L’ultima immagine di Marco Pannella è quella nella sua casa, insieme con un personaggio che non ci si aspetterebbe ma che l’ottuagenario aveva apertamente sostenuto nella sua discesa in campo nel 1994: Silvio Berlusconi. Ma «el coleta» (come lo chiamerebbero in Spagna, per via del suo codino) non era certo lontano da colpi di scena e prese di posizioni spesso non comprensibili, all’occhio stanco della normalità.
Lo ricordiamo ancora mentre, destreggiandosi al Parlamento Europeo, tra la I e la VI legislatura, fondò con il Front National un gruppo parlamentare tecnico allo scopo di ottenere più tempo di parola in aula. Era un cittadino europeo e una voce costantemente critica, spesso e volentieri non compresa. I suoi salti da radicale, il partito che contribuì a fondare nel 1955, possono essere visti e interpretati erroneamente se letti con gli schemi rigidi della fede ortodossa alla normalità.
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Pannella è stato direttore di Liberazione e di Lotta Continua, sostenne i governi di Romano Prodi ed era un liberale in Europa. Fu negli anni ’60 uno strenuo sostenitore dell’unione di tutte le sinistre, compreso il Pci, in un nuovo fronte democratico. E allora perché lo ricordiamo come uno dei più grandi e influenti personaggi politici della Repubblica Italiana? Cosa diremmo oggi di un uomo, che per tutta la sua vita ha “campato di pane e politica”, tra Strasburgo e Roma, cambiando alleanze e adattando, come direbbe Giovanni Giolitti, «il vestito alla gobba di chi lo indossa»? Diremmo che è un trasformista, uno che cambia casacca secondo la squadra che vince. Ma Pannella era tutto fuorché un trasformista. Il suo danzare perpetuo tra i gruppi politici, era l’unico modo per perseguire in modo integerrimo le proprie cause.
Pier Paolo Pasolini, in una lettera preparata per il congresso del Partito Radicale nel novembre 1975 – al quale non poté partecipare, visto che venne ucciso due giorni prima dell’inizio dei lavori – scrisse:
«Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali […] voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare».
Essere irriconoscibile e continuare imperterrito nella sua lotta è stato il solo modo che gli ha permesso di vincere tutte le sue battaglie: a favore della libertà di scelta sull’aborto, del divorzio e dell’obiezione di coscienza alla leva, contro i Patti Lateranensi fra Stato italiano e Vaticano, per la depenalizzazione delle droghe leggere e il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri, solo per citarne alcuni. E sì, perché Pannella è stato prima di tutto un campione dei diritti civili, un combattente in difesa degli ultimi, un liberale fino in fondo, un pacifista e anticlericale, un difensore della libertà di ricerca scientifica, un anti-partitocratico e per la libertà sessuale, anti-giustizialista e strenuo sostenitore della democrazia referendaria.
Insomma, era un liberale, di quelli vecchio stampo, ma allo stesso tempo irriverente. Era uno che metteva al primo posto i diritti degli individui e il rispetto del loro essere umani. Quei liberali e europeisti, che l’Italia, purtroppo, sembra non averne più, o che forse non ha mai avuto.
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