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Zico con la maglia dell'Udinese. www.arthurzico.it

Quando Udine scese in piazza per Zico

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Il 6 novembre 1983 allo stadio Friuli si disputò una partita come tante del calcio italiano: Udinese – Roma, cioè la piccola provinciale contro la squadra della capitale. Eppure quel giorno d’autunno, in un match apparentemente anonimo, scesero in campo tre fra i calciatori brasiliani più forti di sempre. In maglia giallorossa giocarono Tonino Cerezo e Falcao, autentici fuoriclasse titolari della nazionale verdeoro del 1982, quella che crollò sotto i colpi di un leggendario Paolo Rossi.

Falcao giocava a Roma da tre d’anni e fu uno dei protagonisti assoluti dello scudetto romanista, il secondo della storia giallorossa, conquistato qualche mese prima. Cerezo invece approdò nella città eterna in quella torrida estate del 1983 con l’obiettivo di alzare la Coppa dei Campioni, la cui finale si sarebbe disputata proprio allo stadio Olimpico. I giallorossi in semifinale eliminarono i campioni scozzesi del Dundee (con mille polemiche e un presunto caso di corruzione arbitrale) e attesero, in una tesissima serata di maggio, un’altra squadra britannica, il Liverpool campione d’Inghilterra.

I tifosi che poterono permettersi il biglietto si riunirono all’Olimpico, gli altri invece scelsero di vedere la finale al Circo Massimo, dove Antonello Venditti tenne un concerto in preparazione dell’evento. Il grande cantautore romano e romanista fu vagamente profetico poiché qualche mese prima, all’interno di una delle sue canzoni più celebri, scrisse «notte di sogni e di Coppe di Campioni». Sogni infranti, poiché il Liverpool si impose ai rigori (Falcao si rifiutò di calciare il suo, ritagliandosi un ruolo nel limbo dantesco) e per l’universo giallorosso furono soltanto lacrime amare. I due fuoriclasse brasiliani non permisero alla Roma di conquistare l’obiettivo primario della stagione. Forse perché in quella estate del 1983 sulle rive del Tevere approdò proprio Tonino Cerezo e non il più forte calciatore verdeoro di quella generazione di fenomeni. Quest’ultimo, il terzo personaggio brasiliano di questa storia, arrivò in Italia insieme al connazionale romanista e scese in campo quel 6 novembre 1983. Indossava il numero 10 e la maglia bianconera dell’Udinese. Si chiamava Arthur Coimbra, ma per tutti era Zico.

I tre fenomeni con la maglia verdeoro.
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Il calcio italiano all’inizio degli anni ’80 era nettamente il migliore d’Europa. La nazionale azzurra l’estate precedente si era laureata campione del mondo e nella serie A giocavano i più forti calciatori della loro generazione; essi non militavano soltanto nelle tre grandi del Nord, come è spesso accaduto nella lunga storia del campionato italiano. Infatti la cara vecchia serie A in quegli anni risultava estremamente democratica, lo scudetto infatti viene vinto a Roma, a Napoli, a Verona e, nel 1991, nella Genova blucerchiata; successivamente, quando il calcio cominciò a diventare un fenomeno televisivo, i soldi dei diritti tv sarebbero stati spartiti in maniera diversa provocando il classico passaggio politico da una democrazia a un’oligarchia. Infatti dopo il tricolore sampdoriano solamente in due occasioni lo scudetto non è stato festeggiato a Milano o a Torino.

Sono gli anni in cui il più forte giocatore del mondo (Maradona) decise di trasferirsi a Napoli, squadra che all’epoca era solita flirtare con la zona retrocessione; oppure una città come Ascoli poteva accogliere Liam Brady, probabilmente il più grande di sempre ad indossare la maglia dell’Arsenal (copyright Nick Hornby). L’Italia calcistica poteva sognare in grande, più di quanto oggi sia possibile immaginare; come avvenne il primo giugno 1983, quando Franco Dal Cin, direttore sportivo dell’Udinese, annunciò a sorpresa di aver preso Zico.

