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Nella selva delle “tribute band”:
Why Aye Men e il rock dei Dire Straits

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14 minuti di lettura

Terza tappa del nostro viaggio alla scoperta del fenomeno delle tribute band, cominciato con la musica di Luciano Ligabue per i Taca Banda e proseguito con quella dei Queen per The Dragon Attack. Ci spostiamo in Liguria, in provincia di Savona, dove un gruppo ben affiatato e molto apprezzato si dedica da anni alla musica della storica band di Mark Knopfler. La tribute band si chiama Why Aye Men ed è composta da Luigi Pesce (chitarra e voce), Paolo Bertolissi (tastiere e sax), Francesco Pazzaglia (chitarra), Franco Cavallo (basso), Roberto Faccio (batteria) e Fabrizio Serra (tastiere addizionali).

Abbiamo incontrato il front man Luigi, il Mark Knopfler della situazione.

Luigi Pesce © Foto di Chiara Salvadori
Luigi Pesce © Foto di Chiara Salvadori

Grazie per la tua disponibilità. Prima di tutto, spiegaci chi sono gli Why Aye Men e da quanto suonate insieme.

Gli Why Aye Men sono una band tributo ai Dire Straits, gruppo londinese degli anni ’70 – ’80 – ’90. Un tributo, a differenza delle cover band che interpretano i brani a modo loro, cerca di mantenere il più possibile il sound & feel di un concerto del gruppo originale, in modo che l’ascoltatore, chiudendo gli occhi, abbia la sensazione di trovarsi ad un concerto della band originale. Questo è uno dei complimenti che ci rivolgono più spesso ed è per noi l’indicatore che ci fa capire di lavorare nella direzione giusta.

A livello embrionale, l’idea saltò fuori a metà del 2008. Ci trovammo a suonare insieme Paolo, Francesco ed io, proprio un paio di brani dei Dire Straits. Paolo fu il primo a lanciare l’idea: «Ma lo sai che li suoni bene i Dire Straits? Non ci starebbe male una band tributo…», ma io decisi di “lasciare cadere la cosa” a causa dei troppi altri impegni. Nel gennaio 2009, durante una nottata in cui fui preda dei deliri della febbre da influenza, mi tornò alla mente questa “malsana” idea e decisi di approfondire l’argomento. Contattai quindi il “colpevole” di aver lanciato il sasso e formammo il primo nucleo del gruppo. Come chitarra ritmica decidemmo di contattare Francesco (che già conoscevamo) e per il ruolo di bassista mi rivolsi a Franco, un altro amico dei “bei vecchi tempi andati”. Non ci incontravamo da anni… ridiamo ancora adesso dei deliranti messaggi che gli lasciai nella segreteria telefonica!

Trovare un bravo batterista è stata un’impresa ardua ed ha richiesto il coinvolgimento di vari musicisti. Ora alla batteria è passato stabilmente Roberto, che prima ricopriva, da buon polistrumentista, svariati ruoli a seconda del brano.

A causa dei vari impegni, ci è capitato di aver bisogno di validi sostituti. Attualmente suona abbastanza spesso con noi Maurizio Salvadori alla chitarra ritmica.

I saluti della band al concerto nella suggestiva cornice del Castello di Calizzano (SV) © Foto di Chiara Salvadori
I saluti della band al concerto nella suggestiva cornice del Castello di Calizzano (SV) © Foto di Chiara Salvadori

Alcuni di voi suonano in altri gruppi? Se sì, quali sono i generi in cui vi esibite?

A tutti noi piace la musica e piace suonare, questo ci porta ad eseguire i brani più improbabili nelle situazioni più assurde, ma anche a formare nuovi gruppi per fare nuove esperienze o ad aggregarci a gruppi esistenti. Praticamente tutti noi suoniamo in un altro gruppo o partecipiamo a qualche iniziativa extra. In linea di massima, restiamo tra i grandi classici del rock e del pop, avvicinandoci anche allo swing.

Perché fondare una tribute band, e soprattutto perché per i Dire Straits?

È colpa mia… Da anni affermo di essere di religione “Knopfleriana”, proprio per far capire quanta passione mi leghi a “Zio Mark”. Ho scritto più volte che non riesco a immaginare la mia vita senza la colonna sonora dei Dire Straits. Le note di Mark Knopfler mi accompagnano dal 1985, anno in cui lo scoprii grazie a Brothers in arms. La tecnica di Mark è così particolare e personale che ben pochi ci si avvicinano. Bisogna “specializzarsi” per farla rendere al meglio. Nel mio caso, grazie alla passione per quel particolare sound e ad una certa predisposizione per la musica, è stato un processo naturale. Ho talmente assorbito quello stile che ora qualsiasi brano suoni sembra quasi interpretato da Mark. Per certi versi è un limite ma è quello che mi piace fare e che mi riesce meglio, quindi il risultato finale non è poi così male.

Ho avuto la fortuna di conoscere amici musicisti che hanno creduto all’idea di poter rendere dal vivo quel particolare sound e abbiamo cominciato un processo di elaborazione che prosegue tutt’ora.

© Foto di Chiara Salvadori
© Foto di Chiara Salvadori

Il gruppo dei Dire Straits non calca più le scene da diverso tempo e il suo leader ha intrapreso una brillante carriera solista. In sostanza voi rappresentate l’unico modo possibile di ascoltare la loro musica dal vivo. È corretto?

