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Arte dopo la Resistenza: il Fronte Nuovo delle Arti

Segnato dalle atrocità della Seconda guerra mondiale, il collante del movimento è stato il vissuto traumatico condiviso. Ma cosa caratterizzava il Fronte Nuovo delle Arti? e quali artisti ne hanno fatto parte?

5 minuti di lettura

Considerata spesso elitaria, lontana dalla realtà e dalle persone, l’arte ha, in verità, da sempre ricoperto un ruolo centrale nella narrazione della storia. In forma figurativa oppure astratta, l’opera d’arte nasce come mezzo attraverso cui rappresentare e raccontare la vita, nei suoi aspetti gioiosi come in quelli più dolorosi. Il giorno dopo le celebrazioni del 25 aprile, non sembra perciò superfluo ribadire l’importanza dell’arte in tal senso. Per fare questo, vogliamo parlare oggi di un gruppo di artisti che, segnati dalle atrocità della Seconda guerra mondiale, decidono di raccontare in maniera profondamente personale e unica la propria storia, che è però anche la storia di una nazione segnata dalla guerra appena terminata e desiderosa di risorgere.

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Fronte Nuovo delle Arti

Quello conosciuto come Fronte Nuovo delle Arti è forse il gruppo artistico più eterogeneo della storia dell’arte italiana. Nato appena dopo la Seconda guerra mondiale con il nome di Nuova secessione artistica italiana, il Fronte si radica in particolare in tre città chiave: Roma, Venezia e Milano. In un dinamismo che appare da subito endemico, le personalità che passano, collaborano, in qualche modo si legano al gruppo sono moltissime. Questo sebbene l’esperienza del Fronte duri a malapena fino al nuovo decennio, sciogliendosi ufficialmente nel marzo del 1950. Ma i nomi principali da ricordare sono quelli di Renato Birolli, Bruno Cassinari, Renato Guttuso, Leoncillo Leonardi, Ennio Morlotti, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova e Alberto Viani, che sottoscrissero il Manifesto del Fronte Nuovo delle Arti in occasione dell’omonima mostra allestita a Milano nel 1947.

Emilio Vedova, Immagine del tempo n.2, 1959. Fonte: flickr

Non è possibile inquadrare in uno stile, una corrente, una poetica gli artisti che si radunano sotto la campana del Fronte. Ognuno si esprime infatti in maniera estremamente personale, spesso distaccandosi anche radicalmente dal lavoro e dalle idee dei colleghi. Il movimento non si identifica mai in codici estetici o ideologie artistiche, trovando il proprio collante piuttosto in un vissuto traumatico condiviso, che si voleva affrontare e in tal modo abbandonare al passato. Molti degli artisti che entrano in qualche modo a far parte del Fronte Nuovo delle Arti hanno fatto attivamente parte della Resistenza e decidono di fronteggiare il dolore e trasformarlo in una pittura che spazia dal realismo di Renato Guttuso all’astrattismo dinamico di Emilio Vedova. La vicinanza è dunque principalmente generazionale e politica, storica.

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Lontano dal passato

Nonostante la sua vita sia stata piuttosto breve e senza davvero un’unità e un’identità definita, il gruppo di Fronte Nuovo delle Arti si rivela presto fondamentale per lo sviluppo di esperienze artistiche successive e ben più famose, in particolare legate all’ambito astratto. L’obiettivo principale che ha animato i suoi componenti è stato senza dubbio quello di raccogliere le novità che arrivavano dal mondo dell’arte a livello internazionale e rielaborarle in maniera personale, di modo da poter superare l’arte che aveva caratterizzato gli anni Venti e Trenta italiani, in particolare legate al gruppo Novecento.

Renato Guttuso, Massacro, 1943. Fonte: flickr

Il riconoscimento probabilmente più importante della centralità di questo gruppo all’interno del panorama artistico italiano ma non solo arriva nel 1948, quando la prima Biennale di Venezia post-bellica dedica due intere sale agli artisti di Fronte Nuovo delle Arti. Ciò rappresenta, oltre che un riconoscimento artistico, un ringraziamento a tutti coloro – in questo caso artisti – che hanno partecipato attivamente alla difesa della libertà dell’Italia e dell’Europa intera. L’eterogeneità del risultato ben rispecchiava quella interna al gruppo, la differenza di poetiche e forme d’espressione che guidava ciascun artista, unite però da una dominante e più alta volontà di novità, cambiamento e riscatto, da un’idea di arte prima di tutto come impegno civile.

È dello stesso periodo, in particolare del 1949, la celebre frase del filosofo Theodor Adorno secondo il quale «scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico», intendendo con “poesia” l’espressione artistica in senso lato. E se è vero che immaginare la bellezza dopo una simile atrocità sembrava impossibile, ancora una volta degli artisti hanno dimostrato come proprio l’arte può essere motore unico e potente di rinascita.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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