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L’ironia nel «Don Giovanni» di Mozart e Da Ponte

Don Giovanni è un mito sovrastorico e il suo motore è l'ironia, sia verbale che non verbale. Ma come viene rappresentata?

15 minuti di lettura

Si può dire quello che si vuole dicendo il contrario? Assurdo! E invece è contemplato sin dall’antichità nella figura retorica dell’ironia. L’analisi di questo particolare fenomeno, che accompagna tutta la storia della letteratura, è in realtà usuale nella vita di tutti i giorni. Pertanto chiama a riflettere, oltre alla critica letteraria, la linguistica, la pragmatica e la filosofia. Ma non solo. Malgrado la sua ambiguità insita nella sua genetica, l’ironia rivela una propensione etica, soprattutto se raggiunge l’autoironia nel campo non verbale. Infatti, come dimostra il critico letterario Francesco Muzzioli nel suo libro Ironia oltre a un’ironia verbale, sia essa usata oralmente nelle occorrenze quotidiane, sia nello scritto con valenza non letteraria, ci può essere un’ironia non verbale. Non a caso, aprendo lo spartito dei Sarcasmi di Sergej Sergeevič Prokof’ev, l’occhio critico non può non notare immediatamente in incipit la dicitura «Ironico».

L’ironia nel linguaggio musicale

Cosa dovrà fare, dunque, l’esecutore per eseguire la volontà dell’autore e passare dalla «musica di carta» a quella con la «M maiuscola»? Dovrà imprimere il distacco dell’ironia attraverso l’espressione musicale e l’agogica. Nel linguaggio musicale l’ironia, nascendo da un contrasto, può essere espressa attraverso le dissonanze, le contrapposizioni di stili, la derisione e soprattutto attraverso il “diabolico“. Tutti questi sono elementi costitutivi del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte, in cui l’ironia verbale e non verbale entrano in contatto, dando vita, utilizzando le parole di Ingeborg Bachmann, alla rivoluzione derivante dall’incontro tra musica e poesia.

La storiografia contemporanea è solita affermare che «l’età metastasiana» si concluda con l’arrivo del teatro di Wolfgang Amadeus Mozart. Vi è una conversione da un teatro letterario a uno veramente musicale. Mozart non sente il «travaglio della creazione» perché nella sua epoca si pensava ad abbellire solamente ciò che già era stato fatto; un’imitazione segnata solo da qualche differenza. Il compositore austriaco collabora con Lorenzo Da Ponte e dopo il successo delle Nozze di Figaro si addentra nel mito del Don Giovanni.

Il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte è uno dei miti più grandi della modernità, pari a Ulisse e a Faust; è un «mito sovrastorico», in cui tutte le epoche hanno trovato dei contenuti attuali utili all’uomo per imparare a riflettere prima di agire. Il motore di questo mito è l’ironia, la quale mette in luce, attraverso il personaggio principale, una realtà diabolica al limite della perversione, alla quale sfugge ogni via di redenzione.

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Donna Anna e la sua «furia disperata»

Dopo l’overture iniziale l’opera si apre con Leporello, servo di Don Giovanni, che stanco del comportamento amorale del suo padrone vuole andarsene. Leporello è stato definito dal filosofo russo Michail Michajlovič Bachtin «basso corporeo» poiché usa il corpo per far ridere, indipendentemente dalla parola. A differenza del suo padrone non è caratterizzato da tratti ironici, ma solo da un’aperta comicità. La scena iniziale viene interrotta dalle urla di Donna Anna che si ritrova sedotta da Don Giovanni. Qui entra in scena, sin da subito, l’ironia del protagonista. Don Giovanni è un «Burlador» e un «Diabolus», per questo non ha un proprio linguaggio, ma assume sempre quello del proprio interlocutore, mettendosi sul suo stesso piano. Ciò non è particolarmente evidente dal testo, ma molto chiaro in musica. Si osservi il seguente estratto tratto dalla prima scena del primo atto:

Donna Anna: «Non sperar se non m'uccidi / ch'io ti lasci fuggir mai».
Don Giovanni: «Donna folle indarno gridi /chi son io tu non saprai».
Don Giovanni, Metropolitan Opera 2000. Dirige: James Levine – Atto primo, scene I-III.

