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Di Instagram e solitudine: «Una vita non mia» di Olivia Sudjic

L'amore al tempo dei social. La solitudine è palpabile ed evidente, il contatto non esiste più ed è stato sostituito da spunte blu e avatar più o meno ironici. Qual è la trama del romanzo della scrittrice britannica?

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7 minuti di lettura

La solitudine digitale di un posto chic

Amicizie inesistenti o irrilevanti, una laurea in filosofia che è un ripiego del desiderio di laurearsi in fisica, come il padre scomparso, un nauseante senso di noia: Alice è una neolaureata londinese come tante che fa le solite cose, come sentirsi sola e navigare su Internet alla ricerca di visi noti che non ha quasi mai incontrato dal vivo. Alla ricerca di un motivo per essere più felice e per liberarsi della soffocante madre, un bel giorno Alice parte per New York, ospite della nonna adottiva che il cancro sta lentamente spegnendo.

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Dopo giornate solitarie in una città splendida ma implacabile («Ci si sente più soli a New York che in altri posti»), dove il sesso è più che altro un’occasione per sentire il proprio corpo ancora più inadeguato e i vernissage e take away vegani di grido sono un altro modo di chiamare la solitudine assordante, Alice si imbatte in Mizuko Himura, affascinante scrittrice di origine giapponese con splendidi capelli neri e poco meno di dieci anni più di lei. Dopo un febbricitante clic sul tasto Segui (di Instagram? Twitter?) si parte: una folle corsa per immagazzinare quante più informazioni possibili, fotografie in pose finto-casuali, bicchieri di vino rosso su poesie controluce, alberi giapponesi e sushi-bar costosi in modo assurdo. Alice non conosce davvero la Mizuko a cui sta consacrando la sua venerazione da social network, forse è più sola di prima e imprigionata nell’idea rosea che si è fatta di una vita non sua.

La simmetrica importanza di chiamarsi Alice

Il nome della protagonista non è sicuramente casuale: il riferimento al libro di Lewis Carroll, Alice attraverso lo specchio, meno conosciuto e sicuramente più inquietante di Alice nel Paese delle Meraviglie, è un viaggio onirico in un universo fatto di simmetrie e specularità. L’Alice di Olivia Sudjic è intaccata dai limiti della realtà e non è più una bambina ma una giovane donna, tuttavia è attratta dalla simmetria che le sembra di percepire fra la sua storia familiare e affettiva e quella di Mizuko. La specularità percepita è come la tana del Bianconiglio: non capiamo se sia fittizia o reale, non sappiamo se Alice mente, racconta la verità o è convinta di farlo.

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Il rapporto con Mizuko è il risultato dello specchio deformante dei social media, photoshoppato, infarcito di sottintesi e hashtag e parole di libri noti e, alla prova dei fatti, vacuo. Come le note famiglie di Tolstoj, Mizuko è infelice a modo suo. Ha un rapporto d’amore e dipendenza affettiva con un uomo dai modi bruschi e un costante cerchio di depressione intorno alla testa, una madre che non capisce e che comunque vive in Giappone e la tendenza a spendere troppi soldi in cibo appariscente e poco appetitoso. A detta di Alice, Mizuko è bellissima, in quella maniera elegante e poco sensuale che viene bene in foto ma che non si presta a essere toccata, afferrata, fatta parte. Del corpo della protagonista, che narra la sua vita iper-connessa in prima persona, non viene fatta menzione, ma c’è un tentativo di emulare l’abbigliamento della scrittrice giapponese, platonicamente di «fare di due l’uno», di rispecchiare, simulare, essere l’altro.

L’amore al tempo di Instagram

Prima di Mizuko, Alice si fa cogliere, passivamente e controvoglia, da un ragazzo sgradevole e di bell’aspetto di nome Dwight. Dwight è ossessionato da un’app chiamata TrEsca che, come suggerisce astutamente il nome, è stata ideata per soddisfare le fantasie (più che altro maschili) di threesome (o di ménage à trois, se volete l’eleganza). In queste fantasie, l’intimità è spazzata via in favore di un set asettico che più che un film porno ne ricorda l’anticamera curata. L’idea che passa del sesso è apatizzata, una specie di condimento da insalata, se c’è meglio ma non è poi nulla di più di un surplus che alla lunga stomaca. Non c’è traccia di un’ossessione o di un richiamo, ma solo della svogliata fantasia di un trend. La solitudine è palpabile ed evidente, il contatto non esiste più ed è stato sostituito da spunte blu e avatar più o meno ironici.

Non ricordo come finì. Mi sembra che un attimo prima fosse sopra di me e l’attimo dopo fosse steso accanto a me e mi stesse passando il suo telefono per farmi vedere un articolo su Edward Snowden o Israele o qualsiasi cazzo di cosa fosse e io fingevo di leggerlo

Mizuko è una vertigine per gli impulsi sessuali di Alice, la scossa elettrica che la spinge a camuffare la sua ricerca d’identità nella brutta copia delle radici e delle passioni della scrittrice, che non sembra però intenzionata a concedersi davvero. Olivia Sudjic, giovanissima e talentuosa autrice, descrive con magistrale attenzione e distaccata ironia il senso di vuoto, la depressione chic e la graduale presa di coscienza di una ragazza in cui è inevitabile identificarsi, a prescindere dall’orientamento sessuale. In Una vita non mia, edito da Minimum Fax, € 18,50, non c’è infatti molto spazio per categorie sessuali ed etichette dell’orientamento. L’amore (disfunzionale) è amore (disfunzionale).

Sofia Torre

 

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