Direi di sì. Mark, nei suoi concerti da solista, esegue alcuni brani dei Dire Straits ma lui è cambiato, i musicisti sono diversi, il sound non è più quello. Sono sempre emozionanti da ascoltare direttamente da Mark, ma è evidente che si tratti di qualcosa di diverso.

Abbiamo scelto di riprodurre solo i brani dei Dire Straits proprio per questo motivo, per dare la possibilità agli appassionati (e a noi stessi) di ascoltare Tunnel of love e Money for nothing, solo per citarne un paio, come gli stessi Dire Straits li eseguivano trent’anni fa, per suscitare quelle particolari emozioni.

Qual è il tipo di pubblico che vi segue?

In linea di massima si tratta di adulti che hanno apprezzato la band originale negli anni ’80 – ’90 ma in più occasioni abbiamo coinvolto ragazzi, bambini e anziani. È un tipo di musica molto varia e molto gradevole, ogni tanto particolarmente rock e altre volte particolarmente soft. Questo ci permette di accontentare anche l’ascoltatore non appassionato che si ferma per ascoltare buona musica ben suonata.

Il pubblico del concerto a Calizzano © Foto di Chiara Salvadori
Il pubblico del concerto a Calizzano © Foto di Chiara Salvadori

Sei il front man della tribute band. Come affronti la sfida di suonare e cantare come Knopfler? Lo imiti, anche nell’abbigliamento, o ci metti qualcosa di tuo?

Fino al 2008 non avevo mai pensato di dover cantare. Sono mediamente intonato ma suonare e cantare allo stesso tempo non è una cosa semplice. Il tributo lo richiedeva, per cui ho studiato canto e lavorato su me stesso, al fine di arrivare a una certa naturalezza. Inizialmente ho provato a imitare il timbro di voce ma mi sembrava di scimmiottare un po’ troppo l’originale, per cui sono passato al mio timbro naturale che, fortunatamente, un po’ gli somiglia. Lo stile chitarristico è diventato parte di me, quindi la fatica è stata minima, soprattutto grazie alla grande passione per la musica.

Per quanto riguarda l’abbigliamento, cerco di imitare le sue scelte, fortunatamente piuttosto ragionevoli. Mark non ha mai avuto atteggiamenti da star e il suo vestiario da palcoscenico si limita a jeans, maglietta e camicia. La maglietta stile Alchemy l’ha realizzata a mano Silvia Faggion nel suo studio Art&Ceramica di Carcare (SV). La scuola di moda TIFDI di Savona sta realizzando nei ritagli di tempo una camicia country come quella del tour di Brothers in arms del 1985. Il tutto al fine di rendere, anche visivamente, lo spettacolo simile a quello degli originali.

© Foto di Chiara Salvadori
© Foto di Chiara Salvadori

Il repertorio in cui vi esibite è sempre lo stesso o nei concerti, di volta in volta, cambiate la scaletta?

Ci sono brani che “dobbiamo” eseguire obbligatoriamente. Parlo di quelli più famosi come Sultans of swing e Tunnel of love, sempre presenti in ogni concerto, ma ci permettiamo di variare in base all’ambito in cui andiamo ad esibirci. Ispirandoci sempre alle scalette dei concerti live dei Dire Straits, adattiamo la scaletta con brani più d’atmosfera, quando suoniamo in teatro, e con brani più rock quando ci esibiamo nei locali o in qualche festa. In ogni nostro concerto ci sarà quindi la possibilità di ascoltare Wild West End del 1978 oppure Fade to black del 1991.

Non è limitante per voi suonare sempre le stesse canzoni di un unico gruppo musicale?

Sì e no. I Dire Straits hanno modificato il loro stile nel corso degli anni e i brani passano dall’acustico al rock, passando per il rock-pop e lo swing. L’utilizzo di altri strumenti, come il sax ad esempio, aggiunge una certa varietà al tutto. Il risultato è che i brani, pur essendo sempre gli stessi, vengono anche eseguiti in versioni diverse, prendendo spunto dai vari concerti dei Dire Straits, quindi variano anche da concerto a concerto.

Per un musicista, l’affrontare nuovi brani resta una sfida sempre interessante.

© Foto di Chiara Salvadori
© Foto di Chiara Salvadori

Se ti proponessero e accettassi di suonare in una cover band, tolti ovviamente i Dire Straits o Knopfler, quali sono gli artisti di cui sentiresti di suonare i brani, e quali eviteresti di farlo e perché?

Amo la musica, in generale, ma ho ovviamente le mie preferenze. I grandi mostri sacri del rock restano saldamente in cima alla classifica, ma è divertente suonare anche brani più “leggeri”, più pop. Alla fine conta la musica: sia che si stia suonando Mozart oppure un brano dei Modà, l’impegno e il divertimento devono essere al massimo. Certo, preferisco suonare brani dei Led Zeppelin o dei Deep Purple. Diciamo che anche i brani pop più commerciali possono essere resi interessanti da un migliore e diverso arrangiamento.

La musica per te non è solo un hobby: sei insegnante di chitarra in una scuola. Senti mai l’esigenza di comporre qualcosa di tuo o sperimentare qualcosa di nuovo?

Sì. Continuo a suonare, a registrare, a scrivere. Il problema è che sono molto disordinato e il risultato è una massa di appunti e registrazioni sparsi in ogni dove, a cui dovrei dare un minimo di senso logico. Dovrei trovare il tempo per “assemblare” almeno qualche brano completo.

© Foto di Chiara Salvadori
© Foto di Chiara Salvadori

 

Le foto presenti sono di Chiara Salvadori e sono state scattate durante il concerto a Calizzano (SV) l’8 agosto 2015

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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