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Ando GILARDI (1921-2012), autoritratto allo specchio con la Leica. Era uno degli apparecchi fotografici con cui fu eseguita la campagna fotografica al seguito di Ernesto De Martino. Fotografia di Ando Gilardi, 1957 circa

Passione per la fotografia e
per la storia: Ando Gilardi
raccontato in un’intervista

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32 minuti di lettura

«Senza le fotografie, niente è davvero successo». Con questa frase, Ando Gilardi, fotografo, giornalista, storico e critico, originario dell’alessandrino, scomparso nel 2012, aveva descritto una serie di scatti della seconda guerra mondiale, all’interno di un campo di sterminio. Questo pensiero ci pone davanti a un tema attualissimo, oggi più che mai con il bombardamento di immagini che subiamo costantemente. «Le parole dette e scritte sono morte come foglie secche»: il linguaggio, come siamo abituati a conoscerlo e percepirlo, non ha più valore, non ci spiega più niente. È sufficiente un’immagine, e con quella è tutto dannatamente più reale. Siamo pigri, non abbiamo tempo per approfondire. Abbiamo fame di immediatezza. Ed ecco il nuovo linguaggio: più diretto, più espressivo, più vero.

Ando GILARDI (1921-2012), autoritratto allo specchio con la Leica. Era uno degli apparecchi fotografici con cui fu eseguita la campagna fotografica al seguito di Ernesto De Martino. Fotografia di Ando Gilardi, 1957 circa
Ando GILARDI (1921-2012), autoritratto allo specchio con la Leica. Era uno degli apparecchi fotografici con cui fu eseguita la campagna fotografica al seguito di Ernesto De Martino. Fotografia di Ando Gilardi, 1957 circa

Ando Gilardi, classe 1921, iniziò ad interessarsi alla fotografia nel 1945, quando a Genova si occupò, per conto di una commissione d’inchiesta, della ricerca, riproduzione e restauro di immagini del conflitto, e in particolare di quelle inerenti ai crimini nazi-fascisti, per la documentazione giudiziaria ai fini processuali. La guerra lui l’aveva vissuta in prima persona, come partigiano di montagna nelle zone di confine tra Piemonte e Liguria, nonostante una parziale invalidità dovuta alla poliomielite contratta da bambino, che lo dispensava dagli obblighi di leva.

Alcune stampe fotografiche che documentano la Shoah, nucleo della Fototeca Storia Nazionale fondata da Ando Gilardi nel 1959
Alcune stampe fotografiche che documentano la Shoah, nucleo della Fototeca Storia Nazionale fondata da Ando Gilardi nel 1959

Negli anni ’50 concepì l’idea della Fototeca che divenne realtà nel 1959 a Roma, dove Gilardi lavorava come giornalista e fotografo etnografico per varie testate, fondandola con la moglie Luciana. Nel 1969, la sede della Fototeca fu trasferita a Milano, dove iniziarono nuove e prestigiose collaborazioni, nonché nuovi progetti editoriali come Photo 13, Phototeca, Storia Infame, periodici che furono pubblicati dal 1969 al 1989. Nel 1979, Gilardi ideò il gruppo Foto/gram, cominciò a tenere corsi itineranti di fotografia in tutta Italia, pubblicò manuali e saggi, creò la Tri-camera Obscura, una sorta di fotocamera di cartone che utilizzava per insegnare.

Ando GILARDI (1921-2012) scrive una breve spiegazione didattica per i bambini sui fogli di carta sensibile esposta alla luce su cui ha fatto loro lasciare un'impronta con le mani bagnate nel fissaggio o nello sviluppo; si trovano nello stand allestito da Foto/gram con la collaborazione dell'Istituto Europeo di Design per Ilford-scuola, alla Festa Nazionale dell'Unità, Torino, settembre 1981.
Ando GILARDI (1921-2012) scrive una breve spiegazione didattica per i bambini sui fogli di carta sensibile esposta alla luce su cui ha fatto loro lasciare un’impronta con le mani bagnate nel fissaggio o nello sviluppo; si trovano nello stand allestito da Foto/gram con la collaborazione dell’Istituto Europeo di Design per Ilford-scuola, alla Festa Nazionale dell’Unità, Torino, settembre 1981.

