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Quantitative easing: ogni medicinale può avere effetti collaterali

Analizziamo le conseguenze dell'operazione di mercato aperto con la quale la Banca Centrale Europea acquista titoli dalle banche statali creando base monetaria.

5 minuti di lettura

di Davide Cassese

Come per ogni medicinale che si rispetti, non si possono non considerare i possibili effetti collaterali che può sortire sul paziente. In questo caso il medicinale è il quantitative easing e il paziente è l’Area euro, depressa e in deflazione. L’unico medicinale che si poteva prescrivere e adoperare per rimettere in salute il paziente era il Quantitative easing, cioè un’operazione di mercato aperto con la quale la Banca Centrale Europea acquista titoli dalle banche statali creando base monetaria – il funzionamento lo abbiamo spiegato qui.

I primi risultati di suddetta manovra sono visibili: il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro – che favorisce l’export  – e la riduzione dei tassi di interesse sui titoli, che si traduce in una minore spesa per interessi che gli Stati devono pagare ai sottoscrittori con annessa riduzione dello spread. Per l’aumento dell’inflazione e la normalizzazione del credito bisognerà ancora aspettare. L’effetto collaterale più indesiderato riguarda proprio le conseguenze relative ai bassi tassi di interesse. L’acquisto di titoli aumenta il loro valore, ma ne riduce il rendimento.

La prima conseguenza del quantitative easing riguarda l’impossibilità di comprare titoli che hanno un tasso inferiore a quello che è praticato per i depositi (-0,2%) e che caratterizza alcuni titoli tedeschi, finlandesi e tedeschi. Tale aspetto non può essere tralasciato poiché potrebbe rappresentare un impedimento alla prosecuzione del programma.

L’altro aspetto – non meno importante – legato ai tassi riguarda la possibile virata su titoli meno sicuri ma più remunerativi, che gli investitori potrebbero compiere. Molti titoli, infatti, presentano rendimenti bassissimi e in alcuni casi addirittura negativi che scoraggiano l’investimento e il relativo guadagno. Quindi molti investitori, pur di totalizzare un rendimento più elevato, preferiscono acquistare titoli più rischiosi, ma che rendano di più dei bond degli Stati emittenti. Le aziende che hanno avuto dei declassamenti sono incentivate ad emettere corporate bond poiché riescono a finanziarsi, almeno nel breve, pur corrispondendo rendimenti maggiori. Il rischio più significativo, però, è rappresentato dalla possibilità che si incappi in una bolla, favorita dai tassi molto bassi e dai conseguenti comportamenti imprudenti che ne potrebbero derivare. Mario Draghi, infatti, in una audizione in Parlamento, ha dichiarato: «Periodi di bassi rendimenti e bassa volatilità possono invitare a eccessive assunzioni di rischi da parte degli investitori finanziari. A loro volta, questi sviluppi possano agire come un meccanismo amplificatore per ogni eventuale instabilità finanziaria».

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Un esempio lampante, è rappresentato dallo scoppio della crisi dei subprime nel 2007. Sette anni prima, quando Alan Greenspan era governatore della Fed, i tassi furono tagliati e vennero concessi mutui liberamente, senza che i mutuatari avessero le garanzie per ripagarli. Questo avvenimento ebbe anche l’obiettivo di ridurre le drammatiche diseguaglianze sociali che attanagliavano gli americani che, con il facile  accesso al credito, avrebbero potuto deliberatamente dare energia all’economia attraverso il consumo più sfrenato e il possesso di beni (come le case, sogno di ogni americano, magari con giardino e altalene) e, così, calmare la loro ansia sociale. L’assenza di garanzie sui mutui concessi non era un problema, per le banche, poiché esse ricercavano rendimenti maggiori di quelli derivanti dai muti impacchettando questi ultimi in obbligazioni più remunerative.

mario draghi

Quando, però, per paura dello spettro dell’inflazione e di un surriscaldamento dell’economia, la Fed alzò i tassi, il tanto prospettato “rischio bolla” si presentò e avvenne, nel 2008, il temuto crack.

Come specificato dalla BCE non ci sarà una riduzione degli acquisti di titoli o un aumento dei tassi per affrontare eventuali rischi di destabilizzazione. Ce lo auguriamo, ma soprattutto, come per ogni medicinale, non attendiamo altro che il paziente guarisca.

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Redazione

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