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gli artisti maledetti

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti – da Montmartre a Milano

Se si passeggia per le strade di Milano con occhi diversi da quelli di oggi, verrà impossibile non notare Palazzo Reale decorato da colori pastosi, opachi e impuri, sebbene la loro natura sia ben differente. Quali sono le opere che presenziano all'interno della mostra?

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In determinati contesti, badate bene a quest’ultima parola, dovrebbero rendere lecito il fumo di una sigaretta – eccetto per le Vogue alla menta.
Se si passeggia per le strade di Milano con occhi diversi da quelli di oggi, verrà impossibile non notare Palazzo Reale decorato da colori pastosi, opachi e impuri, sebbene la loro natura sia ben differente. Arrivati a questo punto si legge Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti, la Collezione Netter e a fianco una donna con occhi a cui è stata tolta l’età (caro Capossela!).
E quindi ci si ferma.
 
Jonas Netter (1867-1946) era un qualcuno che non poteva permettersi di essere bohémien ma che con l’animo giaceva e giace tutt’ora assieme a quei dipinti. Il Corriere della Sera lo definisce «il papà di Modigliani» per via del suo mecenatismo, grazie al quale non solo Maudit, ma lo stesso lituano Chaïm Soutine e il povero Maurice Utrillo riuscirono a mantenersi. In realtà questo collezionista era un uomo timido e sognatore, il quale acquistò i quadri che oggi possiamo vedere esposti e che fu sempre considerato un visionario per i suoi insoliti gusti artistici.
Un uomo qualunque ma di inestimabile valore, sotto ogni punto di vista e ritratto da Kisling nel lontano 1920.

 

                                 

 

Basta distanziarsi leggermente dalla perenne folla che invade le sale la domenica pomeriggio per lasciarsi portare via, quel tanto che basta per sentire le voci e gli accenti multietnici di chi passa le giornate tra quei caffè che per qualche disegno a matita offrono un pasto, un bicchiere di vino bianco e una boccata di fumo; intanto in mezzo a quei tavoli c’è un uomo conosciuto come André Derain che sogna le bagnanti nello stile lontano dell’Africa. Nel bistrot di fronte, una donna ordina con quei miseri soldi che ha nella tasca lisa della gonna un niente e intanto piange sul «tempo che fugge e su ciò che rimane», ovvero sul caro parente perduto che non riceverà degna sepoltura, vittima della povertà perché Montmartre costa poco sì, ma porta via con sé un pezzo di lavoro che non tornerà mai più così come la vita spezzata. A sentire quel pianto c’è Kikì (la protagonista del quadro del livornese, Fanciulla in abito giallo) che avendo appena fallito come fornaia, gira di strada in strada alzando la sua gonna e mostrando il suo corpo che verrà ricordato sempre come privo di biancheria intima, ottenendo di volta in volta due o tre franchi che sul far della sera appoggerà sul tavolo della vedova dicendo: «Questi dovrebbero bastare per il funerale, e anche per comprarti un vestitino».

 

                              

Dal far della sera arriva la notte, e scorgiamo Amedeo Modigliani impegnato in un’accesa discussione con la sua amante e scrittrice Beatrice Hastings: i due urlano, si accapigliano, e Corrado Augias (scrittore e giornalista più volte presente nell’audioguida della mostra, ndr) con una voce moderna riprende la frase consueta della donna che esasperata «Aiuto! Mi ammazza»… Accanto a lui in un modo o nell’altro c’è Soutine, il ventenne che ha appena affrontato un lungo viaggio a piedi per essere lì e che dopo essersi fatto cacciare dal locale perché «inopportuno», tornerà nella sua modesta stanza forse condivisa con qualche altro animo maledetto e dipingerà La pazza (1919 circa) con quei colori accesi, le pennellate dolorose, tormentate e valide come pugnalate che presto doneranno lui la notorietà e il disamore apparente per l’amico italiano.

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Ma la notte deve sottostare alle regole della Terra che pure a Parigi valgono, e troviamo quindi di prima mattina il già ubriaco Utrillo a dipingere cieli così belli mischiati al gesso e al semplice zinco che la stessa madre Suzanne Valadon, anch’essa pittrice di cui ricordiamo il Nudo dalle carni giovani eppure decadenti quasi verdi sul grembo, dirà di aver sempre invidiato. Il sottofondo è Erik Satie.

E poi c’è Jeanne col suo profilo angelico e i suoi lunghi capelli raccolti che silenziosa detesta ogni amante del suo Modì: sistemata accanto ad un primo piano della ormai nota Hastings, affiancata a sua volta da un Adamo ed Eva della stessa piccola Hébuterne. Stupida Milano!
E poi non ce ne accorgiamo quasi, e davanti all’ultimo dipinto di cui bisogna mantenere il mistero ci immergiamo in un Bach nel periodo di Pentecoste, melodia favorita del Protagonista di questa domenica.

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Redazione

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