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Su «La nuova alleanza» di Prigogine e Stengers

Scritto a due mani da Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, è il coraggioso tentativo di dare un nuovo statuto teorico alla scienza

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La nuova alleanza, scritto a due mani da Ilya Prigogine e Isabelle Stengers rappresenta il coraggioso tentativo di dare un nuovo statuto teorico alla scienza, sfruttando le acquisizioni nel campo della termodinamica dei processi irreversibili e, insieme, ripercorrendo la storia di queste stesse nozioni, da Isaac Newton fino alla meccanica quantistica. Per un verso, infatti, La nuova alleanza di Prigogine e Stengers è un saggio di filosofia della natura, mosso da pretese ontologiche. Per un altro verso, tuttavia, è anche un saggio di storia della scienza che opera delle scelte ben precise nella ricostruzione dell’evoluzione dell’innovazione scientifica.

Il saggio, pubblicato nel 1979 per Gallimard, fu un caso editoriale, vendendo in quattro anni quasi 25.000 copie. La prima edizione italiana, curata da Einaudi, è del 1981. In Italia, fu recensito, ancora prima di essere tradotto, da Italo Calvino, il quale vide bene il motivo del successo editoriale de La nuova alleanza, che attribuì proprio al connubio di rigorose esposizioni scientifiche e appassionate riflessioni «sull’uomo e sull’universo, che rifiutando la separazione tra le due culture intesse fittamente in uno steso discorso le vie aperte dagli scienziati e le domande dei filosofi».

Il caso e la necessità

Il titolo del saggio, La nuova alleanza è un riferimento esplicito ad un’espressione contenuta nell’importante testo del biologo francese, premio Nobel per la medicina nel 1965, Jacques Monod, Il caso e la necessità. Riprendendo il titolo di un articolo, proposto dalla Stengers, pubblicato nel 1977, nel quale P&S delineavano una risposta alle tesi di Monod, La nuova alleanza ne è l’ampiamento. Il testo di Monod, incrociando le più recenti acquisizioni scientifiche derivate dal campo della biologia molecolare e una rielaborazione filosofica dei concetti, appunto, di caso e necessità, pretendeva di elaborare una nuova visione complessiva della vita. Se è vero, come sostenuto da Charles Darwin, che le alterazioni del DNA sono aleatorie, cioè sono, per usare un lessico più filosofico, eventi, che si producono al di fuori di ogni prevedibilità, allora «soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione». Ma una volta che il caso produce i suoi effetti, è in virtù di leggi ben precise, verranno riprodotti per necessità.

Il testo di Monod rappresenta, agli occhi dei nostri autori, il crocevia dal quale ripartire per presentare una nuova visione della natura. Da un lato, infatti, esso è l’erede di una tradizione bimillenaria, che ha origine nella Grecia dei primi filosofi, passa per la Rivoluzione Copernicana e le leggi di Newton, fino a giungere alla Teoria della Relatività. Si tratta per P&S di fare la genealogia di questa tradizione, di questa storia di un progressivo allontanamento che è culminata, proprio come esplicitato nelle parole di Monod, in un’alienazione totale dell’uomo dalla natura. Dall’altro lato, inoltre, l’antica alleanza tra uomo e natura che, secondo Monod, è andata infranta sotto i colpi del progresso scientifico, è da ricostituire rileggendo l’intero ambito del reale attraverso la lente della termodinamica dei processi irreversibili.

Proprio questo mondo, come lo chiamano P&S, “disincantato”, è l’obiettivo polemico del saggio. La visione del mondo che la scienza ha ereditato dai Greci, giunta nel suo culmine con l’esposizione delle leggi della gravitazione universale di Newton, è la massima espressione dell’alienazione dell’uomo dalla natura per un motivo ben preciso. Essa, infatti, «si è scoperta teoricamente incapace a descrivere importanti aree di esperienza, determinate dalle relazioni tra l’uomo e il suo ambiente». La meccanica classica, cioè, non è in grado di rendere ragione del mondo dell’esperienza vissuta, caratterizzato dall’irreversibilità, secondo P&S non solo fenomenica, dei processi. La vita, così come ci appare, infatti, non è reversibile: essa è, per così dire, immersa nel tempo. Ora, è proprio sul concetto di tempo, che si gioca l’intero saggio.