La domanda sorge spontanea e legittima: cosa ci fa uno tra i prime tre-quattro calciatori al mondo in una mediocre squadra italiana? E’ il calcio italiano degli anni ’80-’90: prendere (vittorie, trionfi, campioni di livello assoluto) o lasciare (indebitamenti, norme aggirate, bancarotte). Il passaggio di Zico all’Udinese avrebbe dovuto essere un trasferimento calcistico, divenne invece qualcosa di infinitamente più grosso, quasi un affare di stato. Il giro di denaro era molto consistente, ma non altrettanto limpido. Il presidente della FIGC Federico Sordillo tuonò: «Basta stranieri in serie A, chiudiamo le frontiere!» nonostante fossero state aperte solamente tre anni prima. In ballo non c’era solamente il passaggio di Zico a Udine, ma anche quello di Cerezo alla Roma: infatti le due società decisero di allearsi perché non avrebbero potuto, arrivati a questo punto, veder fallire queste due trattative.

La FIGC inizialmente trovò il modo di vietare il trasferimento, sostenendo che i contratti dei due giocatori fossero stati depositati oltre la data prevista. Luciano Lama, segretario della CIGL attaccò Mazza, patron dell’Udinese, esponendo una questione spinosa: davvero Mazza vuole spendere 6 miliardi per Zico, quando la sua azienda principale conta migliaia di cassaintegrati? Fu un’estate torrida quella del 1983, il caso venne dibattuto a Roma e se ne occuparono vari parlamentari; addirittura un cronista chiese a Sandro Pertini un’opinione sulla vicenda. Il Presidente della Repubblica sibilò che gli avrebbe fatto molto piacere vedere giocare nel campionato italiano due campioni come Zico e Cerezo. Ne parlava chiunque: il pensionato al bar, così come la massima carica dello stato. Udine, di fatto, era pienamente consapevole che un’occasione del genere non sarebbe mai più potuta ricapitare, così scelse, in quella calda estate del 1983, di riempire le piazze della città non per questioni politiche e sociali; infatti la protesta dei friulani non chiedeva lavoro o diritti, ma solamente l’effimera gioia di poter vedere giocare dal vivo Arthur Coimbra Zico. Durante una delle manifestazioni avvenute in quelle giornate comparse una scritta che riaprì vecchie questioni secessionistiche. Un cartello che sarebbe rimasto a lungo nella memoria collettiva nazional-popolare italiana: Zico o Austria.

Zico o Austria.
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La parola fine alla questione venne messa da Franco Carraro, all’epoca presidente del CONI. Il capo dello sport italiano concesse la proroga ai trasferimenti, tanto richiesta da Udinese e Roma, ma mai rilasciata dalla FIGC. Il 23 luglio tutto si risolse in maniera ufficiale: Zico poté approdare in Friuli, Tonino Cerezo sulle rive del Tevere. Il fuoriclasse brasiliano indossò la maglia bianconera per due stagioni, nella prima deliziò il pubblico friuliano con 19 reti arrivando secondo nella classifica cannonieri, dietro soltanto a Michel Platini. Durante la seconda annata Zico, ormai trentaduenne, risultò essere un lontano parente del grande giocatore a cui si era abituati, così a fine stagione fece ritorno nuovamente in Brasile. Quel 6 novembre 1983, come si è detto, scesero in campo i due protagonisti brasiliani di quell’estate. Quell’Udinese – Roma fu una partita molto tattica e poco spettacolare, nonostante l’immenso talento presente in campo. Il match sembrava destinato allo zero a zero, quando a cinque minuti dalla fine l’Udinese riuscì a passare in vantaggio e così restò fino al triplice fischio. Uno a zero. Superfluo scrivere chi fu il marcatore.

Il gol di Zico alla Roma.
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Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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