistenza ai rifugiati sottolineano come il caso dell’hotspot di Lampedusa non rappresenti una situazione emergenziale in termini di numero di arrivi. Il sistema di accoglienza in generale infatti non è sotto sforzo, ma ancora strutturalmente disorganizzato e inefficiente dopo otto anni alle prese con la gestione del fenomeno migratorio attraverso il Mediterraneo.

La strategia fino ad ora: respingimenti ed esternalizzazione delle frontiere

Del resto la volontà politica di strutturare un sistema efficace è spesso mancata: respingimenti, esternalizzazione delle frontiere, riduzione dei canali legali di accesso in Italia e gestione emergenziale del fenomeno da tempo prevalgono. Se l’accanimento a fini elettorali contro i migranti è una caratteristica dei discorsi propagandistici di centro-destra, di fatto l’atteggiamento di chiusura e respingimento adottato dall’Italia, in primis con l’esternalizzazione delle frontiere che ha provocato enormi violazioni di diritti umani, è stato tristemente “bipartisan. Centrosinistra e ministri “tecnici” in queste dinamiche hanno ricoperto un ruolo tutt’altro che marginale.

La campagna elettorale del centrodestra, oggi come allora, non ha tardato a strumentalizzare le cifre di quest’anno, con Giorgia Meloni che propone l’introduzione di un blocco navale, irrealizzabile e in netto contrasto al diritto internazionale, e di rafforzare la cooperazione con i governi dei paesi Nordafricani. Il secondo punto però non è di certo una novità, ma una strategia cominciata nel 2017 e tuttora in atto, grazie oggi agli sforzi dell’attuale Ministra degli interni Luciana Lamorgese. Quelli a cui l’Italia guarda in cerca di collaborazione sono però governi che di fatto non hanno un controllo sul territorio e sull’agenda politica come la Libia, oppure che di controllo ne hanno troppo e stanno percorrendo la via dell’autoritarismo come la Tunisia.

La Libia instabile e ancora divisa

Il primo caso è quello della Libia, divisa per dieci anni da una guerra civile che le forze militari e paramilitari ancora sul terreno suggeriscono non essersi completamente esaurita e dove la comunità internazionale ha auspicato una stabilizzazione che è ancora un miraggio. A testimoniarlo è l’impossibilità di svolgere le elezioni che erano programmate per il 24 dicembre 2021 e che sono state rimandate a data da destinarsi. Nonostante questo, l’Italia collabora da anni con la sua ex colonia in tema di gestione dei flussi migratori. In particolare dal 2017, quando l’allora Ministro degli interni Marco Minniti ha stipulato il Memorandum Italia-Libia. La cooperazione è stata confermata a luglio con l’approvazione da parte delle Commissioni esteri e difesa alla Camera del DL Missioni internazionali, che nella scheda 47 prevede la proroga del supporto da parte delle forze italiane alla Guardia costiera libica per “il controllo dei confini marittimi” del paese Nordafricano. Il supporto finanziario offerto alle istituzioni libiche è addirittura superiore a quello dell’anno scorso: il fondo per la missione di assistenza alla Guardia Costiera in Libia è aumentato da 10,48 a 11,85 milioni di euro.

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Il Partito Democratico ha in questa occasione votato contro il sostegno alla Guardia costiera libica, dopo averla introdotta esso stesso cinque anni fa. La decisione è stata una novità interessante, arrivata come un segno di risoluzione dopo la titubanza dell’anno scorso. Nel 2021 infatti mentre il PD votava a favore del ri-finanziamento della Guardia costiera libica, Enrico Letta auspicava di modificare la missione Irini. Il compito di questa missione oggi è far rispettare l’embargo alla vendita di armi in Libia, il segretario PD voleva introdurre anche operazioni di intercettazione e salvataggio dei migranti in mare, coordinate a livello UE. Resta da vedere se il PD stia realmente cambiando posizione rispetto alle politiche migratorie di respingimento, mettendo in discussione la strategia (anche europea) di esternalizzazione delle frontiere a cui in questi anni ha partecipato con entusiasmo.