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Signori e dominatori della natura

«Agli occhi dell’Inghilterra del Diciottesimo secolo Newton è “il nuovo Mosé”, al quale sono state mostrare le “tavole della legge”» poiché «ha scoperto il linguaggio che parla la natura – e alla quale essa obbedisce». La natura, così come la pensa Netwon, argomentano P&S, è «assai conforme a se stessa». Attraverso una rigida matematizzazione dell’esperienza, la meccanica newtoniana, secondo gli Autori, avrebbe fornito alla scienza le leggi ultime per interpretare l’universo. Quella che P&S chiamano alternativamente, a seconda del contesto, scienza classica, scienza newtoniana e scienza moderna, sarebbe caratterizzata proprio dalla pretesa di ricondurre la verità unica alle leggi matematiche del movimento. Un linguaggio unico, quello delle matematiche, è dunque sufficiente per descrivere la natura e le sue verità, e la gravitazione universale appare come la sola verità della natura. Per queste ragioni, la disciplina regina della scienza classica diverrà proprio la dinamica newtoniana, ossia lo studio del movimento dei corpi inerti, la quale riduce il cambiamento a un insieme di traiettorie.

In sintesi si può dire che la dinamica newtoniana possiede tre caratteristiche fondamentali per l’insieme delle scienze classiche: 1) è retta da una legge generale, universale e formalizzabile in linguaggio matematico; 2) è determinista, ossia qualsiasi istante considerato del sistema permette di dedurre l’evoluzione passata come l’evoluzione futura di esso; 3) è reversibile, ossia l’inversione, immaginaria, delle velocità di tutti i punti del sistema considerato è equivalente all’inversione del senso dello scorrere del tempo. In questo senso, la natura descritta dalla fisica newtoniana «è un’immensa tautologia, eterna e arbitraria, così necessaria come assurda nei dettagli e nell’insieme». La sola possibilità che un osservatore onnisciente possa prevedere, conoscendo ad un dato istante la totalità delle forze interagenti, tutto il futuro, rende ragione della struttura deterministica del modello cosmologico newtoniano. Secondo P&S è Immanuel Kant con il suo criticismo ad aver autorizzato filosoficamente la visione del mondo newtoniana. Kant, difatti, in quella che P&S chiamano “ratificazione critica”, «ha identificato l’oggetto scientifico in generale con l’oggetto newtoniano; […]». Kant, in altre parole, attraverso una naturalizzazione della geometria euclidea, separa la verità scientifica dalla verità morale, separa la scienza dalla saggezza, dando la stura alla divisione delle “due culture” di cui, un secolo più tardi, parlerà C. P. Snow. Il cielo stellato da una parte, la legge morale dall’altra.

Calore e complessità

Dopo il 1830, nel momento stesso in cui la scienza newtoniana trionfa come progetto globale di manipolazione della natura, i suoi limiti, il suo riferirsi ad una natura poco “naturale”, si fanno sempre più visibili. È proprio la termodinamica, nata nel Diciannovesimo secolo dalla volontà di utilizzare l’azione del calore per produrre forza motrice, renderà chiaro, all’interno della scienza, il problema della complessità naturale e la questione del divenire nelle scienze fisiche matematiche. Questa «trasformazione concettuale», operata dagli sviluppi della termodinamica, «costrinse la scienza a riconsiderare quello che aveva in un primo tempo rifiutato in nome della visione meccanicistica del mondo, in particolare l’irreversibilità e la complessità».

L’evento simbolico che inaugura tale scienza della complessità è la formulazione della teoria della propagazione del calore nei solidi formulata da Joseph Fourier nel 1811. La legge di Fourier descrive un fenomeno fisico tanto universale quanto la gravitazione, ma apparentemente non compatibile con quest’ultima. Esiste cioè una direzione temporale, identificata con il processo di conduzione del flusso di calore, qualitativamente differente dalla gravità. Con la scienza del calore compare sulla scena un elemento estraneo alla legge di gravitazione universale: la freccia del tempo. Appare immediatamente che la dinamica – scienza del movimento dei corpi inerti – e la termodinamica – scienza del calore e del modo in cui si propaga – costituiscono due discipline scientifiche distinte.  

Nel 1865 Rudolf Clausius introduce la nozione di entropia per dare espressione matematica a quest’irreversibilità, che aveva già trovato la sua formulazione nel secondo principio della termodinamica, enunciato poco più di dieci anni prima dal fisico inglese William Thomson, barone di Kelvin. È questa la fine della reversibilità caratteristica della scienza newtoniana. Il futuro è la direzione (del tempo) verso il quale l’entropia di un sistema isolato cresce. La dinamica e la termodinamica offrono quindi due descrizioni apparentemente inconciliabili della natura.

