Linee senza fine, palloncini, piedistalli o scatolette di feci: il mondo di Piero Manzoni si nutre di elementi basilari e sconfina nel gioco concettuale, sfida sferzante al mondo dell’arte e ai limiti stessi della realtà. Manzoni, protagonista dell’arte italiana tra fine anni ’50 e inizio anni ’60, fu un artista fanciullo (morì di infarto a soli 29 anni), esuberante di fantasia e insieme attento valutatore di significati e significanti dell’arte, i cui valori estetici divengono, piuttosto, etici e speculativi. In Manzoni l’opera prodotta dell’artista dialoga con chi la osserva e con la società: si tratta dunque di un’opera anche comunicativa, in cui il messaggio è veicolato simbolicamente, mantenendosi ambiguamente in bilico fra ciò che il creatore intende e ciò che il fruitore percepisce.
Un esempio della riflessione sul ruolo dell’artista e sul suo rapporto con la propria opera sono gli Achromes, creazioni il cui senso sta proprio nell’assenza di significato: su queste superfici in caolino o gesso, per lo più bianche (ma in seguito Manzoni sperimenterà anche colori artificiali che cambiano colore autonomamente a seconda dell’umidità circostante), con zigrinature e pieghe, si manifesta il gesto stesso della creazione artistica, lasciando a chi osserva totale libertà interpretativa. Lo spazio bianco può essere riempito mentalmente nella maniera che pare più consona, emancipando l’opera da chi l’ha creata o legandola a lui indissolubilmente. Sta tutto nella volontà di chi riceve la comunicazione visiva.
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La meditazione relativa alla figura dell’artista è centrale in tutta la produzione manzoniana; si pensi, per esempio, ai palloncini di Fiato d’artista, gonfiati con il proprio alito: l’essenza di chi crea diventa essa stessa creazione nel momento in cui si decide la sua elevazione allo status di Arte. Va consolidandosi quindi l’idea che sia Arte ciò che viene definito tale, e avviene il passaggio di consegne decisivo con cui si mette al centro non l’opera in sé, bensì chi la realizza. Nel romanzo Todo Modo di Leonardo Sciascia il protagonista, un celebre pittore di cui non viene fatto il nome, si trova ad indagare su una serie di omicidi avvenuti nell’inquietante eremo di Zafèr: egli disegna una piantina dei luoghi del delitto, per poter analizzare al meglio la situazione, ma il procuratore Scalambri, che «non era certo un’aquila», ricevuto il foglio si affretta a chiedere che gli sia firmato. Al pittore viene in mente un celebre episodio riguardante Pablo Picasso, che vale la pena riportare, in quanto strettamente collegato col discorso su Manzoni: «Mi venne da rispondere come una volta Picasso a una ragazza che voleva le firmasse un disegno che le aveva appena regalato: “eh no, mia cara: questo disegno non vale niente, ma la mia firma vale un milione di franchi». A contare, dunque, è la firma dell’autore, non l’opera in sé. È questa l’idea fondante del pensiero manzoniano, idea sviscerata in differenti declinazioni e ironicamente criticata.
Merda d’artista è l’approdo di tali considerazioni, quasi una deriva cercata e voluta. Trenta grammi di feci, contenuti in scatolette di latta di 4,8×6 cm, vengono vendute a peso d’oro in quanto emanazione della mente creativa. Mistificazione dell’Arte portata a conseguenze scandalose: se, inoltre, fosse vero che le scatolette contengono in realtà gesso, come sostiene Agostino Bonalumi, la mistificazione sarebbe addirittura doppia. Gesso che assume valore in quanto spacciato per escremento dell’artista. È ora sottilissimo il confine che separa il mercato dell’arte dal fideistico mercato delle reliquie. Il trionfo di Piero Manzoni, la conferma della sua intuizione sul destino dell’Arte, sta anche nel prezzo attuale delle scatolette: uno dei novanta esemplari (produzione in serie, quasi a fare il verso all’industria del boom economico!) è stato venduto all’asta per 124.000 euro, una valutazione di gran lunga superiore rispetto a quella fissata dall’autore stesso.
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Piero Manzoni, con la sua genialità spinta e visionaria, con il suo atteggiamento critico e beffardo, riuscì a dichiarare opera d’arte il mondo intero, semplicemente capovolgendo un piedistallo. La Base del mondo, derivazione finale di quelle Basi magiche che rendevano opera d’arte chi vi saliva sopra, battezza come produzione artistica l’intero pianeta Terra. Il mondo di Manzoni è solo apparentemente capovolto: esso è in realtà lo specchio della società culturale dell’epoca, e l’artista ne è interprete, narratore e critico, creatore di una modalità simbolica per decifrare quel periodo così complesso ed equivoco.
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