Una “A” cerchiata di rovi accoglie il visitatore di Trino, la mostra, ancora in corso, che l’artista Alfonso Leto presenta a Palermo, presso il Caffè internazionale (via san Basilio, 37) fino al 27 maggio. Un artista che si triplica e che fa dell’eclettismo stilistico il mezzo di espressione di una unica solida poetica o, come potremmo romanticamente definirla, di un’unica Weltanschauung. Trino perché è triplice la presenza dell’artista in questo spazio e perché il riferimento alla Trinità cristiana vale come ultima visione artistica della forza concettuale e religiosa del numero 3. Leto, da sempre “coerentemente incoerente” come egli stesso ama definirsi, costruisce una vera e propria mostra di arte sacra; l’artista, infatti, scandaglia con il suo piglio colto e intelligentissimo i fondamentali misteri del sacro, a partire da quello relativo allo sguardo, all’imago, alla visione che nel Gloryhole diventa “atto del nascondere”.
Ma nel suo Gloryhole Leto non dimostra alcun interesse per il possibile livello esoterico dell’interpretazione di questo vero e proprio rito erotico-pornografico. Ciò che lo attrae di esso è, invece, la sua valenza estetica, esaltata da una raffinatezza estenuata che è il sigillo di ogni pura perversione e che rimanda direttamente alla “filosofia del boudoir” del Marchese De Sade.
Nel segno libero e coloratissimo con cui l’artista traccia e dà vita sulla tela ai suoi rovi lisergici si ritrova un omaggio al dripping e alla ritualizzazione pollockiana dell’atto pittorico che è, fondamentalmente, atto fisico, erotico, gesto ordinatore dell’artista che introduce la regola e crea il senso affondando nel pericoloso, indistinto e accecante biancore vergine della tela immacolata. Nel Gloryhole di Leto la perversione diventa sfida allo sguardo, negazione di quest’ultimo e dunque annullamento del pudore, liberazione dalla tirannia dell’immagine al fine dell’espressione del desiderio contro ogni tentativo di oppressione.
Leto affronta poi il mistero dell’Immacolata Concezione che, incorniciata dal rovo del sacrificio si invera nella presenza di un pattern azzurro (gommapiuma industriale) puntellato da stellette militari, opera-immagine indecifrabile eppure assolutamente esemplificativa dell’enigma della creazione intramondana nell’assoluta verginità della genitrice. L’artista ripropone nell’azzurro impenetrabile del velo mariano lo stupore degli sguardi attoniti dei primi uomini fermi a contemplare la volta celeste.
Il triplice percorso ironico e coltissimo delineato da Leto approda alla rappresentazione simbolica del martirio attraverso una galleria di piccoli ritratti a olio dei volti di anarchici del passato, da Max Stirner agli eroi della Rivoluzione spagnola (Durruti, Olivier, Ascaso). L’effige del pensatore libero, del sovversivo, sembra uscir fuori da una dimensione altra, incorniciato e iconizzato dal freddo nero di uno schermo di lcd che tra le mani dell’artista diventa supporto per la pittura e porta per un itinerario spazio-temporale.
Il martirio inteso come rivoluzione della e nella sofferenza, nel dispendio di sé, nel rogo purificatorie dei propri ideali, in cui ogni forma di concreta realizzazione appare lontana e il progetto si incendia e muore nel gesto puro.
Anarchico appare lo sguardo che Leto getta sul mondo e sulla storia dell’arte stessa, attingendo da stili e periodi differenti e tentando una sintesi estetico/poetica sempre rischiosa ma per questo potente, al fine della sovversione non tanto del credo religioso ufficiale quanto del pensare comune, dell’idea massificante, alla ricerca di una tra svalutazione dei valori che è impresa dal significato triplice: spirituale, etico ed estetico.
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