Nel 1993 Ando Gilardi si trasferì con la moglie nel Monferrato, da dove continuò a lavorare, ad allestire mostre e a scrivere di fotografia. Nel 1995 dalla sua casa-laboratorio realizzò come Fototeca e con una équipe di storici La Gioconda di Lvov. Immagini Spontanee e testi relativi ai fatti dello sterminio, una mostra che lui definiva diversa: «più che altro un nuovo sistema di comunicazione da parete» dove le immagini venivano associate ai brani dei testi storici che raccontavano gli eventi, in questa occasione ha scritto la frase citata in apertura.

Fu uno dei primi fotografi a confrontarsi con la fotografia digitale, a usare un canale You Tube e i social network per comunicare con il mondo ed esprimersi sulla società contemporanea.

Del gruppo Foto/gram facevano parte le sorelle Elena e Patrizia Piccini, che possiamo considerare le attuali custodi della Fototeca Storica Nazionale, oggi Fototeca Gilardi, il cui archivio è costituito da 500.000 immagini – tra fotografie, fotocollografie, litografie, cromolitografie, xilografie, calcografie, dipinti e documentazione editoriale. Ci sono immagini d’epoca, riproduzioni di opere d’arte, fotografie prese dalla realtà, copertine, prime pagine di giornali, pubblicità, un patrimonio iconografico davvero unico.

Patrizia e Elena Piccini, osservano insieme ad Ando Gilardi una pubbicazione online, durante la lavorazione della mostra "Olive & Bulloni", 2009
Patrizia e Elena Piccini, osservano insieme ad Ando Gilardi una pubbicazione online, durante la lavorazione della mostra Olive & Bulloni, 2009

Per saperne di più incontriamo le sorelle Piccini. Grazie Elena e Patrizia per la vostra disponibilità. Avete avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con questo grande Maestro della fotografia, e la prima domanda non può che essere questa: chi era realmente Ando Gilardi, per come lo avete conosciuto?

Elena – Ando era sicuramente una persona fuori dal comune. Una grande intelligenza e una grande sensibilità intellettuale applicata principalmente nel campo della comunicazione e delle immagini, ma con un «background pazzesco» (sua auto-ironica definizione in stile fantozziano) che spazia dalla filosofia alla teologia con molta creatività e divertimento. Aveva senza dubbio la libido docendi, (cit. Umberto Eco) insegnare, soprattutto ai giovani, era una sua grande passione. Fino agli ultimi momenti della sua vita, si divertiva progettando lezioni sulla nascita, fabbricazione, riproduzione delle immagini attraverso temi non convenzionali. E così lo abbiamo conosciuto noi: a una lezione-conferenza nel 1979 presso l’Istituto Statale d’Arte di Monza che frequentavamo. Erano gli anni in cui era appena uscito Storia Sociale della Fotografia, uno dei testi sui quali abbiamo studiato ed è stato molto emozionante conoscere in quell’occasione l’autore di persona.

Ando GILARDI Lezione di tecnica fotografica. In prima fila davanti alla cattedra Patrizia Piccini una delle studentesse assistenti di Gilardi. Foto/gram, CTU Centro Televisivo Univesitario (via Celoria). Fotografia di Elena Piccini, Milano, 1979
Ando GILARDI Lezione di tecnica fotografica. In prima fila davanti alla cattedra Patrizia Piccini una delle studentesse assistenti di Gilardi. Foto/gram, CTU Centro Televisivo Univesitario (via Celoria). Fotografia di Elena Piccini, Milano, 1979

