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FutureFilmFestival e il futuro del cinema

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«Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi. È stato così tante volte».

Fu con queste parole che Hemingway definì il presente come luogo del futuro, rendendo al mondo una delle più efficaci visioni del tempo: Il futuro è qui. Frase ormai più assimilabile a uno spot tv che a una profonda idea poetica, ma questo solo per lo stravolgimento che la società dei consumi applica a concetti che invece non dovremmo perdere. Il futuro è qui, dunque, e comprenderlo non porta solo ad acquistare la nuova macchina appena osservata sul proprio piccolo schermo, bensì conduce a dei cambiamenti, a delle scelte, a delle possibilità che in ambito artistico si rivelano attraverso le vetrine di ottimi festival internazionali.

Future Film Festival

Il cinema vede il futuro

Dopo sei giorni di Future Film Festival appare impossibile credere che il sentimento di fondo di quest’evento si allontani dalla comprensione di quella semplicissima idea di futuro illustrata da Hemingway, come da molti altri autori. Perché dopo vent’anni dalla nascita del Festival, quest’anno splendidamente festeggiata con una programmazione di altissima qualità, sembra evidente che parlare del cinema, e soprattutto del suo futuro, non sia un vano passatempo relegato alla pausa tra un film e l’altro.

Il futuro si discute in sala, sembra voler confermare la nuova edizione del festival. Ciò che verrà, ciò che sarà di questo medium mutaforma e ciò che, soprattutto, diverremo noi, si osserva oggi nelle sale dipinte dai quadri avanguardistici di autori pronti a sperimentare nuove possibilità, traghettandoci in un’arte che si forma in questo preciso istante. Personalità pronte a questo salto sembrano proprio non mancare, e in un periodo così concentrato a decretare la morte del cinema d’autore in nome del ritrovato successo dei blockbuster hollywoodiani non si può che esserne felici. Durante le giornate del festival è stato infatti possibile visionare fino a 33 lungometraggi, 95 cortometraggi e, novità assolutamente apprezzata dagli spettatori e dalla stampa, ben 9 opere in gara per il Virtual Reality Contest.

Tra alti e pochi bassi non è quindi difficile decretare il successo di una programmazione che, attraverso un’ottima fusione di generi, ha raccontato un cinema utile a proiettare se stesso in un futuro a cui l’arte è pronta. Ciò che resta da vedere è quanto lo sia invece la sua imprevedibile industria e la nostra incerta società.

Il futuro tra reale e virtuale

Il Virtual Reality Contest si è rivelato essere la vera e propria ombra di un futuro non così non lontano. Fantasiosamente presentato in una struttura in legno simile a una piccola astronave pronta a partire dal centro di Piazza Pasolini verso mete ignote, il Contest ha attirato spettatori curiosi e spaventati. La visione delle nove opere avveniva, ovviamente, attraverso il visore di realtà virtuale, capace di immergere lo spettatore in mondi osservabili a 360 gradi. Con alcuni di questi si poteva interagire, rendendo sempre più sottile il confine tra arte audiovisiva e ludica, mentre in altri si svolgeva il semplice ruolo di osservatori.

La prima sensazione è sicuramente quella di essere uno spettatore diverso, isolato in un mondo che non si proietta più davanti a noi, bensì attorno. La sala, nota da sempre alle teorie del cinema per essere il luogo che segna una distanza tra il mondo narrato e il mondo all’infuori di essa, si viene a ricostituire in una rinnovata intimità tra il racconto e lo spettatore. Cala il buio e inizia l’esperienza, attorno a sé si perde velocemente il senso dell’orientamento, trovandosi dunque a piroettare sulla sedia per poter gustare le immagini presentate nel loro panoramico insieme.

Tra le più interessanti citiamo Out of body, cortometraggio horror prodotto in Russia, e Rone Vr, particolare opera monografica sull’artista Rone. Se nel primo si viene proiettati in un ospedale dismesso durante una strana e losca operazione, sentendosi non solo parte della vicenda, ma osservandola dalla prospettiva – letteralmente “dagli occhi” – del paziente, nella seconda, forse più interessante dal punto di vista dell’innovazione, avremo modo di muoverci nella realtà dell’artista descritto. Le possibilità per ora mostrate sono legate all’innovativo intrattenimento permesso dalla libertà di movimento e visione dello spettatore, capace, forse per la prima volta nella storia del cinema, di scegliere l’inquadratura, decidere la prospettiva e mutare con essa.

