Sofia Coppola apre sull’incrocio asfissiante di alcuni rami. Li vediamo schiacciarsi l’uno contro l’altro, nel tentativo di coprire quei pochi spazi da cui la luce pare sfuggire per giungere sino a noi. Un quadro che riempie l’intero schermo in una paura del vuoto, di ciò che è libero e fa luce. Un horror vacui che pone le basi simboliche del grande tema di quest’opera: lo spazio e la libertà.
Il nemico in casa e la paura dell’Altro
In un Ottocento americano devastato dalla guerra di Seccessione scoviamo infatti uno spazio del racconto dato da una piccola isola di reclusione; una scuola in mezzo al nulla in cui vivono poche alunne, una responsabile ed una maestra. Un cast tutto al femminile, dunque, che sulla femminilità scava il proprio equilibrio, spezzato poi, e qui l’inizio del tutto, dall’arrivo di un soldato nemico trovato ferito nel Bosco. Quindi non solo dall’uomo in sé, inteso come essere maschile, ma anche dall’esterno, dall’estraneo, di ciò che viene da fuori e che dunque è nemico, soprattutto se nordista in una zona sudista.
Un luogo perfetto per un cast ingessato
Troviamo così una storia che proprio sulla costruzione degli spazi fonda il proprio fascino, o presunto tale. In cui esiste un dentro ed un fuori, che s’incastrano nel tentativo di creare uno squilibrio, una tensione, un’attesa di rivolta in quello che appare un paradiso fittizio: la gigantesca casa in cui si trovano le ragazze. La vediamo, nella sua immensità, attraverso inquadrature che ci portano ad interpretare la parte dei guardoni, dei curiosi; inquadrature poste dietro ad un albero, che vedono di sbieco la casa e che si inseriscono in questo spazio perfetto la cui femminilità si dipana nelle diverse età che incontriamo: dalla ragazzina, bambina, ingenua ed influenzabile, alla splendida Elle Fanning che interpreta qui l’adolescenziale in tempesta ormonale, maliziosa, e lontana invece da Kirsten Dunst, repressa, ma ammiccante, ambigua ed ancora una volta lontana infine dal grande capo ingessato, ma non troppo, nelle mani di Nicole Kidman. Tutta acqua che bolle in una pentola a pressione pronta ad esploderci in faccia in un colpo al cuore che, però, appare infine semplicemente annunciato. Dobbiamo infatti pensare a questo spazio come si pensa all’intero film, cioè ad un inganno, ad una promessa, in questo caso fatta dal trailer, di un thriller che non arriva.
Il vero inganno nell'”Inganno”
É così che entro poco perde la nostra fiducia facendo ricadere tutto, splendida costruzione degli spazi compresa, in un rindondante mescolarsi di compostezza da film in costume. Ovviamente il finale c’è e in un modo o nell’altro, e soprattutto con una gestione dei tempi a dir poco fuorviante, si arriva ad uno scoppio, frettoloso e relegato ad una manciata di minuti, di una tensione che è baluardo mancato di quest’opera.
Tutto un insieme di dinamiche confuse in un film, quello di Sofia Coppola, che fatica ad uscire da una zona di comfort in cui ciò che forse vorrebbe essere sotteso, tra uno sguardo e l’altro, non è invece proprio narrato e lascia dunque vuoti di senso che colmano intere conversazioni. E si potrebbe così dire che stia proprio qui l’inganno che titola la pellicola, nel non riuscire a capire chi sia davvero prigioniero tra l’uomo e le ragazze. Ma se molto furba sembra come interpretazione, altrettanto facile dovrebbe apparire come proprio questa lettura sia ciò in cui Sofia Coppola, regista, voglia trovare salvataggio e riparo. Perché, superando teorie e letture degli spazi e del racconto, ciò che resta è la semplice banalità di un inganno ai danni di spettatori annoiati da una narrazione incapace di avanzare.