I secoli tra il XII e il XIV, con le crociate, con il fiorire del nuovo mondo cittadino, con gli scambi tra Europa e Oriente, con le avventure d’oltremare, hanno favorito la diffusione – soprattutto in Italia – di conoscenze, testi e scambi con la cultura araba e greca (anche tramite Bisanzio). La grecità, i poemi antichi e gli scritti dei filosofi ebbero nuova vita. La cultura bassomedievale – quella di autori come Petrarca e Boccaccio – pronta a spianare la strada all’imminente Umanesimo, guardava con straordinaria passione a quel mondo antico che aveva dato i natali alla filosofia, al teatro e all’arte politica.
Gli ambienti culturali dell’Europa medievale – anche italiani – mancavano spesso di sufficienti interpreti di quella cultura passata. La conoscenza del greco, con la conseguente capacità di tradurre e interpretare le opere degli autori greci, non era così scontata. E così, personaggi dotti, veri e propri intermediari tra mondo latino e mondo greco, rappresentarono preziosi punti di riferimento per tutti gli intellettuali europei e italiani desiderosi di immergersi nell’antichità: tra questi sicuramente il monaco Leonzio Pilato.
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Il calabrese che si sentiva greco: dalle traduzioni di Omero all’amicizia con Boccaccio e Petrarca
L’affascinante storia che vale la pena di raccontare – per quanto ancora ammantata da ombre e incertezze – è quella del monaco calabrese (nato a Seminara, in provincia di Reggio Calabria) che attraversò l’Italia studiando e divulgando la cultura e letteratura greca. Ebbe natali, probabilmente, intorno agli inizi del Trecento, divenendo discepolo (forse) del più noto Barlaam di Seminara. Dotto traduttore, italiano d’origine ma greco di spirito, Leonzio frequentò prima Napoli, conoscendo Giovanni Boccaccio alla corte degli Angiò, poi Firenze, Siena, Padova e Venezia, entrando in rapporto anche con Francesco Petrarca.
Anche il suo maestro Barlaam, dotto teologo, matematico e filosofo, ebbe modo di frequentare Boccaccio e di trasmettere al grande autore conoscenze del mondo antico e della cultura greca. Leonzio – la cui vita, ma anche la cui morte, rappresentano quasi una piccola Odissea – amava definirsi, fittiziamente, greco, anzi, nello specifico “tessalo”. Nelle Lettere Senili, tuttavia, lo stesso Petrarca ne ricorda l’origine calabrese: “Leo noster vere Calaber”. Sarà Leonzio a soddisfare le curiosità sul mondo e sulla letteratura greca dei letterati italiani: di Boccaccio prima, a Napoli, e di Petrarca poi tra Firenze, Padova e Venezia.
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Il monaco calabrese si occupava principalmente di traduzioni dalla lingua greca, con particolare riferimento ai poemi omerici: Iliade e Odissea. Protagonista di numerosi spostamenti lungo la penisola e all’estero, si mosse da Seminara a Gerace (sempre in Calabria) quando Barlaam divenne vescovo, per poi arrivare addirittura sino ad Avignone, dove il suo maestro – Barlaam appunto – spirò colpito dalla peste. Intorno alla metà del XIV secolo non mancò di recarsi a Creta per motivi di studio e, per ultimo, a Costantinopoli. Tali viaggi compresero anche le fruttuose permanenze a Napoli e poi in Toscana e in Veneto, grazie alle quali, proprio per i preziosi legami stretti, finì sotto i riflettori della storia culturale.
Dal soggiorno napoletano alla corte d’Angiò, allo studio fiorentino col Boccaccio
Un monaco della caratura intellettuale e culturale di Pilato non poteva non essere conteso dalle più vivaci corti italiane del primo umanesimo, attente alla tradizione letteraria greca e alle sempre più interessanti e frequenti traduzioni dei testi antichi: dai poemi ai trattati filosofici, matematici, astronomici e poetici. La prima tappa rilevante tra gli spostamenti di Leonzio fu senza dubbio Napoli, dove la corte d’Angiò non mancava di attirare e promuovere personaggi dotti e iniziative di studio e dove, circa un secolo dopo, opererà – sotto altro sovrano – Lorenzo Valla.