Sorge, tuttavia, un problema: se l’universo, nel suo complesso, evolve verso stati di massimo disordine, come spiegare l’emergere di strutture altamente complesse ed organizzate, quali gli organismi viventi che, dal punto di vista di Ludwig Boltzmann, corrispondono a stati altamente improbabili? Come conciliare il secondo principio della termodinamica con la comparsa, nel corso dell’evoluzione, di entità sempre più complesse? Il modello boltzmanniano è solamente in grado di descrivere l’evoluzione verso stati in cui l’entropia, cioè il disordine molecolare, è massimo, mentre non è in grado di descrivere quella che il biologo francese François Jacob chiamava “la logica del vivente”, ossia il comportamento del vivente. Prigogine è convinto che il principio d’ordine di Boltzmann sia inadeguato per rendere conto non solo dell’esistenza dei sistemi viventi, ma anche di una vasta classe di fenomeni, che avvengono nella materia inanimata, e a cui egli ha dato il nome di strutture dissipative.

Le strutture dissipative

In condizioni normali, come si è detto, un sistema termodinamico evolve verso una situazione di equilibrio, corrispondente ad un massimo di entropia. Tuttavia le reazioni chimiche e i processi biochimici, come ad esempio il metabolismo, si verificano lontano dall’equilibrio termodinamico. I processi irreversibili lontani dall’equilibrio sono, cioè, in grado di generare localmente delle strutture, che P&S chiamano “strutture dissipative”, espressione che traduce l’associazione tra l’idea di ordine e l’idea di spreco: lontano dall’equilibrio, la dissipazione dell’energia su scala microscopica può essere risorsa e fonte di strutture, ossia di organizzazione (di ordine) su scala macroscopica. L’esempio più semplice di tali equilibri dinamici è rappresentato dalle cellule di Bénard. Senza soffermarcisi, basterà notare come lo stato di turbolenza che instaura tra le placche di metallo non debba essere inteso come puro caos, in quanto le molecole del fluido non si muovono in modo disordinato, ma secondo moti collettivi, che coinvolgono contemporaneamente milioni di elementi: siamo dunque di fronte ad una struttura organizzata, creatasi spontaneamente. In questo caso l’entropia locale del sistema diminuisce anziché aumentare, e si osserva, senza alcuna irregolarità, un fenomeno che nella teoria di Boltzmann sarebbe altamente improbabile.

Lontano dall’equilibrio, quindi, avviene la morfogenesi. La materia si struttura attraverso un dispendio energetico di tipo irreversibile, e la vita stessa risulta da questo fenomeno di auto-organizzazione, evento inconcepibile all’interno di una prospettiva newtoniana. Proprio i fenomeni che sono all’origine della vita, come la sintesi proteica, sono spiegabili ricorrendo alle strutture dissipative. Tali scoperte inducono a modificare profondamente l’immagine del mondo proposta dalla fisica classica: l’universo non si presenta più come una macchina, insieme eterno di traiettorie determinate, ma nemmeno come un motore termico, in cui tutto va verso il decadimento; nella natura è insita una sorta d’imprevedibilità “creatrice”, una combinazione di caso e necessità, necessità delle leggi deterministiche lungo le traiettorie, ed elemento casuale nei “punti di biforcazione”, che, in determinate condizioni, può dare origine alla varietà delle strutture ordinate, di cui noi stessi siamo un esempio. Dunque si può parlare di “ordine dal caos”. Tutto ciò impone una nuova caratterizzazione del tempo: il tempo della meccanica classica, relativistica e quantistica è una semplice variabile nelle equazioni del moto: fluisce in modo uniforme e non è apportatore di novità, in quanto tutta l’informazione è contenuta nelle condizioni iniziali. Alla luce del ruolo chiave detenuto dalle strutture dissipative nella formazione della vita, diviene chiaro che la maggioranza dei fenomeni fisici, chimici e biologici non si possa spiegare in termini di “leggi”, ma di “processi”, in cui il tempo è continuamente apportatore di nuove informazioni. È nel tempo che si determinano, come punti di biforcazione, le “scelte” del sistema, che andranno poi a costituire la sua “storia”, secondo una evoluzione non predicibile a partire dalle condizioni iniziali.

