guerra cent'anni
Edoardo di Galles, "il Principe Nero" di fronte al corpo senza vita del re di Boemia. Dipinto di Julian Russel Story del 1888

L’inizio della fine del Medioevo: come scoppiò la Guerra dei cent’anni

Dal caos dinastico tra Inghilterra e Francia alle prime grandi battaglie: qual è l’origine del conflitto che ha cambiato l’Europa medievale?
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Il rapporto tra Francia e Inghilterra nel Basso Medioevo era a dir poco un pasticcio. Tutta colpa di Guglielmo, duca di Normandia (e quindi vassallo del re di Francia), che nel 1066 era riuscito a prendere possesso dell’Inghilterra fondando una nuova dinastia: da quel momento i re inglesi erano sia alla guida di regno indipendente sia ancora formalmente sottomessi ai re francesi. Il che per loro non era sempre un problema, perché generava una zona grigia in cui avanzare pretese ed espandersi.

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Soprattutto tramite alleanze matrimoniali con le famiglie nobili di Francia, i monarchi inglesi riuscirono a mantenere a lungo un piede sul continente. Un esempio su tutti è quello di re Enrico II Plantageneto, che nel 1152, grazie al matrimonio con Eleonora d’Aquitania, aggiunse ai propri possedimenti i grandi ducati di Guascogna e, appunto, di Aquitania: in quei decenni il potere dei re francesi era limitato a Parigi e ai suoi dintorni, mentre il resto del territorio era in mano a duchi quasi autonomi o all’Inghilterra.

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La riscossa iniziò alla fine del XII secolo, quando grandi re come Filippo Augusto (sul trono dal 1179 al 1223) e San Luigi IX (dal 1226 al 1270) fecero un enorme sforzo per accentrare il potere e riconquistare quanti più territori possibile. È il periodo che a scuola studiamo come la nascita e lo sviluppo delle monarchie nazionali (in una definizione ancora prepotentemente ottocentesca), durante il quale Inghilterra e Francia iniziarono a delineare parte delle proprie identità e simbologie per i secoli successivi, anche in contrapposizione e intermittente conflitto l’una con l’altra, ma sempre intrecciate in un destino comune (la nobiltà inglese continuava a parlare francese, in continuità con le origini normanne). Si vincevano e perdevano territori, diritti dinastici, fiumi di denaro.

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Quando nel 1328 Carlo IV di Francia morì senza eredi maschi, un’assemblea di nobili del regno fu incaricata di scegliere il successore. C’erano due candidati: il re d’Inghilterra ancora minorenne, Edoardo III Plantageneto (figlio di Isabella, sorella di Carlo IV), e Filippo di Valois (cugino di primo grado del re defunto). Fu scelto quest’ultimo, che divenne re come Filippo VI. A regolare la successione sul trono francese era la legge salica, in vigore dall’epoca merovingia, secondo la quale il diritto di regnare non passava per il sangue delle donne, anche se imparentate con i re; così fu giustificata la scelta di Filippo, in realtà più legata alla volontà di tenere lontano il re d’Inghilterra.

Naturalmente Edoardo ci rimase male, sostenendo di essere il parente più vicino a Carlo IV, e nonostante il suo omaggio al nuovo re i bisticci tra i due regni continuarono. L’Inghilterra si schierò dalla parte delle città fiamminghe che volevano uscire dall’orbita francese, mentre Filippo sosteneva i ribelli scozzesi. Quando nel 1337 Filippo confiscò la Guienna inglese, Edoardo dichiarò che il regno di Francia gli apparteneva di diritto, e cominciò quella che chiamiamo Guerra dei cent’anni. Il nome potrebbe trarre in inganno, perché tra le date convenzionali della guerra (1337-1453) il conflitto non fu costante: le fasi di scontro diretto si alternavano alle tregue, e spesso i re francesi e inglesi si limitavano a sostenere i reciproci nemici o a danneggiarsi commercialmente.

In effetti, come sempre, gli interessi in gioco non erano solo politici, ma anche economici. Gli Inglesi si battevano per l’indipendenza delle Fiandre non per un ideale, ma per continuare a esportare a condizioni vantaggiose la propria lana grezza, che veniva lavorata in città come Gand e Bruges per produrre tessuti di lusso. E a proposito di città, anche quelle italiane erano dentro a questa faccenda fino al collo.

