Ogni passo che facciamo, ogni foglia, sasso, emozione che sfioriamo è un istante prezioso che nel susseguirsi dei momenti è unico. In questa sua unicità ritroviamo il suo eterno ritorno attraverso la mutevolezza di ogni cosa.
Ogni cosa è per noi tale e irripetibile, come ognuno di noi lo è. Simili a noi in tutto questo sono i paesaggi che noi attraversiamo e creiamo ogni qualvolta il nostro occhio si diriga e soffermi sulla vastità del mondo, e in un battito di ciglia, racchiuda in una cornice la nostra nuova creazione. Tutto è unico, ma ritorna, abbiamo detto. La storia nel suo ritornare, attraverso i simboli che declinano e designano ogni epoca, porta con sé i ricordi di ogni istante dispiegato e fuggito subito dopo attraverso il divenire costante del tempo – quel grande fiume che da sempre scorre attraverso il susseguirsi dell’alternanza tra essere e non-essere.
Il nostro incedere nella vita è questo, un continuo racchiudere istanti e lasciarli andare come si fa con quelle piccole creature che contornano i nostri cammini quando procediamo sui pendii montani.
Possiamo quindi addentrarci in questa metafora che stiamo dipingendo. La vita come cammino, la vita e il nostro esser-ci nel mondo come un andare per sentieri e pendii. Il mondo come grande montagna; la montagna dell’essere.
Ogni giorno l’uomo si confronta con ciò che vede; il suo sguardo si interroga e lo interroga continuamente sulla molteplicità dell’essere.
L’essere è quel che noi possiamo solo accennare, ma mai definire. Definire è raccogliere e solo ciò che è parziale può essere racchiuso tra segni e confini. Questi possono essere simbolici e quindi rimandare continuamente all’alterità – molteplicità – dell’essere, ma mai chiamarlo.
L’uomo – come ricorda Martin Heidegger – è quell’esser-ci che ha come compito guidare e condurre il proprio senso attraverso i sentieri dell’essere, che mai sono chiari, ma sempre accennati e celati. Solo attraverso il simbolo si può cogliere il senso dell’essere, come rimando di ciò che pratichiamo nella vita quotidiana.
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Andando per sentieri tra i boschi, l’umanità, si dirige verso quella radura (Lichtung) originaria (Ur-) che in un colpo d’occhio svela il senso dell’essere, per poi lasciarlo ritornare alla sua segretezza.
L’uomo è quello che la sapienza tradizionale orientale chiama Ti, parte del Tien-Ti-Jen; unione metafisica tra cielo e terra. L’uomo è quella montagna cosmica, o meglio la sua vita lo è. Per questo possiamo considerare la vita come un procedere verso una vetta.
La vetta è unica e molteplice, proprio come ogni istante, come ogni paesaggio, come ogni vita. Ognuno ne vede una e cerca di raggiungerla, ma quella può essere in comune con la visione di un altro, ma il percorso – sentiero o via – che noi percorriamo è unico e irripetibile nella sua infinta molteplicità di varietà. Il significato dell’eterno ritorno ci si fa più chiaro e così la sua correlazione con la vita dell’uomo. Molteplicità e unicità si racchiudono con-partecipandosi, rimanendo unite nel divenire che è la Via di ognuno. L’insieme delle vie completano i molteplici stadi dell’essere che sono la catena montuosa dell’essere, la sua manifestazione simbolica rappresentata ai sensi dell’uomo.
Cfr F. Nietzsche, Zarathustra.
Cfr. G. Simmel, Paesaggio.
Cfr. M. Heidegger, Cos’è metafisica; Concetti fondamentali della metafisica.
Cfr. R. Daumal, Il monte analogo.
Cfr. R. Guenon, La grande triade.
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