Lo conferma una ricerca che ha paragonato le nostre pubblicità a quelle svedesi: la vergogna italiana legata alle mestruazioni ha effetti preoccupanti sulle donne e la loro sessualità
La sessualità è spesso tabù in ambito italiano e, di conseguenza, lo sono anche temi come la riproduzione e la conoscenza del proprio corpo. Tra i ‘fenomeni innominabili’ in ambito sessuale, quello del ciclo è forse uno dei più difficili da superare. Generazione dopo generazione, madri e figlie si tramandano il terribile segreto, tanto innominabile da essere chiamato con i nomi più svariati e fantasiosi.
La cultura italiana sembra non voler lasciare spazio a un processo che, seppur tanto segreto, va a colpire metà della popolazione per diversi decenni. La famiglia solitamente non si esprime, ancora legata a un retaggio arcaico che vuole tacere tutto ciò che di ‘sporco’ si può legare al corpo e alla fertilità, mentre la scuola evita accuratamente un’educazione sessuale in grado di fornire ai giovani gli strumenti necessari per comprendere il proprio corpo e i propri desideri, così da raggiungere il benessere fisico e psicologico.
L’educazione sessuale è quindi lasciata nelle mani dei media, i peggiori maestri di temi così delicati. Se in Italia si impara cos’è il sesso attraverso la pornografia, si impara anche cosa sono le mestruazioni attraverso la pubblicità, unico spiraglio commerciale su un argomento così ‘terribile’.
Le pubblicità influenzano la percezione culturale di ciò che può essere detto e ciò che deve essere taciuto, ciò che ammissibile e ciò che è meglio nascondere, e quelle sui prodotti femminili per le mestruazioni non fanno eccezione. Anzi, più che aprire uno spiraglio di luce nell’ignoranza, rafforzano un tabù duro a morire.
Lo conferma una recentissima ricerca italiana sull’argomento dove il modello svedese e quello italiano sono stati paragonati per comprendere gli effetti delle pubblicità di assorbenti sulla percezione di sé delle donne. Se l’Italia propone pubblicità molto chiuse riguardo ‘le innominabili’, la Svezia sembra invece più aperta sul tema, complice un’educazione sessuale attiva già degli anni Cinquanta, oltre a politiche di inclusione femminile invidiabili nel resto d’Europa.
I risultati della ricerca sono preoccupanti: le pubblicità italiane portano le spettatrici a vergognarsi del ciclo (rigorosamente blu!), proponendo un’esperienza irreale, fatta di termini tecnici e/o medici che riguardano il solo prodotto, presentato di solito in spazi asettici, bianchi, candidi. Nessun riferimento all’esperienza vera, ai dubbi, alle paure, agli eventuali problemi fisici e psicologici. Regna il silenzio, continua il tabù. Le pubblicità svedesi si dimostrano invece incredibilmente aperte: il focus non è semplicemente il prodotto, ma l’esperienza femminile e le difficoltà che in alcuni casi ne derivano.
Le donne svedesi percepiscono quindi l’argomento come naturale, normale; le donne italiane interiorizzano invece una sensazione di vergogna, imbarazzo, inadeguatezza, auto-stigmatizzazione, frustrazione e, soprattutto, ignoranza. Ne consegue poca consapevolezza del proprio corpo, del proprio sistema riproduttivo, della propria sessualità e, quindi, del proprio benessere fisico e mentale. Le donne che percepiscono le mestruazioni come tabù sono anche quelle che evitano di contattare il medico per problemi legati alla propria salute/sessualità, oltre ad avere comportamenti sessuali a rischio e un più alto tasso di gravidanze indesiderate.
Un’ignoranza che dilaga quindi in tutte le sfere della sessualità, dalla conoscenza del proprio sistema riproduttivo ai pericoli delle malattie sessualmente trasmissibili, da una contraccezione poco sicura o inesistente alla cura del proprio corpo. Un’ignoranza che – ci si augura – andrà scomparendo se lasceremo i tabù del corpo alle nostre spalle.