Le cosiddette super companies delle famiglie fiorentine avevano un giro d’affari e una quantità di sedi paragonabili a quelli delle più grandi multinazionali di oggi. Date le loro dimensioni, erano sinonimo di sicurezza: piccoli e grandi risparmiatori depositavano nelle casseforti di Bardi, Acciaiuoli e Peruzzi il proprio denaro, che veniva poi investito in imprese commerciali nel Mediterraneo e in Europa. Si rivolgevano a loro anche il papa e i re (d’Inghilterra, di Francia, di Napoli eccetera), che si indebitavano per mantenere la vita di corte e pagare i mercenari in guerra. In cambio affidavano certe rendite alle compagnie (come la riscossione delle tasse, i dazi doganali, lo sfruttamento di particolari risorse, e così via). Per un banchiere, negare un prestito a un re era pressoché impossibile, ma era considerato relativamente sicuro: dopotutto un grande regno sarebbe stato capace di ripagare qualsiasi debito, giusto?

I fatti smentirono presto l’illusione: gli iniziali successi inglesi nella Guerra dei cent’anni non erano bastati per rimpinguare le casse del regno. Edoardo III dichiarò la bancarotta e quindi l’impossibilità di ripagare il debito ai banchieri fiorentini; si diffuse presto un odore di instabilità che si trasformò in panico: il papa, i nobili e il re di Napoli, e tutti i grandi investitori da tutta Europa corsero a ritirare il proprio denaro dalle casse fiorentine. Entro sei anni le compagnie di Bardi, Acciaiuoli e Peruzzi erano fallite, trascinando con sé tutte le aziende minori che gravitavano intorno a loro e chiunque vi avesse depositato denaro. Il tutto con la Peste nera dietro l’angolo. Per Firenze e per l’economia europea fu un momento traumatico, che portò a un cambiamento radicale nel modo di fare commercio (e che avrebbe tanto da insegnarci). Ma questa è un’altra storia.

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Il 1346 fu un anno difficile anche per un’altra precisa categoria di europei: i cavalieri. Nel luglio di quell’anno Edoardo III sbarcò in Normandia con circa 14.000-16.000 uomini (in quella che sarebbe rimasta la più grande operazione anfibia su territorio europeo fino al 6 giugno 1944), conquistò Caen e si diresse a est per riprendere il controllo delle Fiandre. Poco a sud di Calais, nella località di Crecy, le truppe di Filippo VI lo raggiunsero e lo affrontarono in battaglia il 26 di agosto.

Di fronte ai soldati inglesi (che Edoardo era riuscito a collocare in posizione favorevole su un’altura) si stima che fossero schierati tra i 20.000 e i 27.000 armati francesi. Fiore all’occhiello dell’esercito di Filippo era la cavalleria pesante, ammirata dal resto del continente perché rappresentava il combattimento nobiliare per eccellenza; erano uomini titolati e abituati alla vita cortese, addestrati alla guerra e impazienti di mettersi in mostra davanti al re. Spesso le battaglie si risolvevano con poche cariche di questi corpi d’élite, che travolgevano i nemici appiedati senza lasciare scampo.

Filippo era certo che sarebbe bastato anche a Crécy, complice il numero di effettivi superiore a quello di Edoardo. La battaglia si aprì come di consueto con una reciproca scarica di frecce, mentre un violento temporale estivo si abbatteva sugli eserciti. Sul fronte francese c’erano i mercenari genovesi, armati di balestre: a Crécy erano stati mandati avanti sprovvisti dei loro pavesi, i grandi scudi retti da uno scudiero dietro ai quali potevano ricaricare l’arma con relativa calma (rimasti nelle retrovie insieme alle munizioni di scorta), e questo li trasformò in bersagli facili; inoltre, la balestra andava ricaricata poggiandola a terra, attività piuttosto complessa sul terreno reso fangoso dalla pioggia, ed era molto macchinoso anche rimuovere le corde, che quindi si bagnarono e appesantirono. Per chi riusciva finalmente a tirare, sia la gittata sia la cadenza di tiro delle balestre erano inferiori rispetto all’asso nella manica inglese: l’arco lungo, o longbow.

La dicitura più corretta per quest’arma sarebbe arco lungo gallese. Erano stati infatti gli abitanti del Galles a perfezionarlo, poi con la conquista anglo-normanna della fine dell’XI secolo queste armi erano state incorporate nell’esercito inglese. Il perfetto arco lungo, realizzato in legno di olmo o di tasso, era leggermente più alto dell’arciere, e richiedeva un lungo addestramento per poter essere utilizzato propriamente (il carico gravava sulla spina dorsale e sulle articolazioni di mani e polsi, con conseguenze dolorose). Una freccia ben scagliata poteva penetrare un’armatura in cuoio o una cotta di maglia anche a 200 metri di distanza, e l’archeologia sperimentale ha dimostrato che un arciere ben addestrato e riposato poteva tirare più di 10 frecce al minuto.

