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Gigi Riva e il Cagliari del ’70

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Nell’estate del 1963 all’aeroporto di Cagliari atterra un aereo come tanti. Seduto a bordo del velivolo c’è un ragazzo sbarbato non ancora ventenne. Questo giovane, orfano di entrambi i genitori, viene dalle fredde e nebbiose rive del Lago Maggiore ed è una delle prime volte che visita un luogo così lontano dalla propria terra natia. L’approdo in Sardegna non è una semplice visita turistica, poiché egli è obbligato a trasferirsi qui. Fa il calciatore, e all’epoca chi pratica questo mestiere non ha grande voce in capitolo; soprattutto chi, come lui, è da poco divenuto maggiorenne. Il senso di spaesamento del ragazzo è totale: si imbatte in una realtà enormemente differente rispetto al mondo che conosceva. Chiama la sorella, gli amici e rivela di volersene andare presto, prestissimo, poiché Cagliari non è certamente l’ambiente adatto a lui. Sono passati più di cinquant’anni e questo ragazzo, divenuto presto uomo, dalla Sardegna non se ne è ancora andato.

L’isola negli anni ’60 non è certamente la stessa che conosciamo noi oggi. Il turismo infatti, pur esistendo, non ha ancora contaminato l’aspetto rurale e agricolo del luogo. L’Italia del miracolo economico iniziato negli anni ’50 deve ancora accorgersi dell’esistenza della Sardegna: non ci sono yacht parcheggiati a Porto Cervo, e Olbia e Cagliari non rappresentano ancora scali portuali rinomati. Gli italiani però conoscono i sardi. Infatti la maggior parte di loro, negli anni, è dovuta emigrare nelle grandi città, soprattutto del nord, costretti ad abbandonare la propria terra in cerca di fortuna. Si calcola che dal 1953 al 1971 quasi duecentomila sardi abbiano dovuto abbandonare l’isola trasferendosi a Milano, Torino, Roma, ma anche in Svizzera o in Germania. Il ragazzo protagonista della nostra storia fa il percorso inverso: dal freddo nord si sposta in quest’isola meravigliosa, la quale al momento non è ancora consapevole delle proprie capacità. Come d’altronde questo ragazzo il cui nome è Gigi Riva, ma per Gianni Brera (prima) e per tutta Italia (poi) sarà Rombo di tuono, probabilmente il nome di battaglia più celebre della storia del calcio italiano.

Gigi Riva con la maglia del Cagliari. www.storiedicalcioaltervista.org
Gigi Riva con la maglia del Cagliari.
www.storiedicalcioaltervista.org

Il percorso di crescita di Gigi Riva con la maglia rossoblu è abbastanza lineare. È approdato in Sardegna molto giovane eppure comincia a giocare con regolarità fin dalla prima stagione, quando la squadra milita in serie B. Il Cagliari si piazza secondo in classifica e raggiunge la promozione: le prime stagioni di Riva nella massima serie sono ottime (nel ’65 viene convocato per la prima volta in nazionale) ma non esaltanti. La svolta nella carriera del ragazzo di Leggiuno arriva nell’estate del ’66 e coincide con il momento più drammatico della storia del calcio italiano. La nazionale infatti viene eliminata dai mondiali a causa del celebre gol del nordcoreano Pak-Doo-Ik, un professore di educazione fisica e non un dentista, con buona pace delle dicerie insinuate per anni dalla stampa italiana.

Riva più avanti dirà che quella nazionale non avrebbe mai potuto vincere quel mondiale poiché mancava lo spirito di squadra, ingrediente che diventerà fondamentale nella sua esperienza cagliaritana. Il gruppo, infatti, è una componente centrale in qualsiasi squadra vincente. Questo lo sa benissimo Manlio Scopigno, l’uomo che quell’estate viene chiamato ad allenare il Cagliari. Il soprannome dell’allenatore è emblematico nel descrivere il suo approccio alla professione: Il filosofo. Nato in Friuli, come tantissimi suoi colleghi, si è però trasferito presto a Rieti. Uomo colto e intelligente, ma non laureato in filosofia né professore, Scopigno ha un’idea di gestione di una squadra di calcio totalmente antitetica rispetto agli altri allenatori. Abolisce i ritiri e altre usanze extracalcistiche molto in voga oggi (come per esempio le diete specifiche e il divieto di fumare) e punta tutto sui rapporti umani positivi, fondamentali per cementare il gruppo, all’interno e all’esterno del rettangolo di gioco. Sarà la filosofia vincente. Gigi Riva nel frattempo, sotto la guida di Scopigno, conquista il primo titolo di capocannoniere nonostante salti il finale di stagione a causa di un infortunio rimediato con la nazionale. Quel giorno il portiere del Portogallo frana addosso al centravanti italiano rompendogli il perone; Riva, a questo punto, prende una decisione drastica: abbandona la maglia numero 9 (porta sfortuna) e comincia a indossare il numero 11, che diventerà presto il simbolo di Rombo di tuono, sia con la maglia rossoblu sia con quella azzurra.