Patrizia – Mi associo alla prima definizione di Elena: Ando era una persona decisamente fuori dal comune… Anche nel senso che si teneva fuori dai cosiddetti salotti mondani, fuori dalla comunità di intellettuali organici, intimamente libero e incapace di allinearsi a qualsiasi corrente di pensiero precostituita. Su ogni cosa aveva un suo punto di vista originale, spesso spiazzante, e si divertiva molto a difenderlo dal cosiddetto senso comune. Anche a noi ha trasmesso il gusto di allontanarsi dalle opinioni correnti, di partire con l’idea che niente è ciò che sembra. Oltre che insegnarci un mestiere, possiamo dire che ci ha dato anche moltissimi insegnamenti sul vivere: uno sopra tutti l’indipendenza come massimo valore, tra i più cari da difendere. Un altro valido aiuto a vivere, si trae dalla certezza che da tutti gli errori nascano sempre soluzioni migliori del progetto originale, ottimo balsamo per l’autostima di chi lo circondava sia nel lavoro che nella vita. Con questo non voglio dire che lavorare con lui fosse semplice, se avevi la fibra era divertente come andare sulle montagne russe del luna park: salivi piano, scendevi veloce. Nel processo creativo: dalla disperazione all’entusiasmo, quante volte…

Che cos’era per lui la fotografia?

E – Ando citava sempre questa definizione di fotografia, così come si legge nelle memorie di Nadar: «La Fotografia è quella cosa che consente anche a un idiota di ottenere risultati per cui prima occorreva del genio» e poi aggiungeva di suo «ma è pur quella cosa che costringe un genio a ottenere risultati per cui sarebbe sufficiente un idiota». Una definizione soddisfacente di fotografia non l’ha mai trovata, però si «vantava di aver scoperto delle piccole verità» come diceva lui: «chi fotografa si illude di produrre una immagine quando invece la consuma» oppure «le fotografie non si fanno ma si prendono».

P – Aggiungo che Ando, proprio nei suoi ultimi anni di vita, aveva maturato una definizione folgorante che sempre ripeteva a chiunque gli facesse questa domanda: «La Fotografia è la palingenetica obliterazione dell’io cosciente che s’infutura nell’antropomorfismo universale». La risposta, diceva, era anche un test: se chi aveva domandato prendeva nota affannosamente era stupido, chi invece si metteva a ridere come un matto voleva dire che la risposta la conosceva da sé.

Scatole cilindriche che contenevano originariamente l'archivio dei negativi dei reportage di Ando Gilardi degli anni 1950 - 1962
Scatole cilindriche che contenevano originariamente
l’archivio dei negativi dei reportage di Ando Gilardi
degli anni 1950 – 1962

Qual era il suo rapporto con la fotografia digitale?

E – Direi entusiasmante!

P – È stata la passione della sua ultima stagione, al punto che era diventata l’argomento di cui parlava più volentieri. Anzi, addirittura, con qualsiasi persona lo venisse a trovare, cercava il modo di portare il dialogo sul digitale e il visitatore era subito valutato in merito a quanto fosse informatizzato. Se l’interlocutore era fotografo e lavorava ancora in analogico, veniva come catechizzato, se invece lavorava già in digitale incominciava un appassionato scambio di informazioni tecniche e di suggerimenti di metodo che Ando elaborava dalla sua sterminata cultura nei procedimenti di fabbricazione delle immagini. La fotografia digitale era l’ennesimo anello de La catena di trasmissione delle immagini, che è il titolo/metafora di una sua celebre lezione di storia dell’uso e diffusione delle immagini nella nostra società.

Quanto è importante oggi il suo lavoro?

E – Senza dubbio è stato un precursore. Il suo lavoro è stato fondamentale ma non abbastanza riconosciuto. Per esempio, è stato il primo in Italia a pubblicare le fotografie dello sterminio nazista sulla stampa nazionale. È stato il primo a costituire in Italia una raccolta di immagini storiche bene organizzate per il ritrovamento, l’attuale Fototeca Gilardi. È stato il primo ad analizzare le ripercussioni della scoperta della fotografia, dal punto di vista storico sociale oltre che tecnico con il saggio Storia Sociale della Fotografia e a scrivere quelli che lui chiamava «i capitoli mancanti nella storia della fotografia» quello sull’immagine erotica, fertile, pornografica e quello su fotografia criminale segnaletica e giudiziaria, sviluppati nei saggi Storia della fotografia pornografica e Wanted!, temi oggi trattati e approfonditi da molti artisti, storici o curatori, interessati dalle sue ricerche. Inoltre, anche nell’ambito dell’uso creativo dei materiali fotosensibili e nell’uso di materiali e procedimenti fotografici, ha operato un lavoro pionieristico facendosi portatore di un progetto per l’insegnamento di tutte le materie nelle scuole primarie con l’uso della fotografia: il famoso gruppo Foto/gram citato all’inizio.

