In una cittadina del Mississippi, che Martin Ritt ritrae nel suo film La lunga estate calda (1958), i mesi estivi sembrano come fermarsi all’arrivo del forestiero Ben Quick (Paul Newman), che trascina dietro di sé la fama non troppo gloriosa del piromane. La strada di Quick, da subito malvisto dagli abitanti, si incontra con quella del signore più ricco della città, Will Varner (Orson Welles), che, colpito dal suo carattere forte e dalla sua sfrontatezza, decide di assumerlo.
Egli sembra nato con il fiuto per gli affari e si conquista subito la fiducia di Varner: questa stima non fa che deteriorare i rapporti conflittuali e già altalenanti del padre con i due figli Jody (Antony Franciosa), ritenuto un fallito dal carattere debole, e la testarda e tormentata Clara (Joanne Woodvard), alla ricerca del vero amore ma sottoposta a pressione dal padre affinché si sposi velocemente e abbia dei figli.
Il rapporto tra i tre, che vivono in una casa tanto grande quanta è l’assenza di affetto sincero nelle loro vite, raggiunge una temperatura bollente quando Quick viene affiancato a Jody – sempre più geloso – a lavorare nello spaccio del padre, ed è presentato da Varner alla figlia come possibile fidanzato. Se Ben è sinceramente innamorato di Clara, lei invece, riflessiva e rigida, lo respinge brutalmente, ricordandogli la sua inferiorità socio-economica nonché la sua mancanza di eleganza, buona educazione e istruzione. Allo stesso tempo, però, il rifiuto nasconde un’attrazione per il giovane ribelle che Clara non sa spiegarsi, ragion per cui tenta di reprimere i suoi sentimenti.
Sospirata e tanto attesa è, infatti, la scena in cui Clara finalmente cede ai suoi sentimenti per il giovane e attraente Ben:
Ben: «Si tolga questa roba Miss Clara perché ora io la bacio; le farò vedere quanto è semplice: soddisfi me e io soddisferò lei!»
Clara: «Va bene, lo ha provato: sono di carne!»
Ben: «Sì signora…e chi ne ha mai dubitato!»
Ma l’intolleranza verso Quick è sempre più grave, sia per la diffidenza della popolazione nei confronti di uno straniero dal passato incerto, sia per l’esasperata gelosia di Jody, il quale decide di tendergli un inganno incendiando la casa del padre: la colpa ricade automaticamente su Quick, che, aggredito dalla folla come Frankestein, è obbligato ad allontanarsi.
Un’estate quindi bollente quella che si consuma in questa cittadina del sud degli Stati Uniti tra violenza, incomprensioni nel rapporto tra padre e figli, l’orgoglio e il desiderio di rivalsa sociale, la tensione sessuale e il tormento, la dannazione e la redenzione di un uomo segnato da una colpa non sua e un lieto fine per nulla scontato.
I temi che Ritt intreccia in questo gioiello di pellicola sono quelli che venivano maggiormente affrontati dal cinema americano di metà secolo: in primis viene affrontato il divario tra ricchi e poveri, ma solo in parte, in quanto Hollywood ai tempi prediligeva rappresentare una ridente e agiata classe alta, con proprie ville e i giardini dal colore verde brillante, perfettamente in ordine. Rimane un po’ in disparte l’altro lato dell’America del miracolo economico, dunque, rappresentato dalle famiglie meno agiate che si occupano di terre desolate e aride da coltivare: le loro istanze e sofferenze sono relegate a sfondo di temi che stanno più a cuore al regista, ovvero lo scontro generazionale e quello dell’outcast.
Welles interpreta, infatti, un vedovo che nasconde ai propri figli la decennale relazione con Minnie Littlejohn (interpretata da una insolita Angela Lansbury, privata del suo accento british e decisamente più frizzante) e che è disposto a tutto per avere successo nel mondo degli affari, persino a imbrogliare. Nelle numerose scene in cui riprende il figlio per la sua incapacità Welles è così convincente da mettere a disagio anche gli spettatori, suscitando un senso di inadeguatezza per aver deluso le aspettative dei genitori che non abbandona mai completamente chi lo ha provato almeno una volta in passato. Anche una volta adulti ed affermati socio-economicamente alcuni soffrono ancora il confronto con il genitore, considerato irraggiungibile, sotto la cui ombra hanno dovuto vivere durante la giovinezza e che ancora da adulti devono sostenere.
Il tema dell’outcast, invece, risiede interamente nel personaggio di Ben Quick, sfrontato e con un passato chiacchierato da incendiario che incute paura nei cittadini, i quali diffidano di lui: l’invidia per il successo e il timore che i nutrono nei suoi confronti li porta ad agire come una folla ignorante (proprio come nei classici della letteratura gotica) e spaventata dall’individuo straniero, sradicato, che cerca di rifarsi una vita nel nuovo paese.
Ma il personaggio di Newman è ben più complesso di un semplice outcast: egli rappresenta anche il self-made man, ovvero il classico uomo che, rimboccatosi le maniche, ha lavorato duramente ed ha acquistato autonomia, accumulato denaro e guadagnato così agiatezza e prestigio sociale. Un sogno, questo, che l’America ha per secoli incarnato: nell’immaginario comune rappresenterà sempre la terra promessa, dove tutto è possibile e tutti gli uomini possono raggiungere la fama e la grandezza, pur partendo dall’infimo gradino della società.
Una pellicola dal gusto vintage e tipicamente americana quella di Ritt, che predilige molti primi piani sui volti dei personaggi, tecnica grazie al quale si scorge così la bravura degli attori principali nell’impersonare sentimenti diversi quali l’odio, la sfida o l’amore. Interessante, poi, è la chimica tra i due attori protagonisti, Newman e la Woodvard, talmente forte che da una semplice interpretazione è sfociata in un amore durato per il resto della loro vita: il sex symbol, infatti, all’epoca sposato da otto anni con Jackie Wittie chiese il divorzio e poco dopo sposò la bella Woodward, con cui rimase fino alla morte, avvenuta nel 2008.
Nicole Erbetti
[…] Fonte: FrammentiRivista del 9 settembre 2016 […]