A Napoli, il traduttore calabrese, dallo spirito greco, strinse un saldo rapporto con Giovanni Boccaccio. Un rapporto che andò oltre la città partenopea, dato che Boccaccio, proprio per mantenere saldo il rapporto intellettuale con Pilato – e probabilmente per continuare a beneficiare delle sue conoscenze della lingua e della cultura greca – proporrà al monaco una cattedra presso lo studio di Firenze. Tale fase si può collocare intorno alla metà del XIV secolo.
Durante il soggiorno fiorentino, certamente insieme a Boccaccio, Leonzio Pilato ebbe modo di continuare le traduzioni di Omero in latino, aggiungendo anche altre opere: non mancò Aristotele. Ma il dotto ecclesiastico aveva interesse a spostarsi, a conoscere, a studiare. Già all’incirca nel 1362 intraprese il cammino verso Venezia, altra tappa fondamentale, prima di spostarsi poi, via mare, direttamente in Oriente. Come vedremo, senza fare più ritorno. Leonzio ebbe modo di assistere Boccaccio nella preparazione dell’opera nota come Genealogia deorum gentilium, testo in 15 libri sulla mitologia e la religiosità pagana.
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La poesia – che gli ignoranti e i negligenti rifiutano – è un certo fervore di trovare pensieri eletti e di dire e descrivere ciò che si è trovato. Questo fervore, procedendo dal grembo divino, a poche menti, come credo, è concesso nella creazione. (G. Boccaccio, Genealogia)
Tra Padova e Venezia: il rapporto con Petrarca e le traduzioni incomplete
Tra il 1358 e il 1359, a Padova, Leonzio Pilato incontrò Francesco Petrarca. A Petrarca, Leonzio fu presentato da un altro personaggio, forse un uomo della cerchia intellettuale cittadina. L’autore del Canzoniere era in cerca di qualcuno che potesse insegnargli il greco, ma soprattutto che potesse tradurgli le opere di Omero.
Proprio nelle fasi di vicinanza a Petrarca, Pilato si addentrò nella traduzione dei primi 5 libri dell’Iliade; lavoro interrotto per altri spostamenti del monaco, tra l’Italia e la Francia. Nel 1360 Leonzio si stabilisce a Firenze, come abbiamo visto, presso Boccaccio, per la cattedra promessagli, con tanto di stipendio. Le traduzioni omeriche – anche quelle richieste da Petrarca – proseguirono.
Lavori e traduzioni dai quali, quasi certamente, lo stesso Petrarca non fu esente, dato l’interesse dimostrato per le opere greche e anche per il dotto traduttore che le stava risistemando in latino per renderle fruibili alle ristrette cerchie di colti personaggi delle corti italiane, delle quali Petrarca – come Boccaccio – faceva parte. Tentativo di Petrarca fu anche quello di trattenere, quindi, il nostro Leonzio tra Padova e Venezia; quest’ultima città era stata meta del monaco nel 1362. Tuttavia, Petrarca non riesce nell’impresa, dato che Leonzio è convinto di voler salpare alla volta dell’Oriente, forse per approfondire i propri studi e la conoscenza del greco.
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La rotta verso Costantinopoli, il rientro, il naufragio e le opere perdute
Leonzio Pilato decise di imbarcarsi alla volta di Bisanzio, città nella quale annuncia agli amici italiani di voler proseguire ricerche e studi. Porta con sé alcuni lavori, le traduzioni e le opere incomplete. Corre l’anno 1365 quando lo studioso calabrese è in viaggio per ritornare a Venezia, probabilmente per proseguire i lavori intrapresi. Il fato non gli è amico.
La nave su cui viaggia fa naufragio al largo di Venezia e Leonzio Pilato muore. Insieme a lui, sull’ombroso fondale della laguna, finiscono anche le opere incompiute e le traduzioni che porta con sé. Finisce così, proprio di ritorno dal suo amato Oriente, tra le onde del Mediterraneo tanto caro ai greci, la storia di Leonzio Pilato, l’uomo che portò la cultura greca in Italia, come un Ulisse del Medioevo: sempre in viaggio e sempre in cerca.
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RIFERIMENTI:
- Davide Baldi Bellini, L’insegnamento del greco a Firenze da Leonzio Pilato a Pier Vettori (1360-1583), in Studium Florentinum, a cura di L. Fabbri, 2021
- Antonio Daniele, Enrico De Luca, Francesco Petrarca, Unicopli, 2013
- Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana. La crisi del mondo comunale 1300-1380, v.2, Mondadori Università, 2013
- Leonzio Pilato – Wikipedia