P – Per noi il suo lavoro è stato ed è fondamentale: la risposta di Elena rivela il suo sentire quasi da “fan”, con una leggera sfumatura di rivendicazione. Condivido. Oggi ci divertiamo a scoprire tracce di Ando qui e là e siamo arrivate alla conclusione che il suo essere stato sempre un po’ un clandestino della cultura fotografica, sia stata una scelta consapevole e divertita. Siamo convinte che il suo lavoro di ricercatore, in camera oscura, in biblioteca e oltre, sia stato importante oltre che per noi anche per il resto del mondo: per il decennio ‘70-‘79 lo ha pubblicato sulla stramba rivista Photo 13 e nel decennio ‘80-‘89 in Phototeca, già citate nella presentazione: entrambe oggi difficili ma non impossibili da trovare. Photo 13 trattava di tecnica e storia della fotografia, oltre che presentare i primi fotografi autori, che usavano il mezzo con un linguaggio nuovo che in quegli anni stava per nascere. Phototeca invece trattava di storia della iconografia e dell’impatto sociale conseguente alla rivoluzione fotografica, tutto in epoca ante-internet, ante-social network… Facciamo nostra l’affermazione di Francesca Seravalle, sua allieva anche lei e come noi appartenente allo stesso fan-club: «tutto quello fatto successivamente da Jaar, Fontcuberta, Kessles etc.. prima è stato fatto da lui».

L'archivio analogico: cassette in legno contenente schede cartacee con incollati provini di negativi in pellicola
L’archivio analogico: cassette in legno contenente schede cartacee con incollati provini di negativi in pellicola

Parlateci della Fototeca Storica Nazionale. Che cosa racchiude e quanto è fondamentale il suo archivio per il mondo contemporaneo, già così ricco, o meglio traboccante se non saturo, di immagini?

P – La particolarità della nostra Fototeca è che nella stragrande maggioranza dei casi non conserva i cosiddetti originali, ma la loro riproduzione. Quindi sono tutte immagini di altre immagini e questa è una modalità di lavoro molto gilardiana. La seconda particolarità è che la raccolta non privilegia le immagini importanti, come possono essere dipinti o fotografie d’autore conservati nei musei di ogni luogo, ma ribaltando la consuetudine, si fonda sui cosiddetti «spiccioli dell’immagine» cioè figurine, copertine, prime pagine, frontespizi, cartoline, francobolli, etichette, foto-ricordo, e affida a queste umili messaggere molto pop, il compito di illustrare in modo inconsueto un evento o un concetto. Ando diceva che esiste già un’immagine per qualsiasi cosa si debba illustrare, sì appunto, che il mondo è saturo di immagini, inutile crearne nuove… conviene sempre adottarne una già nata.

