Parte di me si è sempre opposta allo stereotipo occidentale che dipinge le donne mussulmane come nient’altro che vittime silenziose. La mia arte, senza negare la “repressione”, è testimone di un potere femminile non detto che opera una protesta continua entro la cultura islamica.
D. Kahazeni, Intervista Shirin Neshat, The Beliver
Shirin Neshat è nata nel 1957 a Qazvin, in Iran, in un periodo di crescita e di modernizzazione del regime dello scià: si è formata artisticamente a Los Angeles, dove si è trasferita con la famiglia nel 1975. È tornata nel proprio paese natale solo dopo la fine del conflitto con l’Iraq, negli anni Novanta: lo stupore e il dissenso generati dalla direzione fondamentalista intrapresa dall’Iran le diedero l’impulso di realizzare la sua prima produzione artistica.
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Women of Allah di Shirin Neshat
Women of Allah è una serie fotografica in bianco e nero scattata a New York tra il 1993 e il 1997 e analizza la condizione femminile nella società iraniana.
Uno degli scatti più noti e rappresentativi della serie è sicuramente Ribellious silence.
Da un fondo chiaro prende rilievo il volto della protagonista velato parzialmente dal chador: l’artista imbraccia un fucile che divide simmetricamente la fotografia e che le si poggia sulle labbra, a imporre un silenzio forzato e minaccioso. Tuttavia, il viso è riempito da una scrittura tracciata a mano sul foglio.
Rimango per sempre ispirata dalle poetesse iraniane, Forough Farokhzad, Tahereh Saffarzadeh, Simin Behnahani, Minorou Ravnipour e molte altre, le cui parole inscritte su queste immagini hanno dato significati speciali al mio lavoro
Shirin Neshat, pagina di ringraziamenti, Women of Allah
Le parole tracciate sono in lingue persiana e sono tratte da una lirica di Saffarzadeh del 1980 intitolata Allegiance with Wakefulness.
Shirin Neshat, dunque, rompe l’imperativo impostole: la grafia è una voce silenziosa ma non muta e portatrice di una grandissima forza prorompente.
La tematica del silenzio ricorre in altre foto della medesima serie, tra cui Birthmark: ci viene mostrata l’artista coperta da un chador bianco ornato di fiori stilizzati che si poggia la mano sulla bocca, ricordando l’ordine di tacere. Quest’obbligo è rappresentato dunque come un “marchio di nascita”.
Questo tipo di rappresentazione del femminile nelle opere di Neshat non deve però sviare: infatti, la donna non è univoca e riducibile ai concetti diffusi nella società mussulmana.
Il fatto che esse vivano sotto tanta pressione ha determinato approcci più innovativi al problema della resistenza al sistema. C’è una qualità che si può ritrovare nelle donne che vivono in contesti oppressivi: una certa straordinaria resilienza
D. Kahazeni, Intervista Shirin Neshat, The Beliver
Da questa affermazione si rilegge quindi la presenza del fucile in opere come Ribellious silence: la donna ne è sia soggetto che oggetto, sia carnefice che vittima. Inoltre, la parte preponderante delle sue fotografie contiene anche un forte rimando alla sensualità: la mano sopra la bocca spesso incontra le labbra, sfiorandole e avvolgendole per far emergere chiaramente la loro forma sinuosa.
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I lavori di Shirin Neshat sono stati molti e diversificati nel corso degli anni: l’artista ha esplorato anche il mezzo della videoarte, come per esempio per la realizzazione di Turbolent nel 1998. In tutti ritorna però la tematica femminile, di una donna non solamente oppressa e vittima ma anche dotata di agency: con la duplice ripetizione del verso di Saffarzadeh «I am your poet» in Ribellious silence, l’artista sottolinea come l’obbligo al silenzio abbia portato a favorire la connessione tra scrittura poetica e il genere sessuale in Iran. Non una donna che conduce un’esistenza autodeterminata ma una donna che, a differenza di quella occidentale secondo Saffarzadeh, ha una forza maggiore derivante proprio dalla resilienza.
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