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«Il Diavolo e Padre Amorth»: luci e ombre nel docufilm di Friedkin

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5 minuti di lettura

Avete sempre voluto vedere un vero esorcismo spinti da un sacro terrore o da semplice scetticismo? Eccovi accontentati: William Friedkin, nientemeno che il regista de L’Esorcista (1973), incontra Padre Amorth, uno tra i più famosi esorcisti al mondo, e assiste ad un suo rito. Disponibile su Netflix il docufilm, The Devil and Father Amorth (Il Diavolo e Padre Amorth), mira a mettere da parte la finzione filmica de L’Esorcista, per indagare su un reale esorcismo cercando in qualche modo di trovare una verità. Verità che, diciamolo subito, non trova.

Scienza e religione

Il Diavolo e Padre Amorth vorrebbe seguire un metodo di indagine oggettivo con interviste sia a preti che a scienziati.

Quest’ultimi sostengono che la vittima di possessioni possa essere in realtà affetta da un Disturbo da Trance Dissociativa e che può trovare soluzione al suo problema attraverso l’esorcismo perché così prevede il suo background religioso. È dunque un problema psicologico che può venire risolto con l’effetto placebo di un esorcismo.

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Ad incarnare il pensiero religioso su questo argomento è invece Padre Amorth che, senza porsi domande, va avanti per la sua strada armato di crocifisso e di un’ammirevole energia nonostante la sua età avanzata. Proprio Padre Amorth, fan del film di Friedkin, ha acconsentito ad essere ripreso durante le sue pratiche spirituali nell’esorcismo di Cristina, la donna protagonista del docufilm.

L’esorcismo

Se vi aspettavate vomito verde, una testa che ruota su stessa e levitazioni varie, avete sbagliato film. Ovviamente l’esorcismo che ci viene mostrato non ha nulla di così visivamente sconvolgente.

Assistiamo alle preghiere in latino di Padre Amorth (precedute dal suo solito marameo a Satana) e Cristina comincia a sentirsi male. Inizia a dimenarsi violentemente trattenuta sulla sedia da tre uomini e parla con una voce cavernosa, proprio una voce che ci si aspetterebbe in un film horror. La sequenza ripresa da Friedkin è molto lunga e non finisce con la sconfitta del dominio.

Sia che lo spettatore sia credente o ateo una cosa è sicura: Cristina è malata. Malattia spirituale o psicologica? Ogni spettatore darà la sua risposta.

Un finale controverso

A rovinare quello che poteva essere un documentario interessante è la sequenza finale: Friedkin e il suo collaboratore raggiungono Cristina e il suo compagno nella chiesa di Santa Maria Maggiore ad Alatri, dove verranno aggrediti dalla coppia in preda ad una furia demoniaca.

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Il problema? Friedkin non aveva con sé la telecamera quindi il suo racconto è ricostruito in modo un po’ ridicolo attraverso musiche d’effetto e cliché da horror. Una vera caduta di stile che ovviamente ha attirato su di sé molte critiche soprattutto da chi già guarda con occhio scettico un argomento così spinoso.

E dunque?

Dunque non nutrite troppe speranze guardando questo documentario. Se siete credenti rimarrete credenti e se siete atei rimarrete atei.

Tuttavia è interessante sentire le interviste ai vari personaggi di contorno che raccontano la loro verità. Come quella dell’arcivescovo Barron che non si sentirebbe pronto ad affrontare il Diavolo in un esorcismo o, quello del professore Fried che preferisce tenere la mente aperta ad ogni possibilità.  Il pregio del progetto di Friedkin in Il Diavolo e Padre Amorth è proprio quello di riuscire a trasmettere la diversità di pensiero delle persone facendoci riflettere su quale sia il vero mistero dietro a tutto: l’uomo.

Immagine di copertina: unsplash.com

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

2 Comments

  1. Se p. Amorth aveva deciso di sottoporla ad esorcismo è sicuramente perché la psichiatria con lei aveva fallito. È lui stesso a dire che la Chiesa è molto cauta e forse non tutti sanno che gli sono gli stessi psichiatri ad orientare i pazienti all’esorcismo quando non rispondono alle cure farmacologiche e gli stessi ad ammettere il fallimento della scienza. La scienza ha dei limiti, perché l’uomo non vuole ammetterlo? Preferisco un documentario serio ad un film grossolano che lo stesso Amorth definisce scostante dalla verità. Insomma, siamo così bambini da preferire un surrogato? Suvvia, un contatto con la realtà è preferibile alla più fantasiosa delle illusioni. Una volta che un regista mette sul palco la verità a costo di uscire sminuito che si fa, lo si accusa?

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