E – Ogni raccolta che preserva testimonianze visive di un tempo passato è importante, uno dei suoi aforismi che utilizziamo spesso per promuovere il nostro archivio è «Il tempo passa, le immagini restano». Fondamentale è conservare insieme alle immagini le relative informazioni – anno, data, luogo, soggetto –, notizie senza le quali potrebbero perdere il loro valore e il motivo di essere conservate. È vero che siamo saturi di immagini, ma… il problema di questo sovraffollamento riguarda quelle nuove e ancora da prendere, in un certo senso non ci riguarda! Noi pensiamo alla valorizzazione di quelle che hanno un significato documentario, che testimoniano un evento o l’esistenza di un personaggio del passato. A questo proposito mi viene in mente un altro motto questa volta coniato da Patrizia, che abbiamo usato per promuovere una sezione dell’archivio dedicata alla storia più recente, quella dagli anni ‘70 ai ‘90 del secolo scorso, «Sembra ieri ma è già storia» che raccoglie le fotografie di Edoardo Fornaciari, che proseguono in una ideale linea temporale la documentazione raccolta durante gli anni ‘50 e ‘60 nella sezione Ando Gilardi reporter: i foto-servizi realizzati per la rivista Lavoro, (settimanale CGIL) e durante le spedizioni antropologiche per Ernesto De Martino o per l’etnomusicologo Diego Carpitella. Arricchiscono l’offerta iconografica di Fototeca Gilardi l’illustratore Dariush, con i suoi inconfondibili ritratti dei protagonisti di tutti i tempi e Libico Maraja, storico illustratore per l’infanzia. Grazie a una lunga scambievole collaborazione con l’agenzia Leemage di Parigi che distribuiamo in Italia e da cui veniamo distribuiti in Francia, abbiamo acquisito molte riproduzioni di opere d’arte, custodite in musei francesi e nord Europa. Inoltre in un’altra sezione molto gilardiana dedicata alla fotografia criminale giudiziaria, offriamo la collezione fotografica di Fabrizio Urettini costituita da segnaletiche, confronti all’americana, fotorilievi dalle scene del delitto e altre immagini a supporto delle scienze forensi. L’offerta e la varietà illustrativa è veramente strabordante: tutto ciò ha un valore documentario perché è bene organizzato. Viviamo nella civiltà delle immagini, per far un esempio citando ancora un suo aforisma «Esistono più immagini di elefanti che elefanti»: il mondo reale è stato da tempo superato numericamente da quello della sua raffigurazione, grazie alla tecnica fotografica e alla sua capacità di riprodurre e riprodursi velocemente in migliaia di esemplari. Oggi con la fotografia digitale questo è ancora amplificato dal fatto che i costi di produzione sono drasticamente tagliati, basta pensare al fatto che non esiste più un costo del supporto, della pellicola. Quindi è quanto mai importante selezionare e scegliere quali immagini conservare, per i posteri… il sovraffollamento di immagini cui dicevamo prima pensandoci bene, interessa anche noi.

L'archivio analogico: cassette in legno contenente schede cartacee che contengono diapositive colore
L’archivio analogico: cassette in legno contenente schede cartacee che contengono diapositive colore

In cosa consiste il vostro lavoro all’interno della Fototeca?

P – In questi ultimi 15 anni abbiamo lavorato per traghettare il repertorio dall’analogico al digitale, cioè trasformare carta e pellicola in file, cominciando dalle sole didascalie per arrivare alle immagini con didascalie, dati tecnici e informazioni legali incorporate. Risale al 2002 il nostro primo gestionale pubblicato su Internet all’indirizzo www.fototeca-gilardi.com, nel 2010 il nostro approdo alla piattaforma attuale Momapix e nel 2013 il sito è stato già completamente ridisegnato. Nel nostro sito attuale, chiunque venga a visitarci, può consultare l’archivio liberamente, ovvero cercare le immagini tramite parole; con la registrazione acquisisce la facoltà di scaricare le basse risoluzioni delle immagini, su richiesta inviamo le alte manualmente. A breve introdurremo la facoltà di poter scaricare anche le alte risoluzioni in autonomia, previo il pagamento del diritto di riproduzione. La mia parte di lavoro in questa impresa consiste nell’amministrazione tecnica e redazionale del sito, oltre che eseguire fotografie still life di piccoli oggetti storici, quando richiesto espressamente dal qualche photoeditor. Ad aiutarci abbiamo due redattrici, una si dedica al blog e l’altra verifica e ottimizza la compilazione delle schede in italiano. In questi ultimi anni il mercato delle immagini si è globalizzato e dato che le immagini in digitale possono essere facilmente distribuite su altre piattaforme per aumentare la visibilità in rete e di conseguenza le vendite, tra i miei compiti c’è anche quello di ricercare nel mondo nuovi lidi dove approdare…

