Trash: categoria onto-sociologica che si nomina alternativamente col sorriso sulla faccia o assumendo di straforo un’espressione di superiorità. Sì, succede questo, che chi ne parla in fondo non sa di cosa stia parlando, ma vive del pregiudizio condiviso che, del trash, non valga la pena parlare – o se vale la pena farlo è sempre per farsi una grassa risata su quanti – nel trash – ci sguazzano, lo apprezzano, lo amano e ne idolatrano ansiosamente i prodotti. Roba da pecoreccio. Poi c’è Tommaso Labranca, che sul trash ha scritto un libro bellissimo, e intelligente, e acuto, e ancora valido nonostante i suoi (quasi) venticinque anni; un libro accurato e rigoroso, ma anche fustigatore e profondamente lontano da un certo snobismo tanto comune fra gli intellettuali italiani professori di latinorum e grandi moralisti.
Che cos’è il trash?
Il libro s’intitola Andy Warhol era un coatto (acquista), nel senso che Warhol un coatto lo era per davvero, e cioè sono futili, banalmente intellettualistici – dice Labranca – i tentativi di farne (di Warhol) un metafisico, un sublime avanguardista. No, Warhol desiderava altro: prima di tutto i soldi; poi, un mezzo rapido, efficace, per arrivarci – ai soldi. Tutto il resto ce l’hanno messo i critici. Per ciò, Warhol, coatto lo era intimamente:
«grazie alla sua profonda conoscenza dell’imbecillità dei critici, decise di fare più soldi possibile con i suoi quadri coatti, la cui ispirazione nasceva nei supermercati e dalla stampa. Ce la fece benissimo perché era un grande. Perché Andy come coatto era comunque un numero uno, una specie di capo banda, quello con l’auto più veloce e il car stereo più potente. Quello che tutti cercano di imitare»
Prendendovi per il colletto, con un’ironia troppo intelligente per essere sopportata, il saggio inizia così:
«Quanto i casi della vita mi pongono di fronte a una cartuccia stereo 8 di Fausto Papetti, mi guardo intorno cercando negli altri uno sguardo di complicità. Ma il mio entusiasmo per l’importante rinvenimento di un reperto trash è puntualmente raffreddato poiché trovo sempre il nulla, la meraviglia, l’ignoranza e l’inesattezza. Spesso trovo anche una domanda: “Che cos’è il trash?”»
Che cos’è il trash? Certo noi possiamo anche parlarne, ma definirlo, poi, è un’altra cosa. È come trovare il giusto modo, le giuste parole per discernere la mediocrità del formaggio. Col trash si tratta di dar forma razionale a ciò che razionale non è, e non lo è perché così diffuso, così immediatamente e apparentemente sotto il naso di tutti, che ci sfugge.
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Pars destruens
Procediamo con ordine. Per costruire una piccola fenomenologia del trash, c’è un’operazione imprescindibile che il «Giovane Salmone del Trash» (proseguire con la lettura per la spiegazione) deve assumersi la responsabilità di fare: abbandonare il «pregiudizio estetico».
«Secondo il credo dei mediocri che governano la nostra estetica tutte le cose che ci circondano non possono che ricadere necessariamente in uno dei due settori contrapposti: o brutto o bello, o alto o basso, o culturale o sottoculturale»
Il pregiudizio estetico è l’imposizione del gusto al quale l’intellettuale medio e mediocre si adagia a credere. In un atto di intima fusione col credo comune, ecco che il mondo assume i connotati di una distinzione mosaica: «chi accetta e pratica questo comportamento manicheista rinuncia a giudicare un evento in base alla rispondenza con il proprio gusto e si dedica totalmente al pregiudicarlo in base alla sua consonanza con un canone imposto».
Un esempio semplicissimo: tu, lettore, di Fabio Volo quanti libri hai letto? Uno? Nessuno? Centomila? Probabilmente nessuno, eppure è facile che l’istanza freudiana del tuo super-io t’imponga di storcere il naso ogni volta che, di Fabio Volo, senti il nome (così è, mettiamo le mani avanti, anche per chi scrive). Ecco il pregiudizio estetico.
Ora, per capire il trash, il pregiudizio estetico va lasciato agli intellettualoidi. Non c’è bello o brutto, non c’è bisogno di dicotomizzare la realtà sulla scorta della Cultura: ci sono solo cose e metodi per analizzarle. Il Giovane Salmone del Trash – Tommaso Labranca – è tale perché nuota contro la corrente dello stereotipo, del cliché, del preconcetto.