La Tunisia sempre più autoritaria

Il secondo caso, quello dell’autoritarismo, è rappresentato dalla Tunisia, un paese dalle condizioni economiche devastate, da cui provengono un quinto dei migranti arrivati in Italia quest’anno. Il Presidente Kais Saied sta riscuotendo successo nel suo piano per l’accentramento di potere: il 27 luglio è stata approvata una riforma costituzionale che rafforza il suo ruolo e viene definita come un ritorno all’autoritarismo pre-primavera araba dai commentatori internazionali, approvata attraverso un referendum che ha visto una partecipazione del 27% della popolazione.

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Il 27 marzo 2022, tre giorni prima dello scioglimento del Parlamento da parte di Saied, Luciana Lamorgese riceveva al Viminale il Ministro degli Esteri tunisino Othman Jerandi. L’obiettivo dell’incontro era rafforzare la cooperazione dei due paesi in tema di contrasto al traffico di migranti e di flessibilizzazione delle procedure di rimpatrio. Nel 2020 l’Italia aveva destinato 11 milioni di euro alla Tunisia proprio per finanziare le operazioni di contrasto alla migrazione, mentre venivano denunciate violazioni di diritti umani nei “centri di accoglienza” di Tunisi.

Da dove provengono i migranti che arrivano in Italia?

La stessa Tunisia si attesta capofila come paese d’origine per la maggior parte degli immigrati in arrivo in Italia, mentre il secondo è l’Egitto, dove dal 2013 vige il regime militare di al-Sisi che reprime ogni forma di dissenso e riempie le carceri di studenti come Patrick Zaki e attivisti come Alaa Abdel Fattah. Il terzo paese è il Bangladesh. Poi c’è l’Afghanistan, dove l’Emirato Islamico controllato dai talebani ha da pochi giorni compiuto un anno. Successivamente la Siria: uno dei paesi più martoriati dalla guerra nella storia recente, con truppe turche e russe ancora sul terreno, cellule ISIS superstiti che assaltano le prigioni per liberare i loro miliziani detenuti, incursioni aeree turche nel nord e il resto del territorio controllato dal dittatore-quasi fantoccio russo Bashar al Assad, contro cui nel 2011 i giovani arabi che sognavano la libertà si sono sollevati e per cui hanno ricevuto tanti complimenti dall’Occidente.

È di fronte a questi scenari internazionali che Matteo Salvini qualche mese fa parlava di “veri rifugiati ucraini” da accogliere e di “falsi rifugiati” per quanto riguarda tutte le altre persone che scappano dalle guerre di cui ci siamo dimenticati, da dittature e da violazioni di diritti umani quotidiane.

L’accanimento di Salvini: gli effetti del Decreto Sicurezza

Coerentemente rispetto a questa retorica del doppio standard e con un atteggiamento restrittivo in ambito di politiche migratorie è stato proprio Matteo Salvini, con l’introduzione del Decreto Sicurezza nel 2018, ad abolire la protezione umanitaria e a sostituirla con la protezione speciale. Quest’ultima prevede vincoli decisamente più stringenti, come la previsione del rischio di tortura o persecuzione in caso di rimpatrio. Una delle conseguenze di questa riforma è stato il calo repentino della percentuale di richieste d’asilo accettate in Italia: dal 28% del periodo tra il 2015 e il 2017 all’1% dopo la sostituzione della protezione umanitaria con la protezione speciale. Contemporaneamente il Decreto Sicurezza aumentava da 90 a 180 giorni la durata massima di detenzione nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) dei migranti riconosciuti come irregolari, cioè di coloro la cui richiesta di asilo era stata rigettata. Il Decreto immigrazione varato dal governo Conte II nel 2020 ha apportato delle modifiche alle clausole stringenti del Decreto Sicurezza, con un conseguente aumento al 9% circa delle richieste d’asilo accettate nell’ultimo biennio, e ha riportato la durata massima di detenzione nei CPR a 90 giorni. Di fatto Salvini ha ulteriormente smantellato un sistema di accoglienza già di per sé critico e insufficiente.

C’è da dire, in fin dei conti, che tra legislazione attuale e prospettive future è nostro dovere di cittadini ed esseri umani quello di preoccuparci dell’emergenza migratoria: non quella di un’invasione inesistente, ma quella rappresentata dalla nostra inettitudine e indifferenza, che fa vittime nei centri di “accoglienza” e detenzione sia al di qua che, soprattutto, al di là del Mediterraneo.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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