Raramente una freccia da sola era mortale: la potenza di quest’arma stava nelle ferite e nella confusione che le frecce scatenavano se lanciate in grande numero. I re inglesi ne erano evidentemente entusiasti: per fare qualche esempio, all’inizio del XII secolo Enrico I dichiarò che le morti causate da qualcuno che si stava esercitando con l’arco non andavano considerate omicidi (chissà quanti “incidenti”), poi nel 1252 una legge di Enrico III impose a tutti gli uomini abili tra i 15 e i 60 anni di imparare a usare l’arma, e un secolo dopo lo stesso Edoardo III rese obbligatorio l’esercizio domenicale di tiro con l’arco.

A questo punto è intuibile la facilità con cui a Crécy il primo attacco francese fu respinto. Di fronte alla disfatta dei balestrieri, il re di Francia mandò all’assalto il primo gruppo di cavalieri pesanti, travolgendo buona parte dei propri tiratori in rotta. A questo punto i longbowmen aumentarono ulteriormente il tiro, falcidiando cavalieri a sufficienza da lasciare isolati quelli che riuscivano ad avvicinarsi alle linee nemiche. Non solo: gli Inglesi avevano anche avuto il tempo di scavare delle buche davanti al proprio schieramento, che grazie alla pioggia si erano trasformate in pantani difficili da attraversare a cavallo. I pochi francesi che sopravvivevano alle frecce e al fango (in salita) si trovavano davanti i lancieri e i cavalieri inglesi, scesi da cavallo e guidati dal leggendario primogenito del re, Edoardo il Principe Nero di Galles.

Furono una quindicina le cariche totali dei francesi, ognuna sui cadaveri delle precedenti, e proseguite fino al tramonto. I cavalieri erano uomini cresciuti a pane e chanson de geste, incapaci di concepire una morte disonorevole e lontana da un campo di battaglia; non mancarono quindi atti eroici come quello di Giovanni I di Lussemburgo, re di Boemia, quasi cieco da almeno dieci anni: quando gli dissero che il figlio era probabilmente nel folto della battaglia, fece legare le redini del proprio cavallo a quelle dei compagni e guidò un assalto suicida.

Era già buio quando Filippo VI, ferito a sua volta, chiamò la ritirata. La battaglia era stata più grande delle schermaglie a cui erano abituati gli Europei di quei decenni, per numero di uomini e di vittime. Le perdite totali a Crécy furono di circa 14.000 uomini per la Francia e di soli 200 per gli Inglesi. 1.500 cavalieri francesi erano morti, decimando l’alta nobiltà del regno e dimostrando a tutti che un piccolo gruppo di semplici arcieri poteva sconfiggere dei soldati d’élite considerati imbattibili prima di allora. L’esercito inglese era meglio organizzato e si era adeguato al terreno, concentrandosi sulla forza del gruppo e sull’importanza di una fanteria ben addestrata più che sulle abilità individuali di eroici cavalieri. In molti considerano questa battaglia e il secolo di guerra come la frattura definitiva tra Inghilterra e Francia, una sorta di distacco degli isolani dal cordone ombelicale a cui erano attaccati da trecento anni e l’inizio di due storie nazionali più lontane di quanto non lo fossero mai state.

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Dopo Crécy, Edoardo III assediò la vicina Calais (che sarebbe rimasta inglese fino al 1558), e la guerra continuò per un altro anno prima della successiva tregua. Gli altri trionfi inglesi, a Poitiers nel 1356 e ad Azincourt nel 1415 non sarebbero bastati a vincere la guerra, che si concluse nel 1453 con la riconquista francese di Bordeaux dopo l’incredibile epopea di Giovanna d’Arco. Lentamente bombarde e cannoni cominciavano a soppiantare le vecchie tecnologie, le fortificazioni si abbassavano e inspessivano, e la vita di un nobile si allontanava dalle prime linee della battaglia. Costantinopoli cadeva in mano ottomana nello stesso anno, mentre i Portoghesi esploravano le coste atlantiche dell’Africa. L’autunno del Medioevo era cominciato.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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