Pars Costruens
Distrutti gli Idola theatri, Labranca avanza la sua categorizzazione: tra le altre cose, il trash è soprattutto un’emulazione fallita. È la copia malfatta di un modello che si tenta di imitare. Prendete Little Tony (esempio labranchiano). Little Tony: palese emulazione dell’idolo Elvis Presley, palese fallimento. Il tentativo è in tutti i sensi quello di superare attraverso la copia, il modello copiato, senza tuttavia riuscirci. Labranca dice così:
«Nel noto programma di vendite a domicilio Domenica con Semeraro [N.d.R.: per chi voglia aver chiaro a cosa Tommaso Labranca si sta riferendo: https://www.youtube.com/watch?v=PEXjHCron54], trasmesso da varie Tv locali un po’ in tutta Italia, il presentatore Walter Carbone cerca di emulare Pippo Baudo, ma non potendo invitare Madonna o dovendo ripiegare su Mario Tessuto, il suo risultato è trash.
Durante il TG4 Emilio Fede cerca di imitare la CNN, ma circondato da collaboratori surgelati come il tristemente celebre Paolo Brosio dal Palazzo di Giustizia di Milario, il suo risultato è trash».
Ci sarebbero altri (così li chiama Labranca) «pilastri del trash» utili per sviscerarne ancor più l’essenza; nonostante ciò:
«quest’ultimo pilastro, l’emulazione fallita, è dunque importantissimo e basta da solo a ogni tentativo di spiegazione poiché, enunciandolo, è già venuta a galla la formula matematica del trash:
INTENZIONE – RISULTATO RAGGIUNTO = TRASH»
Geniale. Ma soprattutto utilissimo. Nella sua concisione, lo schema labranchiano si applica facilmente a una buona fetta di mondo.
Un altro esempio potremmo trovarlo tra le schiere di intellettuali che tentano di scansare il trash imitando un modello riconosciuto dalla cultura, o riconosciuto perché valido (INTENZIONE), in ragione di quella che Tommaso Labranca chiama costante k (povertà di mezzi, incapacità, contaminazione, incongruità, massimalismo, ritardo, ecc.) producono una brutta copia del modello emulato (RISULTATO RAGGIUNTO). Uguale: trash.
I doveri del Giovane Salmone
C’è però un problema: «all’apparire del trash, infatti, scattano in certi individui componenti di inaccettabile e ingiustificata superiorità. La delegittimazione di questi comportamenti deve costituire uno degli impegni di ogni Giovane Salmone». Già, e in quest’accusa ci sentiamo presi anche noi, noi che poco fa ridevamo del trash altrui (degli intellettuali, di Little Tony, di Fabio Volo).
Ma di nuovo vediamo la pagliuzza e non la trave: «Il fallimento del tentativo di emulazione e il paragone di questo con il modello ordinario spingono molti a ridere del trash altrui, tacendo del proprio. Tutti ridiamo del trash e tutti sbagliamo, poiché non siamo mai motivati nella presa in giro». Accade allora come, secondo Labranca, accade a quelli della Gialappa’s Band di Mai dire Tv, certo divertentissimi, ma che, sotto forma di voci invisibili totalmente distaccate dalla realtà, ridono di tutto e di tutti. Vigliaccheria tipicamente anti-trash: «lancia il sasso e nasconditi, prima di diventare tu stesso bersaglio di altri sassi».
L’ideale del Giovane Salmone è quello dell’osservazione, osservazione che sostituisce la critica assiologica e moralistica che tanto ci piace fare. Le analisi devono essere concrete, lontane dalle astrazioni dei critici «i quali amano perdersi in comparazioni tra gli oggetti derivati e un presunto standard di elevatezza (Che non esiste) o, peggio ancora, tra gli oggetti e la massa delle proprie sensazioni, conoscenze, letture e idee (Delle quali ci interessa poco o nulla)». Tommaso Labranca ha osservato, annotato, teorizzato, e soprattutto ha smascherato, fustigato falsi idoli assurti a canone.
L’operazione labranchiana di riscoperta del trash, ahinoi, ci riguarda tutti, perché tutti in qualche modo partecipiamo dell’essenza del trash. Diceva Montaigne che «anche sul più alto trono della terra non siamo seduti che sul nostro culo». Leggere Tommaso Labranca ci aiuta a prendere coscienza di questa salutare verità. E ci aiuta, anche – ci impone, anzi, di non dimenticare un grandissimo intellettuale, purtroppo, dimenticato.
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