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Pino Pascali e l’arte di giocare

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Per qualsiasi bambino una creatività spensierata e giocosamente libera è qualcosa di normale, che non richiede alcuno sforzo. Passata l’infanzia, però, le cose cambiano inevitabilmente. Il peso delle responsabilità, del nostro passato e delle nostre scelte ci imbriglia lasciandoci ben poca libertà e soffocando la nostra vena creativa. Una volta adulti, poi, è difficile riappropriarsi della libertà e della spensieratezza dei bambini. È difficile vivere il presente senza memoria del passato, senza paura del futuro. Difficile ma non impossibile, perché alcuni, in qualche modo, ci riescono. Uno di loro è stato Pino Pascali, artista tra i principali esponenti dell’”arte povera” italiana degli anni ’60, morto a soli 33 anni per un incidente in moto.

Le sue opere oggi sono esposte nei principali musei d’arte moderna al mondo – MoMA di New York, Tate Modern di Londra –  e vengono battute all’asta per somme esorbitanti.

Pascali vive un periodo storico particolare, quello del dissenso, della Beat Generation e della guerra in Vietnam. Malgrado nasca nel profondo Sud Italia, ben lontano dalle avanguardie e dalle contestazioni, la sua sensibilità lo conduce ben presto ad una piccola grande ribellione personale: abbandonare giovanissimo la Puglia e trasferirsi a Napoli per studiare Arte. Qui Pascali si diploma, per poi spostarsi a Roma, dove completerà la sua formazione e si stabilirà fino alla morte.

Perché paragonare la creatività di Pascali a quella irrefrenabile e anarchica di un bambino? Perché, con la sua vita e con le sue opere, lui non ha mai fatto altro che interpretare il presente in maniera innovativa, giocosa e autonoma. Pascali vedeva nascere attorno a sé la nuova società dei consumi, con i suoi prodotti artificiali e i suoi rifiuti, oggetti che avevano ormai esaurito la loro funzione ed erano destinati a restare inutili, e li trasfigurava con il suo sguardo artistico: slegati dal loro passato, gli scarti diventavano elemento originario, materia prima, e il presente diventava puro momento di creazione. L’artificiale si faceva naturale, sostanza nuova e viva, come nelle opere Bachi da setola o Campi arati con canali d’irrigazione.

Pino Pascali
Cinque bachi da setola e un bozzolo. Fonte: www.museopinopascali.it
Pino Pascali
Campi arati. Fonte: Archivio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma

Il momento di creatività e il colpo di genio, per Pascali, possono trasformare gli oggetti e dare inizio ad una storia completamente nuova. L’artista non lascia che le convinzioni altrui gli impongano di leggere la realtà che lo circonda in modo convenzionale: se un foglio di amianto gli ricorda un campo arato, allora quell’oggetto per lui sarà per davvero un campo arato. Come un bambino, Pascali scopre il mondo e gli oggetti e attribuisce loro un nome e una funzione che sono frutto dell’immaginazione. Come un bambino si lascia sedurre e suggestionare dalle forme e dai colori, costruisce un mondo a parte rispetto a quello che vive quotidianamente. Queste trasformazioni alchemiche sono possibili solo e sempre grazie all’arte, che per Pino Pascali altro non è che un gioco «serissimo»che serve «per sperimentare le cose, per conoscerle e nello stesso tempo per andare oltre», tanto per i bambini quanto per gli adulti.

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Un approccio perennemente giocoso alla realtà consente all’artista di non interrompere mai la propria scoperta del mondo, di mutare costantemente la propria prospettiva, affidandosi a sé stesso senza correre il rischio di sostituire con nuovi vincoli quelli dai quali si è, con fatica, liberato. Un artista che gioca con il reale e con la propria opera è ben diverso da un artista dogmatico, metodico, succube dei suoi canoni, dei suoi maestri o dei gusti del pubblico.

È necessario, nella vita, avere il coraggio di giocare con tutto per raggiungere quella totale emancipazione e quella totale libertà che Pino Pascali infonderà, dal 1965, alle sue Armi. Si tratta di riproduzioni assolutamente realistiche di armi da guerra, realizzate assemblando rottami metallici e parti di automobili. Queste opere rappresentano un approccio decisamente spiazzante al problema della guerra, e per un semplice motivo: i cannoni o le mitragliatrici, se considerati come da convenzione simboli di guerra e di morte, sono quasi sempre banditi dai luoghi d’arte, di cultura e di pace.

Pino Pascali
Bella ciao. Fonte: www.museopinopascali.it

Un simile atteggiamento serioso, dogmatico e moralistico, però, non fa altro che conferire potenza a questi simboli di morte, riconoscere loro una sorta di timore reverenziale. In questo caso, invece, l’artista ha totalmente svuotato l’arma di qualsiasi significato preesistente, creandola dalla spazzatura e portandola in mezzo alle sue opere d’arte, scultura tra le sculture. Nell’interpretare davvero ogni cosa con spirito giocoso e innovativo, affidandosi alla forza del momento e riscrivendo ogni regola da zero, Pino Pascali riesce a distruggere il potere di questi oggetti di morte “dissacrandoli” (laddove per “sacro”, etimologicamente, si intende “separato”, “a parte”) e quindi reinventandoli come più gli piace, rendendoli oggetti d’arte – e dunque, nella sua prospettiva, giocattoli – come tutti gli altri.

Colomba della pace. Fonte: Collezione Museo Pino Pascali, ph. Claudio Abate

Per il bambino, come per Pino Pascali, nel gioco della vita e dell’arte non esiste nulla di sacro, nulla di intoccabile e trascendentale. Tutto deve essere rimesso costantemente in gioco e può trasformarsi, prendere la direzione che vogliamo imprimervi, dal momento che «la storia è tutta da creare».

Gli oggetti, i ricordi e i vincoli dei quali la vita ci circonda non possono opprimerci se noi non smettiamo mai di giocarci, di dissacrarli e di reinterpretarli in maniera sempre nuova e autonoma, come farebbe un bambino nel vederli per la prima volta. In fin dei conti «è tutto un gioco, no?»

Domenico Cisternino

 

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