Dal punto di vista del testo si nota come Lorenzo Da Ponte, per entrambi i personaggi, utilizzi gli ottonari piani in rima alternata (ABAB); in musica, invece, il Burlador risponde con lo stesso ritmo puntato di Donna Anna, parlando esattamente come Lei. Dunque, Don Giovanni si presenta subito, sia dal punto di vista del linguaggio verbale sia musicale, come un personaggio che ha fatto dell’ironia uno dei canoni della propria espressività. Ascoltate le grida di Donna Anna, suo padre il Commendatore, viene in soccorso della povera sventurata e si scontra a duello con Don Giovanni trovando la morte.

«Misera Elvira»

Dopo che Donna Anna ha chiesto e giurato vendetta a Don Ottavio, suo amante, entra in scena Donna Elvira, altra conquista di Don Giovanni, la quale vuole «cavare il cor» al Burlador ironico.

Don Giovanni: «Udisti? Qualche bella / dal vago abbandonata. Poverina! / Cerchiam di consolare il suo tormento».

L’ultimo verso è chiaramente ironico. Tutto vuole fare Don Giovanni tranne che consolare il tormento di una delle sue tante conquiste. Infatti, ciò è dimostrato dalla famosissima «Aria del catalogo» (Madamina il catalogo è questo) in cui Leporello spiega a Donna Elvira la vera natura di Don Giovanni. Qui ritorna la definizione di Marina Mizzau che nella sua opera L’ironia. La contraddizione consentita afferma che può esserci ironia solo con «tre attanti della sequenza verbale ironica». Precisamente:

A = Parlante – Ironista = Don Giovanni

B = Ricevente – Interprete = Leporello

C = Vittima o bersaglio = Donna Elvira

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Parlante, ricevente e vittima in musica

La definizione data da Marina Mizzau trova dimostrazione nella scena quinta del primo atto:

Don Giovanni: «Se non credete / al labbro mio, credete / a questo galantuomo [...]»
Leporello: «Cosa devo dirle?».
Don Giovanni: «Via dille tutto».
Donna Elvira: «Ebben fa presto».
Leporello: «Madama...veramente...in questo mondo / conciossiacosaquandofosseché / il quadro non è tondo...».
Donna Elvira: «Sciagurato! / Così del mio dolor gioco ti prendi?».

L’ironia del Diabolus-Burlador è sempre organizzata in questo modo, segue lo schema di Marina Mizzau, cambiando di volta in volta la vittima. Solo nel momento in cui le vittime si conoscono e si uniscono, l’ironista comincerà a perdere potere, percorrendo una serie di disfatte.

Don Giovanni, Metropolitan Opera 2000. Dirige: James Levine. Atto primo, scene IV-VI.

La mano di Zerlina

L’ironia di Don Giovanni torna nuovamente nel linguaggio musicale del famoso duetto Là ci darem la mano (Atto primo, scena nona). Solitamente in orchestra lo strumento del flauto è associato all’immagine della purezza, soprattutto femminile, perché il suo suono è molto leggero. Il fagotto, invece, avendo un timbro molto più grave, alle diverse sfaccettature dell’oscurità. Sia Don Giovanni sia Zerlina (contadina sedotta dal Burlador) inizialmente cantano la stessa melodia, ma nell’impianto orchestrale Wolfgang Amadeus Mozart attua uno scambio di interiorità: il flauto esprime la voce di Don Giovanni che da bravo ironista si pone sulla stessa linea vocale della vittima; Zerlina, ormai sedotta e caduta nella tela dell’ironista, canta accompagnata dal fagotto, esprimendo il suo essere vittima della perversione del Diabolus. Il duetto termina con un ritmo di danza in quanto è presente sia il Burlador che il Diabolus. Fortunatamente Zerlina viene salvata dall’arrivo di Donna Elvira, l’unico personaggio che riesce a tenere testa a Don Giovanni. Da questo momento in poi l’ironia comincia a vacillare, perché le vittime si coalizzano contro il Diabolus grazie a Donna Elvira che funge da collante.

