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Palmira, la “Sposa del deserto” minacciata dall’ISIS: ecco cosa rischiamo di perdere

Dopo Nimrud, Hatra e Mosul gli jihadisti sono ora a un passo da Palmira. La storia di una città meravigliosa, che non può, non deve essere distrutta.

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Colonnato Palmira

All’epoca in cui Davide fondò Gerusalemme e si combatteva la leggendaria guerra di Troia – siamo intorno al 1000 a.C.Palmira già esisteva da tempo. O, per meglio dire, esisteva Tadmor, l’antico nome (che significa appunto “palma”) con il quale è nota ancora oggi. Una città con oltre tremila anni di storia sulle spalle che rischia di essere cancellata, se il suo destino sarà comune a quello di Nimrud, Hatra e Mosul.
È di ieri, infatti, la notizia che le milizie dell’ISIS si trovano a due chilometri di distanza – oggi ridotta a solo un chilometro, secondo l’ANSA – dall’antichissima città. Ieri sera si è poi appreso che i jihadisti hanno giustiziato 23 civili, mentre centinaia di famiglie sono fuggite per evitare la loro furia. L’UNESCO teme che quella furia si abbatta ora sulle antiche rovine di Palmira e gli studiosi di tutto il mondo, preoccupati per la situazione, invocano l’intervento dei Caschi Blu dell’ONU per evitare una perdita che sarebbe dolorosissima per l’umanità.

Palmira è sempre stata ed è ancora una città assolutamente unica nel suo genere. Un romano sapeva bene che la città faceva parte dell’impero nel 200 d.C. eppure gli abiti, le acconciature, le usanze e perfino il cibo dei palmireni non gli sarebbero stati familiari. La millenaria identità di Palmira era più forte di quella dei conquistatori romani, più forte perfino dell’ellenizzazione che interessò tutto il mondo orientale: a Palmira si parlò sempre aramaico fino alla conquista araba nel 639 d.C. Palmira era anche una città estremamente ricca e doveva la sua prosperità all’abilità dei palmireni, i quali seppero perfezionare il mestiere di “viaggiatori del deserto”. La sua posizione era estremamente strategica per le carovane che giungevano dall’Oriente e dovevano arrivare fino ad Alessandria, perché costituiva il primo punto di approdo dopo il deserto. Gli abitanti di Palmira si specializzarono nel proteggere dai predoni del deserto le carovane lungo i trecento chilometri che separavano la loro città dall’Eufrate, grazie al quale le merci venivano poi trasportate fino al Golfo Persico; ma dopo aver istituito delle vere proprie “compagnie”, essi divennero a loro volta mercanti e controllarono il mercato che tra l’Oriente dell’India e della Cina e l’Occidente dominato dai romani. Una sorta di antico capitalismo, insomma, con buona pace delle leggi contro il monopolio: questo valse a Palmira il titolo di “Sposa del deserto“.

Palmira

Nel 267 la città fu protagonista di un tentativo di “ribellione” all’impero, condotto da parte di una potente famiglia aristocratica locale. Non si trattò di una vera e propria rivolta: l’impero attraversava gli anni più difficili della propria storia e nessun imperatore riusciva a mantenere le redini del potere. In questa situazione prima Odenato e poi Zenobia tentarono di istituire una sorta di principato d’Oriente, ma si scontrarono con Aureliano, l’imperatore più energico di quegli anni.
La città godette di nuova fama, benché minore, nel periodo bizantino e in quello arabo, tanto che vicino ad essa la dinastia degli Omayyadi costruì due castelli.

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Di tutto questo sono un riflesso l’arte e l’architettura di Palmira, conservatesi in modo quasi perfetto. L’edificio principale è il tempio di Bel o Baal, divinità del cielo poi assimilata a Zeus, che si innalza al centro di un recinto rettangolare e di un porticato sostenuto da colonne; il tutto, racchiuso da un muro quasi cieco che lo isola, in un modo che ricorda molto le moschee. Altro centro focale della città è la lunga via colonnata, che fungeva da mercato e da luogo di ritrovo e attraverso cui non si poteva passare con i carri per non intasare la città con il traffico.

A questi edifici si aggiungono l’agorà greca, le terme di Diocleziano, che secondo alcuni studiosi furono poi il palazzo di Zenobia, e il teatro risalente al secondo secolo d.C., uno dei pochi esempi di teatro romano perfettamente conservato.
Il rischio è che l’ISIS distrugga tutto questo e saccheggi il museo di Palmira per autofinanziarsi con la vendita clandestina delle opere artistiche. Ci auguriamo solo che la storia non si ripeta.

ritratto palmira

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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