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Donna vittima o carnefice: «Maria Stuarda»

Feroci lotte per il potere, sentimenti umani profondi e una riflessione sulla condizione della donna. Temi quanto mai attuali, quelli messi in scena dal regista Davide Livermore riprendendo il testo ottocentesco di Schiller.

7 minuti di lettura

Riprendendo il testo ottocentesco di Friedrich Schiller, il regista Davide Livermore presenta Maria Stuarda, un dramma con al centro feroci lotte per il potere, ma anche i sentimenti umani più profondi e la condizione della donna. Tutti temi quanto mai attuali, dunque, quelli che sono andati in scena dal 23 al 26 novembre al Teatro Sociale di Trento, che rendono questo testo strumento di riflessione sulla società che da secoli cambia, senza forse mai davvero evolvere.

La modernità di «Maria Stuarda»

Maestro di narrazione e costruzione dei personaggi, Friedrich Schiller, attraverso la storia vera, che ha visto contrapposte due regine, legate dal sangue e dal destino, elabora una profonda indagine sull’animo umano e sul ruolo della donna nella società. Per quanto siano infatti personaggi con una posizione del tutto eccezionale rispetto alla normalità, Maria Stuarda, regina cattolica di Scozia, e la protestante Elisabetta I di Inghilterra vengono presentate innanzitutto come esseri umani, come donne, con le loro complessità, con i propri turbamenti interiori e le proprie debolezze. Come spiega Davide Livermore:

In questo tempo così fluido a livello di gender, possiamo vedere con occhi diversi personaggi che normalmente tenevamo sospesi in teche di vetro, dandoli per scontati.

Proprio la fascinazione per i testi classici e per la loro straordinaria capacità di dimostrarsi sempre moderni spinge il regista a prendere l’opera del maestro tedesco e adattarla senza snaturarla. L’occhio del presente costruisce e interpreta il passato, inevitabilmente e talvolta inconsapevolmente, per rispondere alle grandi questioni e ai cambiamenti epocali che caratterizzano l’oggi.

La casualità terribile che muove la Storia

Il dramma Maria Stuarda prevede oltre venti personaggi, che nella versione di Davide Livermore sono portati in scena con estremo eclettismo da cinque attori oltre le due protagoniste, Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi. Queste ultime sono centrali per l’esaltazione di uno dei fattori chiave della narrazione: il caso, o destino. All’aprirsi del sipario, infatti, un angelo posto al di sopra di tutti gli altri lascia cadere una delle piume delle sue ali. In un quadro simmetrico che vede le due protagoniste sedute su letti speculari, vestite in maniera identica in modo da non poterle quasi riconoscere e distinguere, la piuma vola, sino a posarsi a destra o a sinistra, sul letto dell’una o dell’altra, decretando, di spettacolo in spettacolo, chi vestirà i panni di «Chi sarà la regina destinata a regnare e chi quella destinata a perire».

Questo espediente, all’apparenza giocoso, rivela in realtà presto il proprio carattere drammatico, simboleggiando la casualità terribile che muove la Storia. Il grido lacerante che esplode dal petto di colei che la sorte ha voluto interpretasse Maria Stuarda, la regina sconfitta, manifesta chiaramente tutto ciò.

Scenografia e sonorità narrative

Politica, religione, intrighi, potere, passioni si mescolano in un violento e scenico quadro storico dominato da una grande scalinata, un non-luogo, espressione dell’astrazione e dell’ignoto. L’interessante e dinamica soluzione scenografica elaborata da Lorenzo Russo Rainaldi, che vuole questo sistema modificabile di scale come elemento centrale, si arricchisce di volta in volta di elementi o, al contrario, diventa più essenziale, con il progredire della storia.

Ad accompagnare la narrazione è anche la chitarra elettrica della cantautrice italiana Maria Pierantoni Giua, che attraverso sonorità rock riscrive armonie e canti cinquecenteschi, rendendoli contemporanei ed in linea con il testo, creando un ambiente sonoro in grado di raccontare e guidare lo spettatore nell’elaborazione delle emozioni. Particolarmente appariscenti e ricchi, infine, i costumi indossati dalle due regine firmati Dolce & Gabbana, anch’essi elementi in accordo con la narrazione.

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«A lei sola, alla sorella, alla regina, alla donna»

In una lotta appassionata che si articola su piani emotivi profondamente diversi e vari, che vanno dall’invidia all’ammirazione, dalla pietà all’odio, dalla rivendicazione alla sottomissione e al martirio, si sviluppa un gioco feroce all’ultimo sangue, che come la storia vuole vedrà emergere Elisabetta.

Quest’ultima non è però vittoriosa di fronte alla sconfitta di Maria, la quale non è, in fondo, davvero sua rivale. Quella conquistata dalla regina d’Inghilterra è una libertà ottenuta mediante l’eliminazione di colei che il mondo le ha mostrato come propria antitesi, nemesi, ma che in realtà era ciò che di più vicino e simile aveva. Le dinamiche di potere, la società patriarcale, le trame intricate e ingiuste della storia le hanno volute contrapposte, loro che sono state vincolate e intrappolate nella propria condizione di regnanti e, ancora di più, di donne. Donne alle quali non è stata concessa dolcezza o debolezza, portate a mascolinizzarsi, in particolare Elisabetta, per governare e sopravvivere in una realtà in cui ognuno ha le sue catene.

È la stessa Elisabetta ad esplicitare questo concetto, ed insieme, la sua sofferenza. Riferendosi alla sua controparte, infatti, afferma «Ha conquistato tutti gli uomini perché si è occupata solo di essere donna», mentre a lei «questa felicità è negata». Sono due modi diversi e a tratti opposti di vivere la femminilità quelli mostrati nella Maria Stuarda di Livermore. Nessuno dei due, tuttavia, davvero libero.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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