Don Giovanni, Metropolitan Opera 2000. Dirige: James Levine. Là ci darem la mano (Atto primo, scena IX).

La disfatta del Burlador-Diabolus

Durante tutto il secondo atto le vittime cercheranno di fermare il Burlador ma non ci riescono, perché son sempre vinti dall’ironia del Diabolus. Solo nella scena finale Don Giovanni decade e con lui il suo «essere ironista» perché commette un errore mortale. Sceglie come vittima della sua ironia l’anima del Commendatore, ossia decide di sfidare il piano del Divino, del soprannaturale. Nel momento in cui il Commendatore si presenta a cena da Don Giovanni, rispettando il suo invito, lo spettatore assiste al capovolgimento dell’ironia e dell’ironista, che si trova di fronte alla «ribellione della vittima». Il bersaglio non può subire l’inganno del parlante e del ricevente, poiché appartiene a una dimensione superiore.

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«Verrai tu a cenar meco?»

Si osservi con attenzione l’inizio della scena diciassettesima del secondo atto:

Commendatore: «Don Giovanni! A cenar teco / m'invitasti, e son venuto».
Don Giovanni: «Non l'avrei giammai creduto, / ma farò quel che potrò. / Leporello, un'altra cena / fa che subito si porti!».
Leporello: «Ah, padron!...Siam tutti morti!».
Don Giovanni: «Vanne, dico....».
Commendatore: «Ferma un po'! / Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste».

Inizialmente Don Giovanni non crede a ciò che vede, ma rimane freddo, tant’è che ordina a Leporello di portare subito un’altra cena. Si noti come si sfaldi l’ironia, in quanto il complice, essendo avvolto da una terribile paura, non comprende più l’ironista. È il momento della resa di Don Giovanni e a livello musicale è tutto segnato da una grande confusione. Il Commendatore si esprime declamando come una presenza dell’aldilà tutto sulla nota «La», chiaro rimando alla voce di Dio nel canto Gregoriano. Sotto questa declamazione si hanno una serie di scale atonali dell’orchestra, che simboleggiano la perdita dell’equilibrio di Don Giovanni e quindi la disfatta dell’ironia. Il Commendatore gli offre la redenzione, a patto che cambi vita. Don Giovanni rifiuta e la mano gelida lo trascina negli Inferi.

Don Giovanni, Metropolitan Opera (2000), Dirige: James Levine. Atto secondo, scene XVII-XVIII.

Dunque, se la nascita dell’ironia risale all’antica drammaturgia teatrale, ovvero alla contrapposizione tra «Eiron» e «Alazon», così Don Giovanni, che utilizza l’ironia come fondamento della sua espressività, nasce dalla giustapposizione del Burlador e del Diabolus. Questi pochi estratti dell’opera analizzati simboleggiano quanto il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte sia la loro opera più «shakespeariana», proprio per la densità di interventi ironici verbali e musicali. Immergendosi nell’analisi del libretto e della partitura si naviga in una costante ambiguità che impedisce ogni fissazione, ogni atteggiamento didascalico.

«Questo è il fin di chi fa mal!»

Il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte è un’opera terribilmente tragica che, però, finisce bene nella tonalità di Re Maggiore, lasciando l’ascoltatore nell’ambiguità tra bene e male, la cui risoluzione risiede solo nella musica unificatrice del compositore, il quale agisce come un vero «musicista-scienziato». Infatti, come ogni buon uomo di scienza rende partecipi tutti della sua scoperta, non escludendo nessuno, con l’unico fine di voler distruggere il dubbio nato dalla disfatta della ragione.

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Alessandro Petroni

Classe 1995. Tra una tazza di the e un vocalizzo cerco quell'abbraccio vitale tra musica e poesia che Ingeborg Bachmann definisce "uno scandalo, una rivoluzione, una confessione, un vero atto d'amore". Eterno Nemorino credo ancora in un magico "elisir d'amore" che possa rendere la nostra vita un'opera d'arte. Non a caso, forse, "Una furtiva lagrima" è il mio cavallo di battaglia. Sono laureato in Filologia Moderna alla Sapienza e in canto lirico presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Attualmente insegno lettere nelle scuole secondarie e sono studente di Musicologia alla Sapienza.

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