L'archivio online sul Web: le immagini analogiche sono progressivamente digitalizzate e caricate su motore di ricerca gestito da Momapix, che ne permette la consultazione, lo scarico per l'utilizzo a diversi livelli
L’archivio online sul Web: le immagini analogiche sono progressivamente digitalizzate e caricate su motore di ricerca gestito da Momapix, che ne permette la consultazione, lo scarico per l’utilizzo a diversi livelli

E – … E io mi occupo principalmente della scansione delle immagini analogiche (ancora su pellicola) e dell’ottimizzazione dei file digitali. Inoltre ricevo le richieste dalle redazioni di giornali, libri e in genere dai photoeditor, quindi il mio compito è di effettuare le ricerche di approfondimento su commissione, nel nostro repertorio off line ancora da digitalizzare oppure se occorre anche all’esterno, presso biblioteche, emeroteche e collezioni private. Dobbiamo precisare che alcuni lavori sono specifici per ognuna delle due, mentre altri sono costruiti a quattro mani, per esempio quando progettiamo e realizziamo mostre, conferenze o pubblicazioni, in autonomia o insieme ad altri collaboratori.

Insieme a Fabrizio Urettini abbiamo curato le mostre Olive & bulloni. Ando Gilardi. Lavoro contadino e operaio nell’Italia del dopoguerra (1950-1962) nel 2009 e L’immagine di una immagine è sempre immagine per SiFest Savignano sul Rubicone nel 2012.

Bambini che salutano col pugno chiuso. I braccianti raccomandavano ai figli di salutare con questo gesto tutti gli operatori fotografici e cinematografici che venivano a prendere immagini nei loro luoghi. L'immagine fa parte della mostra Olive e bulloni - Ando Gilardi Lavoro contadino e operaio nell'Italia del dopoguerra 1950-1962. Fotografia di Ando Gilardi
Bambini che salutano col pugno chiuso. I braccianti raccomandavano ai figli di salutare con questo gesto tutti gli operatori fotografici e cinematografici che venivano a prendere immagini nei loro luoghi. L’immagine fa parte della mostra Olive e bulloni – Ando Gilardi Lavoro contadino e operaio nell’Italia del dopoguerra 1950-1962. Fotografia di Ando Gilardi

Sempre con Fabrizio Urettini imminente è l’apertura della mostra Facce da Miracolo: Ando Gilardi fotoreporter per Lavoro 1950-1962 spin off della prima citata e allestita alla Farmacia Wurmkos di via Puccini, 60 Sesto San Giovanni, con inaugurazione il 19 aprile 2016 ore 18,30 a cui invitiamo tutti, la mostra rimarrà comunque aperta fino al 24 maggio.

Melissa (Crotone) 1950. Foto di Ando Gilardi
Melissa (Crotone) 1950. Foto di Ando Gilardi

Nel 2013, è uscito postumo il libro La stupidità fotografica. Di che cosa parla e a chi lo consigliereste?

P – È un libro che sollecita una riflessione in merito a che succede stando davanti a un apparecchio fotografico, oltre che dietro e che induce a fare emergere il bambino rimasto in noi. Catalizza e sollecita istinti burloni, io lo consiglierei a chi sta passando un momento triste, con la raccomandazione di non reprimere i suoi istinti insensati, di lasciarsi andare alla stupida stupidera e lasciarla fluire leggera leggera, con l’aiuto di un apparecchio fotografico di qualsiasi tipo.

E – Rivelatore rimane il fatto che l’ultimo libro scritto da Ando non sia triste o arrabbiato ma… Allegro ma non troppo per citare il titolo di Carlo M. Cipolla, al quale lo ha dedicato.

La stupidità fotografica
La stupidità fotografica

Secondo voi, la figura di Ando Gilardi ha oggi lo spazio e l’importanza che dovrebbe avere nel panorama fotografico mondiale?

