È una relazione poco pacifica quella tra letteratura e pornografia, schiacciata dal peso dell’inibizione, della rincorsa a un erotismo un po’ più osé e dunque scomposto, ibrido, quasi a certificare l’ipertrofia anestetizzante del porno prêt-à-porter, tanto pervasivo da costringere l’immaginario entro margini codificati, svuotando così quel serbatoio di temi e simboli che, per sua natura, si apre a un’indagine sfumata e fantasmatica.
Contrariamente al campo tematico, infatti, l’analisi immaginativa comporta un disallineamento tra “storia” e “narrazione”, giacché prediligere uno o più motivi significa identificare una zona di coincidenza o intreccio tra rappresentazioni artistiche e contesto extradiegetico. È dunque questa seconda nozione, più problematica e ambigua, a meglio adattarsi a un perimetro – quello della pornografia – che già di per sé intrattiene un rapporto controverso con il reale, fotografandone lati parziali, posticci, volutamente caricaturali in un’ottica spesso maschile e dominante.
L’immaginario, rileva il critico Raffaele Donnarumma, è tre cose insieme:
In primo luogo, è un archivio di forme, temi, motivi sedimentati nella cultura, la cui storicità è ben chiara soprattutto a chi si scosta dalla dottrina junghiana degli archetipie dell’inconscio collettivo […]. In secondo luogo, è una facoltà che produce miti, racconti, interpretazioni della realtà. Il suo rapporto con quest’ultima, tuttavia, non è lineare, sia perché la riconduce a schemi preesistenti – e dunque sempre, mentre le dà una forma, la falsifica –, sia perché cerca negli eventi un grado di generalità che non necessariamente riesce a salvare quanto è in esso di individuale e specifico. In terzo luogo, dunque, immaginario conserva le accezioni di “irreale”, “inventato”, “fantasmatico”: esso vela e mistifica la realtà, senza però poter esser…