Storia e scienza

Ora, secondo P&S, la scienza non evolve per salti e rotture, in modo discontinuo, ma attraverso continuità nascoste. La storia descritta dai nostri autori assomiglia più ad uno scivolamento che ad una mutazione. Strati di questioni si accumulano l’uno sull’altro. Esisterebbero cioè dei problemi sui quali gli scienziati, ma anche i non scienziati, in maniera più o meno sotterranea, «non hanno mai smesso di interrogarsi. Ogni generazione ha discusso in parole proprie la natura specifica del comportamento complesso, la relazione tra il mondo irreversibile della chimica e della biologia e la descrizione reversibile fornita dalla fisica classica». Esiste una «comunicazione profonda» delle varie discipline, attraverso la quale le questioni più antiche continuano a riproporsi. Così, ad esempio, nel bel mezzo del trionfo della scienza newtoniana, giunse l’annuncio fatale della scoperta di una legge matematica della propagazione del calore che trasformerà per sempre la chimica fisica in una scienza irriducibile alla dinamica classica, facendone una scienza dei processi. Non si tratta, dunque, di un’evoluzione irreversibile e discontinua, ma (si potrebbe dire, deleuzianamente) “geologica”, appunto, nella quale le stratificazioni dei problemi si sovrappongono di continuo.

Le nuove alleanze

Tenendo conto di quanto detto precedentemente intorno alle strutture dissipative, si vede, secondo gli Autori, la possibilità di rinsaldare l’antica alleanza (in realtà bisognerebbe parlare di una molteplicità di alleanze) che la visione newtoniana del cosmo aveva infranto. Un’alleanza che, anzitutto, coinvolga le scienze, ma anche tra le scienze e le discipline umanistiche, spezzatasi nell’epoca moderna, e, infine, una “nuova alleanza” tra l’uomo e la natura. La creatività della natura è il riflesso della nuova visione dell’universo. La natura ora metamorfizzata appare sottoposta al divenire temporale, essendo dotata di una storia e di una sua produttività. L’uomo vi ritrova la sua immagine, e vi si riconosce. Per questo, una scienza che cerca di indagare i processi di una natura creativa deve essere anch’essa creativa: come abbiamo visto, P&S rigettano l’interpretazione lineare e positivista della storia del pensiero scientifico a favore di un percorso in cui le diverse teorie si rivelano parti integrante della cultura, così che gli scienziati possano essere ispirati da prospettive metafisiche provenienti anche dai secoli passati. La pluralità di forme che sorgono nella natura richiede, per essere descritta, una pluralità di linguaggi, che ne rispecchino le infinite sfaccettature: «che si tratti di musica, di pittura, di letteratura o di costumi, nessun modello può più pretendere alla legittimità, all’esclusività. Da ogni parte vediamo sperimentazioni molteplici, più o meno arrischiate, più o meno effimere o di successo».

La metamorfosi della scienza, quindi, deve potersi costruire su un’alleanza interdisciplinare tra le scienze della natura, nel senso di una convergenza progressiva tra la dinamica newtoniana e l’insieme delle discipline scientifiche che non si sono mai conformate alle metodologie e ai presupposti di essa, ossia la chimica, la biologia, la medicina ma anche la termodinamica stessa. In secondo luogo, su un’alleanza interdisciplinare tra scienze della natura e filosofia. Infine, un’alleanza tra la natura e gli uomini. La scienza newtoniana sarebbe stata incapace di apportare delle risposte alle questioni vitali, attinenti la vita umana. L’uomo, come si è visto, si trova al margine dell’universo descritto dalla fisica classica. La nuova scienza deve così perdere la sua “extraterritorialità” nei confronti dell’uomo. L’uomo, cioè, dev’essere riconosciuto quale attore ed insieme spettatore all’interno della scienza, di una scienza incarnata, in grado di «comprendere la natura in tal modo che non sia assurdo affermare che essa ci ha prodotti». Il nostro dialogo con la natura, rimarcano P&S, è condotto all’interno della natura stessa. La nuova alleanza tra la natura e gli uomini passa quindi attraverso l’abbandono della visione che la scienza newtoniana ha del tempo per aderire piuttosto all’idea bergsoniana di un tempo inventivo, creativo, elaboratore perpetuo di novità, un tempo cioè che riconcili l’uomo con il mondo. Un tempo ritrovato: il tempo che non parla della solitudine dell’uomo, ma della sua alleanza con la natura.

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Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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