E – Ando ha avuto molte intuizioni, oso dire profetiche sulla fotografia, e per questa sua natura di precursore dei tempi e di analizzatore dei fenomeni iconologici sociali senza filtri, ha spesso messo in discussione la direzione in cui andava la cultura fotografica italiana, per questo ha sempre avuto una difficile considerazione, anche in Italia. Quando è uscito Storia Sociale della fotografia nel 1976 non sono mancate le polemiche di chi lo accusava di una esposizione troppo partigiana della causa fotografica a favore delle classi subalterne. Nel panorama fotografico mondiale invece ad esempio in questi giorni alla Getty Foundation di Los Angeles si sta tenendo un conferenza studio sul fotogiornalismo in Italia in cui si parlerà di Gilardi e della sua rubrica divulgativa sulla Fotografia pubblicata su Vie Nuove negli anni ‘60/’70 del secolo scorso. Questo significa che forse i tempi saranno maturi, se non ora presto, per una considerazione maggiore anche in Italia.

P – Aggiungo che purtroppo, nonostante le nostre sollecitazioni, nessuno dei suoi editori ha accolto fino a ora l’idea di fare la traduzione in inglese dei suoi saggi. Probabilmente avrebbe favorito la popolarità della sua figura nell’ambito del panorama fotografico mondiale. La diffusione dei suoi scritti così è rimasta riservata a un pubblico di nicchia di specialisti, come dicevamo all’inizio, si trovano qui e là frammenti di Ando. Quello che assolutamente dovremmo fare noi è pubblicare la traduzione della voce Ando Gilardi di Wikipedia in inglese… uno dei miei rimorsi: non riesco a trovare il tempo per farlo. Se tra i lettori qualcuno volesse prendersi l’incarico…

Ando GILARDI Storia sociale della fotografia; copertina della prima edizione, Feltrinelli, Milano 1976
Ando GILARDI Storia sociale della fotografia; copertina della prima edizione, Feltrinelli, Milano 1976

Qual è il più grande insegnamento che vi ha lasciato?

E – Abbiamo conosciuto Ando Gilardi che eravamo giovanissime, così abbiamo vissuto in modo intenso la formazione personale oltre che professionale, con lui abbiamo trascorso lunghi periodi insieme full-immersion durante le trasferte dei corsi di fotografia in cui eravamo le sue assistenti e durante le lunghe vacanze estive passate in collina nella sua casa-laboratorio nel Monferrato, anche insieme alla moglie Luciana: anticipando i tempi ancora una volta, formavamo quasi una famiglia di fatto. Senz’altro ci ha lasciato una singolare cultura fotografica e sulle immagini in generale, sulla loro fabbricazione, riproduzione e organizzazione, ma questo è un po’ ovvio: la Fototeca Gilardi di oggi, con la sua parte digitale che affianca quella storica e analogica, è il risultato di questi suoi insegnamenti. Io credo che lui ci abbia insegnato anche l’importanza della libertà e dell’indipendenza. La Libertà che lui ha conquistato combattendo da partigiano e l’indipendenza anche economica, che ha mantenuto con il lavoro che ci ha tramandato.

P – Il più grande insegnamento? Far sì che il tuo lavoro coincida con la tua vita e non permettere a niente e a nessuno di rovinarti questo piacere.

Ando GILARDI alla scrivania dello studio di Milano all'epoca della lavorazione della "Unabashed History of Photographic Erotica" in formato CD Rom. L'autore mostra a confronto il disco tecnologico contenente migliaia di immagini digitali nascoste e il disco "dell'età della pietra" con una sola immagine fatta a mano ben in vista. Fra i due estremi supporti, un banco ottico per la memorizzazione di immagini formate dalla luce su supporto analogico, ovvero emulsione fotosensibile su lastra di vetro o di celluloide. Fotografia di Patrizia Piccini, Milano 1990
Ando GILARDI alla scrivania dello studio di Milano all’epoca della lavorazione della “Unabashed History of Photographic Erotica” in formato CD Rom. L’autore mostra a confronto il disco tecnologico contenente migliaia di immagini digitali nascoste e il disco “dell’età della pietra” con una sola immagine fatta a mano ben in vista. Fra i due estremi supporti, un banco ottico per la memorizzazione di immagini formate dalla luce su supporto analogico, ovvero emulsione fotosensibile su lastra di vetro o di celluloide. Fotografia di Patrizia Piccini, Milano 1990

Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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