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Israele ha attaccato un convoglio umanitario e ucciso sette operatori

Per il primo ministro Benjamin Netanyahu si è trattato di un «tragico incidente». Ma fonti interne all'esercito israeliano hanno smentito questa versione: si sarebbe trattato di un attacco intenzionale

9 minuti di lettura

Sette operatori umanitari dell’ONG World Central Kitchen sono stati uccisi da droni dell’esercito israeliano a Deir el Balah, nel centro della Striscia di Gaza, mentre si dirigevano verso sud dopo aver depositato un carico di aiuti umanitari da poco arrivati via mare. La notizia è stata confermata dall’ONG statunitense e dall’IDF. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito l’accaduto un «tragico incidente». L’esercito israeliano ha infatti inizialmente dichiarato di aver colpito il convoglio umanitario, composto da tre auto bombardate in serie dalle unità israeliane a distanza di qualche minuto, senza essere consapevoli che si trattasse di cooperanti. L’ONG ha fatto però sapere che lo spostamento del convoglio era stato coordinato con l’IDF, inoltre sul tettuccio dei veicoli era stampato il logo dell’ONG, come è prassi in contesti di questo tipo per rendere riconoscibili i mezzi degli operatori umanitari.

Successivamente la ricostruzione degli eventi pubblicata da uno dei principali quotidiani israeliani Haaretz, basata su informazioni fornite da fonti anonime interne all’esercito e all’intelligence israeliana, ha smentito la versione di Benjamin Netanyahu. È infatti trapelato che l’attacco di Israele al convoglio umanitario sarebbe stato intenzionale e motivato dalla convinzione dei soldati israeliani di aver visto un uomo armato tra gli operatori umanitari, presumibilmente secondo l’IDF un miliziano di Hamas. Questo sospetto sarebbe bastato alle truppe dell’IDF per aprire fuoco contro un convoglio di aiuti umanitari che aveva segnalato la propria posizione.

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Crisi umanitaria a Gaza e le ONG

World Central Kitchen, a causa del terribile evento, ha annunciato lo stop delle sue attività nella regione ed è stata seguita da altre ONG internazionali. La legittimità della scelta si accompagna alla preoccupazione nel vedere un altro tassello della cooperazione internazionale in assistenza ai civili di Gaza progressivamente vacillare. Dopo la campagna israeliana di discredito dell’UNRWA, secondo cui alcuni dipendenti dell’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi avrebbero partecipato all’attacco del 7 ottobre organizzato da Hamas, e l’irrazionale taglio dei fondi da parte di molti paesi occidentali le sue attività si sono infatti ridotte considerevolmente. Ora il rischio è che la condotta militare israeliana, evidentemente in violazione del diritto umanitario, costringa anche gli altri attori che finora hanno fornito supporto alla popolazione di Gaza a ridurre le loro operazioni per via dei pericoli troppo elevati. Il tutto mentre la situazione umanitaria a Gaza continua a deteriorarsi. Per citare alcuni dati, comunque non esaustivi, il World Food Program stima che un terzo dei bambini sotto i due anni nella Striscia soffrono di malnutrizione, i morti sono quasi 33mila e la maggior parte di questi sono civili e l’80% della popolazione è sfollata.  

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I commenti dei leader internazionali

Tra le vittime dell’attacco a World Central Kitchen c’erano anche cittadini internazionali: tra i sette uccisi troviamo un palestinese, mentre gli altri avevano cittadinanza polacca, australiana, britannica e statunitense-canadese. Prevedibilmente, proprio questo fattore ha suscitato scandalo nella comunità internazionale: tutti i leader dei paesi i cui cittadini sono stati coinvolti hanno espresso parole di condanna nei confronti della condotta israeliana. Il premier polacco Donald Tusk ha affermato che «noi riconosciamo il diritto di Israele a difendersi ma non quello di abusare della forza e di costruire insediamenti illegali» e che «i palestinesi hanno diritto a stabilire un loro Stato». Rishi Sunak, primo ministro britannico, ha commentato definendo la situazione a Gaza «insostenibile» e augurandosi che Israele «si impegni per cessare immediatamente le restrizioni sugli aiuti umanitari, per ridurre la conflittualità con l’ONU e le agenzie umanitarie e per proteggere i civili». Il primo ministro australiano Antony Albanese ha espresso la «rabbia e le preoccupazioni» dell’Australia nei confronti di Israele e chiesto piena accountability per quanto successo. Infine, il presidente americano Joe Biden si è dichiarato «indignato e con il cuore spezzato» per la morte degli operatori umanitari a Gaza.

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Israele e Stati Uniti

Apparentemente, dunque, i rapporti tra Israele e la comunità internazionale e in particolare con il suo maggior alleato, gli USA, continuano a incrinarsi. L’ultima “crisi”, prima di quella di questi giorni scatenata dall’attacco contro il convoglio di World Central Kitchen, è avvenuta in occasione dell’astensione da parte rappresentanti statunitensi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU durante il voto sulla risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza del 25 marzo, che ha permesso la sua approvazione. Gli Stati Uniti, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, avevano ripetutamente posto il veto sulle svariate proposte per il cessate il fuoco in sede ONU durante gli scorsi sei mesi. Benjamin Netanyahu, in risposta all’astensione USA nell’ultima votazione, ha cancellato il viaggio programmato di una delegazione israeliana a Washington per discutere l’ipotesi avanzata da oltre un mese, rispetto a cui gli USA avevano espresso elevata preoccupazione, di un’offensiva via terra su Rafah. Benjamin Netanyahu aveva inoltre definito la decisione USA di non porre il veto come pericolosa per gli sforzi israeliani e come un fattore che rischiava di mettere in pericolo gli ostaggi israeliani nella Striscia. Eppure, neanche per un secondo il primo ministro israeliano pare aver pensato di fermare effettivamente l’invasione della Striscia, nonostante la risoluzione UNSC sia secondo molti esperti di diritto internazionale legalmente vincolante. Del resto, la risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza non è la prima che viene sistematicamente ignorata da Israele nel corso della sua storia. La proliferazione di insediamenti israeliani, che è addirittura aumentata dal 7 ottobre ad oggi, per esempio, è uno dei nodi cruciali della questione israelo-palestinese ed un fenomeno in pieno contrasto con la Risoluzione UNSC 242 “Land for Peace” del 1967, con cui il Consiglio di Sicurezza ONU chiedeva a Israele di riconsegnare i territori occupati durante la Guerra dei Sei Giorni in cambio dell’avvio di un processo di pace.

Alla luce di questi ultimi eventi è quindi improbabile vedere Joe Biden e Benjamin Netanyahu abbracciarsi di nuovo come all’indomani del tragico 7 ottobre, quando il presidente USA era volato in Israele per esprimere il suo sostegno al paese alleato. Tuttavia, laddove è davvero importante, gli Stati Uniti non vacillano nel fornire supporto a Israele. Gli aiuti militari non sono in discussione, anzi proprio a fine marzo è stato autorizzato il trasferimento di altri pacchetti di armi statunitensi a Israele per miliardi di dollari a seguito della visita nel paese da parte del Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

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Foto in copertina: Palestinians inspect the damage following an Israeli airstrike on the El-Remal aera in Gaza City on October 9, 2023. Israel continued to battle Hamas fighters on October 10 and massed tens of thousands of troops and heavy armour around the Gaza Strip after vowing a massive blow over the Palestinian militants’ surprise attack. Photo by Naaman Omar apaimages

Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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