Se il futuro è questo, e dunque se sceneggiatori abili si affiancheranno alla tecnologia per raccontare delle storie valide, non solo si riproporrà quanto successo nei primi dieci turbolenti anni del cinema, ma lo si condurrà anche verso un drastico cambiamento. Muoversi lungo la panoramica porta infatti lo spettatore lontano dall’unicità di prospettiva del cinema, della pittura e della fotografia, e lo riconduce sorprendentemente all’emozione di girare attorno a una scultura che si rivela in ogni suo differente punto di vista.

Future Film Festival

Nuovo millennio all’insegna dell’animazione

Vincitore della nuova edizione del Future Film Festival è Windows Horses, film d’animazione canadese dal tratto semplice e particolare. Un racconto di formazione che delocalizza i sogni di un’aspirante scrittrice portandola dalla tanto desiderata Parigi alla sconosciuta Shiraz.

Window Horses appare basilare nelle sue animazioni poco ricercate, appare povero per il suo plot dallo spunto non innovativo, appare tante cose, ma ne è molte altre. Esattamente come l’intero genere a cui appartiene. Il futuro a cui allude il festival, e a cui dovremmo tendere quotidianamente come appassionati spettatori, è infatti una dimensione in cui i pregiudizi vengono decostruiti a favore di un’analisi aperta alle infinite possibilità dell’arte. Non appare esserci prospettiva per il legame tra il giudizio che lega realtà infantile e mondo dell’animazione, e persino laddove una pellicola è esplicitamente ideata per un pubblico più piccolo (come nel caso di Mary e il fiore della strega, presentato in anteprima al festival) se ne può finalmente gustare e apprezzare l’inventiva e l’innovazione tecnica.

Seppur banale per molti appassionati, lo sfondamento di tali preconcetti è ancora un gesto necessario, e la meravigliosa retrospettiva che il festival ha deciso di dedicare al recentemente scomparso Takahata, maestro dell’animazione giapponese, si rivela essere uno strumento vincente. Se da un lato lo spettatore meno avvezzo sta infatti scoprendo le grandi possibilità di questo strumento narrativo, dall’altra, attraverso le iniziative di analisi e discussione, come la tavola rotonda dedicata a Takahata organizzata dal festival, lasciano che esso riscopra opere che prima di tale rivoluzione di pensiero gli erano sfuggite.

Affiancate a quest’ariete pronto a sfondare ancora una volta le false credenze della società occidentale, la quale ricordiamo aver realmente iniziato ad ammirare il maestro Miyazaki solo successivamente al leone d’oro assegnatogli nel 2005,  troviamo altrettante opere dal grande valore artistico. Citiamo qui il quanto mai necessario Teheran Taboosplendido fotogramma sociale girato in live action e solo poi trasposto in animazione per evitare la censura iraniana; Mary e il fiore della strega, battesimo del nuovissimo Studio Ponoc e opera visivamente colma di fascino; e il terrificante The Wolf house, capace di innovare la narrazione stop motion e di ricostituirne l’importanza nel campo delle innovazioni tecniche artistiche.

Future Film Festival
da The Wolf house di Cristóbal León

Ovviamente non solo animazione e realtà virtuale, ma anche cinema live action e cortometraggi. Tutto in un ambiente che ha permesso di pedinare il futuro lungo i suoi infiniti tracciati artistici, i quali, paradossalmente privi di temporalità, appaiono capaci di tornare indietro, scavare nel presente e guardare in avanti, cercando domande e trovando risposte davanti a spettatori forse ancora impreparati. Poter visionare i capolavori del maestro Takahata e subito dopo il primo film dello studio Ponoc pone su uno stesso livello temporale arti tra loro distanti e vicinissime, dimostrando come il futuro che attende il cinema è un luogo di commistioni, rimandi e novità. 

Di certo, come ci ha dimostrato Insectsfilm d’apertura del festival e ultima opera del surrealista praghese Jan Svankmajer, il futuro narrato in questi sei giorni è quanto di più inaspettato possa esserci, e, tra una realtà virtuale e una sonorizzazione live, potrebbe esserci narrato proprio dai maestri del secolo passato. Non resta che stare a vedere, approfittare dei festival come di vetrine su un nuovo mondo e iniziare a vivere ogni minuto al cinema come un passo verso l’ignoto. Dopotutto, il futuro è qui.

Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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