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roma città aperta

Perché «Roma città aperta» è ancora il film simbolo della Liberazione

3 minuti di lettura

A coloro i quali affermano che parlare oggi, ancora, di Roma città aperta sia operazione arcinota, è bene rispondere che esistono film che resistono al tempo, allo spazio e a qualsiasi retorica. La Settima arte ha dato vita a prodotti di pregio assoluto, offrendo un racconto della Resistenza pari – e a volte persino superiore– a quello dato dalla letteratura. Come ogni forma artistica che si rispetti, questa è stata in grado di evolversi negli anni, maturando forme narrative di volta in volta più mature, meno convenzionali, capaci di narrare il dramma della guerra con l’occhio al passato e un piede nel futuro.

La visione de La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani scuote ancora nel profondo coloro che, attraverso la rievocazione della strage del Duomo di San Miniato, hanno potuto sfiorare i pensieri e le paure della “povera gente” impegnata in un conflitto nel conflitto, con la fame che stringe alla gola e le spalle esposte agli attacchi del nemico. Era il 1982 e un nuovo corso narrativo si affacciava all’orizzonte. Eppure è proprio dagli anni “caldi” che escono i prodotti migliori, quando il presente si fa già storia e più che cogliere le cause ci si sofferma sugli effetti. Vivere in presa diretta gli eventi può causare shock e scosse emotive, ma rende possibile narrare con il cuore quel prato martoriato che, dopo anni di torture, ritorna a fiorire.

Roma città aperta nasce così, quasi d’impeto, a soli tre mesi di distanza dalla liberazione della capitale. È il 1944 e Roberto Rossellini, forse l’unico in grado di raccontare davvero la storia, realizza quella che sarà l’opera manifesto del Neorealismo e il ritratto più crudo e struggente dell’Italia liberata. Tra i resti e le macerie di una città ancora in guerra, il regista mostra senza filtri, nero su bianco (il nero dei corpi in movimento sul bianco dello sfondo, giacché per definizione il bianco è un non colore e contiene in sé tutti gli atri) le torture, i soprusi, le ferite di una guerra che si dipana tra i fotogrammi, rivelandosi mai così vicina anche a settant’anni di […] Continua a leggere su NPC Magazine

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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