27 Giugno 1980: un aereo proveniente dall’Aeroporto di Bologna e diretto a Punta Raisi a Palermo viene abbattuto nel cielo di Ustica. 81 le vittime
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E’ da questa tristissima e misteriosa pagina della recente storia italiana che prende avvio la meditazione, intellettuale ed estetica, di Giovanni Gaggia.
L’artista di Pergola, per la sua prima personale palermitana, ha scelto Palazzo Costantino-Di Napoli, oggi divenuto un importante polo per l’arte contemporanea in Sicilia, grazie alla sensibilità dei proprietari dello storico edificio, i “mecenati” Robero Bilotti Ruggi d’Aragona e Cesira Palmeri di Villalba, già impegnati in altre attività museali tra Roma, Cosenza e Rende. La mostra Inventarium di Gaggia, a cura di Serena Ribaudo, visitabile ancora fino al 31 Marzo, dal Lunedì al Sabato dalle 17:00 alle 20:00 presso Palazzo Costantino Di Napoli (Via Maqueda 217, Palermo), segna inoltre la nascita di Canto 217, un nuovo spazio itinerante per l’arte contemporanea, diretto dallo scultore Giacomo Rizzo.
L’esposizione
Ottimo l’allestimento di Inventarium, che riesce a cogliere alcuni dati fondamentali della poetica e dell’estetica dell’artista: leggerezza, senso del sacro, eleganza, enigma del sacrificio. I suggestivi spazi della Cavallerizza del Palazzo ricordano quelli di una chiesetta o di una cappella privata. L’aura sospesa e sacrale che emana dai lavori di Gaggia e dall’allestimento stesso trovano poi un riscontro numerologico e magico nella reiterazione del 9. Numero dalle profonde valenze esoteriche e mistiche, molto presente anche in ambito cristiano (basti pensare al fatto che è un multiplo di 3), esso sembra scandire come un leitmotiv l’esposizione in tutti i suoi aspetti. 81 erano i passeggeri del volo della morte (9×9), la mostra è stata inaugurata il 27 (3×9) e 9 sono le opere esposte, di cui sette tavole su carta cotone, un arazzo e un’installazione.
Le tavole costituiscono un saggio dell’abilità tecnica e della raffinatezza espressiva di Gaggia, il quale affianca l’austera perfezione del disegno italiano (egli si è formato alla Scuola del Libro di Urbino) con le tracce ematiche lasciate da un cuore di maiale, impiegato durante un’intensa performance del 2008 alla Fabbrica Borroni di Bollate. In queste opere, che possiedono tutta la grazia preziosa dell’acquerello, l’artista ritrae una serie di oggetti appartenuti ai passeggeri del volo IH 870. Nell’Inventarium tracciato con sensibilità e perizia da Gaggia, il sangue non è espressione di morte, al contrario esso è linfa vitale, emblema di forza e tenacia, come quella dimostrata, per lunghi anni, dai familiari delle vittime e che, a detta dell’artista stesso, lo ha profondamente colpito e ispirato.
Per quel che riguarda l’installazione de Inventarium, essa consiste in delle copie numerate e firmate, collocate su un banchetto di legno, posto in una zona della sala che ha l’aspetto di una cripta. Le copie sono a disposizione dei visitatori che hanno la possibilità di portare con sé, idealmente, il ricordo di ciascun passeggero.
Quello che sarebbe potuto accadere
Lo spettatore, infine, viene quasi rapito nella visione di un nero drappo, elegantemente ornato da lettere rosse ricamate dall’artista stesso. Le lettere formano una scritta che recita: «Quello che doveva accadere». L’arazzo, la cui scritta è stata lasciata incompiuta, sarà completato il prossimo 27 giugno, giorno del trentacinquesimo anniversario della strage, alla Galleriapiù di Bologna, con una performance finale che farà da metaforica sutura di una ferita purtroppo ancora aperta nella memoria collettiva italiana.
L’elegante ricamo di Gaggia costringe lo spettatore a porsi degli interrogativi: cosa vorrà dire l’artista con questa frase? E’ forse la presa d’atto del carattere imperscrutabile, capriccioso e crudele del destino umano? Oppure egli si riferisce a quanto «sarebbe dovuto accadere», a livello giudiziario e politico, dopo tanti anni dalla strage di Ustica? In una democrazia normale, infatti, a seguito di una tragedia si fa luce sui fatti, in tempi ragionevoli, e si accertano le relative responsabilità.
In Italia no.
di Giuseppe Alletto
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