Il 30 novembre 2018 è uscito per Maciste Dischi Punk, il secondo album del cantautore romano Flavio Pardini, alias Gazzelle. Dopo il primo lavoro Superbattito, è tornato con un disco «pop, ma fatto bene», che un po’ saluta l’indie e che dice di sapere di punk.
Perché Punk?
Gazzelle è reduce da un successo (forse inaspettato) conquistato nel 2017 con brani che mixano il synthpop e il cantautorato su arrangiamenti minimal che da subito lo hanno consacrato come uno dei protagonisti dell’indie-alternative italiano.
Mentre i testi restano una costante, in Punk cambiano arrangiamenti e atteggiamento, che Gazzelle stesso definisce così:
«questo non è un album di musica punk ma ha un approccio punk perché se ne frega, non ci sono hit dentro. Non è un disco che vuole vendere, ma un disco che volevo scrivere, in cui sono spudoratamente sincero, mi metto a nudo anche più che nel precedente. L’ho scritto in totale libertà, di notte. E l’ho arrangiato come volevo».
A partire dai tre singoli che hanno anticipato l’uscita di Punk (Tutta la vita, Sopra, Scintille), ci siamo accorti che sì, il pop ha bussato anche alla porta di Flavio, anche se il passaggio a questo genere avviene per gradi all’interno del disco stesso e non sembra completarsi.
Leggi anche:
Stolen Apple, l’indie e alternative rock targato Firenze
Le tracce
Smpp – Acronimo di «stavi male pure prima», prima di cosa? Prima di stare male, e non fa una piega. Sembra parlare al plurale, una specie di inno generazionale condensato in una ballad che sa di poesia metropolitana.
Punk – «Preso male che non c’è più nessuno come te» = Gazzelle. Title track che è sicuramente uno dei pezzi più belli del disco, una ballata (fin troppo) romantica che parla del classico «tutto lo schifo che faccio e tutto lo schifo che c’è se tu non ci sei».
Sopra – Traccia più vivace delle altre a livello di sonorità, con un giro di tastiera iniziale che ricorda quelle atmosfere che stanno in mezzo a Liberato da un lato e ai Coldplay dall’altro. È forse il brano più pop del disco ed il videoclip che lo accompagna, diretto da Bendo, ruba la scena alla musica.
Tutta la vita – È il primo singolo estratto e vanta già più di due milioni di ascolti, è un’altra ballad all’insegna dell’autoironia e del cinismo, con un elenco di amare verità tipico di Gazzelle. La canzone è nata così: «c’era odore di vernice fresca e le tende erano così lunghe che si arrotolavano sul pavimento nuovo, mai calpestato prima, nell’Airbnb in cui stavo dormendo a Milano per qualche motivo che non ricordo. Mi sembrava il posto perfetto per scrivere questa canzone, e anche il posto più sbagliato».
Sbatti – A parte che «e forse faremo un figlio all’Isola del Giglio» è imbarazzante, il synth e le frasi ripetute dieci volte ci sono tutti. Ritornano elementi del disco precedente in un brano stanco di quell’eterna adolescenza scomodissima che stenta a diventare età adulta.
Non c’è niente – Ricorda Demodè di Superbattito e in fondo «non c’è niente di male». Sarà uno dei brani che faranno ballare nel corso dei prossimi live su una specie di dream pop che ha il suo perché.
OMG – Che noia che noia che noia, se lo dice da solo. Tra l’altro la sua pronuncia inglese un po’ hype destabilizza.
Scintille – Terzo singolo, uscito piacevolmente a sorpresa, è il meno pop dei tre estratti. «È vecchia, scritta quando non facevo il cantante. Ero in un periodo triste»: era appena stato lasciato, ma non avevamo dubbi.
Coprimi le spalle – La canzone a cui Gazzelle è più affezionato, nonché la preferita di sua madre. Scritta quasi sette anni fa, contiene quell’emblematica: «Che se fuori piove io dentro nevico» così tumblr che ci si può costruire sopra un altro disco. Non lo diciamo due volte.
Leggi anche:
«Sputnik», il nuovo album di Luca Carboni tra new wave anni ’80 e indie italiano
Lunga vita all’indiepop
Lo abbiamo visto sfocato con il cielo fucsia sullo sfondo e come ospite alle audizioni di X Factor, lo abbiamo sentito duettare con Lorenzo Fragola e presto lo vedremo riempire i palazzetti (qui le date e i biglietti), eppure dovevamo ancora vederlo così malinconico.
La capacità narrativa di Gazzelle è fuori discussione, in poche righe si concentrano descrizioni e scenette filmiche, con i contorni sfumati da quell’apatia tipica delle nottate alcoliche.
Fa la sua parte anche quell’attenzione per il passare del tempo che si ritrova in ogni singolo brano, come se le canzoni potessero fermare alcuni ricordi e spianare la strada a viaggioni mentali di illusioni e speranze. Tutto sommato non c’è molto di misterioso, i testi arrivano, perlomeno al pubblico al quale Gazzelle è consapevole di rivolgersi.
Al di là delle atmosfere affascinanti che il suo giocare con le parole sa creare, il salto di qualità non è enorme, ma c’è. Sicuramente è stata fatta una ricerca maggiore negli arrangiamenti, spogliati un po’ dell’elettronica del primo disco, che però è forse proprio quello che manca a questo nuovo lavoro.
Leggi anche:
Colapesce, l’Infedele che resta fedele allo spirito indie
Non c’è più lo zucchero filato, la discoteca, non c’è più Greta, Gazzelle è cresciuto ed è più consapevole di quello che sta facendo, si concede di usare i riferimenti più concreti e contemporanei come pretesto per toccare significati più profondi. E quale miglior sfondo di uno sfacciato indiepop?