Il "filosofo" in perfetto stile anni '70. www.storiedicalcio.altervista.org
Il “filosofo” in perfetto stile anni ’70.
www.storiedicalcio.altervista.org

Il Cagliari si presenta all’avvio della stagione 1969-70 forte di una importante operazioni di calciomercato. I sardi infatti nella stagione precedente avevano a disposizione i due centravanti più forti del calcio italiano: uno è ovviamente Gigi Riva, l’altro Roberto “Bonimba” Boninsegna. I due, insieme, si renderanno protagonisti dell’eccellente mondiale di Messico ’70, quello della storica semifinale Italia – Germania 4-3. Nell’estate del ’69 però Scopigno dà il via libera allo scambio: fuori Boninsegna, centravanti ottimo ma troppo simile a Riva e dentro Domenghini, straordinario motore del centrocampo.  Il Cagliari parte dai blocchi di partenza come una delle squadre favorite, anche perché il calcio italiano sta vivendo un periodo di transizione: la squadra campione d’Italia è la Fiorentina a conferma che le grandi del nord, monopolizzatrici di scudetti, faticano più del solito.

Già, il nord. I calciatori cagliaritani durante le trasferte stagionali a Milano o a Torino vivono sentimenti contrapposti. Dai tifosi avversari ricevono soltanto insulti venendo chiamati soprattutto banditi e pastori, a conferma di un rapporto d’integrazione, quello fra la Sardegna e il resto d’Italia, ancora molto lontano dal definirsi. Però i calciatori rossoblu, anche in trasferta, non si sentono soli: durante la stagione 69-70 infatti moltissimi immigrati sardi aspettano con ansia l’arrivo di Gigi Riva, Domenghini, Albertosi e gli altri campioni per poter finalmente urlare l’amore per la loro terra, sventolando quella bandiera con i quattro mori che mai come in questo momento storico acquisisce un fortissimo valore simbolico.

Le leggende metropolitane nate durante questa stagione di gloria sono molteplici. La più celebre riguarda il bandito Graziano Mesina, uno degli uomini più ricercati nell’Italia dell’epoca: ebbene, il mito vuole che Grazianeddu, ogni quindici giorni, cioè quando il Cagliari giocava le partite all’Amiscora, sfuggisse dai suoi innumerevoli nascondigli nell’entroterra solamente per recarsi in città e poter osservare dal vivo i propri eroi. La fredda cronaca però racconta che Mesina venne arrestato un paio d’anni prima e molto probabilmente durante la storica stagione 69-70 il bandito si trovava a Regina Coeli. Ma la storia non finisce qui. Per stessa ammissione di Gigi Riva, Mesina durante la settimana era solito spedire varie lettere a Rombo di tuono in cui chiedeva alla squadra di vincere, un po’ per la classifica e un po’ per un’isola desiderosa di prendersi finalmente una storica rivincita. Il bandito e il campione, come la celebre canzone di De Gregori che ricorda un’altra grande storia tutta italiana, l’amicizia fra il ciclista Girardengo e il criminale Sante Pollastri.

Grazianeddu Mesina. www.lanuovasardegna.gelocal.it
Grazianeddu Mesina.
www.lanuovasardegna.gelocal.it

Il 12 aprile 1970 le radio sparse nelle varie zone della Sardegna, dall’entroterra alla costa, da Sassari a Cagliari, ripetono in coro la parola tanto agognata: scudetto. I gol di Gigi Riva (ovviamente) e Bobo Gori stendono il Bari in un’Amiscora ribollente di orgoglio e passione. Il tricolore cagliaritano rappresenta il riscatto sociale di un’isola attraverso il calcio; è la vittoria di Gigi Riva, colui che fece il percorso inverso, da lombardo ha trovato la propria consacrazione diventando il condottiero di un popolo, quello sardo, al quale mai avrebbe pensato di potersi mischiare. Descrivendo questa impresa, il primo scudetto di una squadra meridionale (anche se sulla corretta terminologia si potrebbe discutere all’infinito), sarebbe molto semplice scivolare nella retorica, un’arma dal quale, finché si può, è meglio stare lontani. Così, per concludere questo breve racconto è bene citare le parole di Gianni Brera, la più grande penna della storia del calcio italiano.

«Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. […] La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso».

 

 

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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