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«Un ragazzo normale» di Lorenzo Marone: storia di un supereroe comune

11 minuti di lettura

Lorenzo Marone, classe 1974, nasce a Napoli e per quasi dieci anni esercita la professione di avvocato prima di dedicarsi alla scrittura. Un ragazzo normale (acquista), pubblicato da Feltrinelli nel 2018 e vincitore del premio Giancarlo Siani nello stesso anno, è ambientato a Napoli, nel Vomero degli anni ’80, un luogo e un tempo che l’autore ha vissuto in prima persona e che usa come sfondo per la storia che racconta. Una storia che nasce dall’immaginazione di Marone, ma che prende spunto dalla sua realtà.

L’autore e il romanzo «Un ragazzo normale»

Il romanzo parla di adolescenza, amicizia, famiglia e amore. Di persone comuni e di supereroi.

L’autore intreccia la storia di un ragazzino comune, Mimì, con quella di Giancarlo Siani, giornalista assassinato dalla camorra nel 1985. L’intento di Marone, però, non è quello di raccontare la storia di Giancarlo e il suo lavoro, ma di come fosse anche lui un ragazzo normale che ha compiuto scelte importanti. È un romanzo dedicato a tutti, adolescenti e adulti, che parla con forte semplicità e, giunto alla fine, fa riflettere sul mondo di valori e modelli ai quali ciascuno di noi si ispira.

Marone prende spunto dalla sua adolescenza, dalla sua famiglia, dai suoi amici ed immagina questa storia come se fosse un ricordo lontano di un Mimì realmente vissuto nel Vomero, negli anni ’80 e che viveva nello stesso palazzo di Giancarlo, diventandone amico.

un ragazzo normale di lorenzo marone (copertina)

«Un ragazzo normale»: parlando di supereroi

«Tutti noi necessitiamo di credere in qualcosa di superiore, di amare qualcuno di grande, di avere un esempio da seguire. Non hai un mito, tu?»

Cosa è un mito? Chi può essere definito eroe? Chi è quella persona, per ciascuno di noi, alla quale ci ispiriamo? Lorenzo Marone parla proprio di questo nel suo romanzo e porta un esempio di come gli eroi, anzi, i supereroi non siano sempre dotati di poteri straordinari.

Marone racconta la storia di Mimì. Dodici anni, occhiali, amante delle enciclopedie, linguaggio troppo complesso per la sua età, pochi amici e una passione: i supereroi. Mimì crede che tutti debbano avere un mito, qualcuno a cui guardare con ammirazione e lui, addirittura, ne ha due: Spiderman e Giancarlo, il giornalista che vive nel suo palazzo.

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La figura del supereroe è una costante per tutto il romanzo, ma non si tratta esclusivamente di supereroi tradizionali. Ci sono Spiderman, Rocky Balboa, Fonzie. C’è Maradona, idolo per il nonno e il papà di Mimì. C’è Vasco Rossi, il cantante preferito di Viola, la ragazzina di cui Mimì si innamora. C’è Matthias, fuggito da Berlino attraversando clandestinamente il Muro, il quale non ha più niente, nemmeno la vista, ma agli occhi del ragazzo appare comunque dotato di superpoteri. Infine, c’è Giancarlo con il suo superpotere, il preferito di Mimì: la scrittura e la sua arma, una biro.

La forza degli ideali

La figura di Giancarlo entra in ogni scena in punta di piedi, in modo naturale, come se fosse sempre stato lì. Lui è un supereroe per Mimì. Lo è perché Giancarlo scrive, scrive di camorra e lo fa senza paura. Il Giancarlo di cui racconta Marone è Giancarlo Siani, giornalista de “Il Mattino”, ucciso a Napoli il 23 settembre 1985 proprio dalla camorra.

Giancarlo non ha paura di quello che scrive, lui deve «saper dire alla gente quello che non sa, informarla, raccontarle la verità […]». Così descrive il suo lavoro di giornalista a Mimì, il quale vede in queste azioni soltanto l’intenzione del giornalista di aiutare le persone senza alcuna paura di nulla, nemmeno della camorra. Proprio come un supereroe.

Ma Mimì della camorra sa ben poco, in famiglia non se ne parla mai più di tanto e, quando succede, spesso si cambia subito argomento. Si comprende, però, che questo accade per proteggere un ragazzino di dodici anni che ancora ha tutto il mondo da scoprire e non può farlo avendo già paura di qualcosa.

Giancarlo è il supereroe dotato di carta e penna, che guida la sua “Batmobile” come la chiama Mimì, una Mehari verde. La sua figura affianca quella di Mimì solo in qualche momento della storia, non è onnipresente, non è un coprotagonista. Giancarlo appare essere una guida per il ragazzo, un modello da seguire, lo stimola ad inseguire i suoi sogni. Nel romanzo si vede Giancarlo che si presta a fare gli assurdi esperimenti scientifici e non di Mimì, lo ascolta, coglie le sue passioni e i suoi interessi e alla fine compie un gesto che sarà rivelatorio per Mimì. Giancarlo gli regala un’agenda rossa, sulla quale il ragazzo inizierà a scrivere i suoi racconti e i suoi pensieri, arrivando poi a capire, molti anni dopo, chi vorrà essere e cosa vorrà fare della sua vita.

Giancarlo è, però, anche il primo a far capire a Mimì che non serve avere i superpoteri, non serve saper volare o combattere, per essere eroi.

 «Le cose, Mimì, possono cambiarle solo gli uomini. Il male viene dagli uomini e solo gli uomini possono combatterlo. Più che di eroi, c’è bisogno di gente che ci creda, persone che aspirino a cambiare le cose in meglio. Gli ideali, Mimì, i grandi ideali hanno trasformato il mondo, non i superpoteri. Gente normale, come te, come me, che credeva fortemente in qualcosa. Le idee vere, forti, non muoiono mai.»

Questa è la frase che raccoglie il senso del romanzo. Giancarlo era un ragazzo normale, proprio come lo era Mimì. Aveva però delle opinioni, degli ideali forti, che ha portato sempre avanti, probabilmente anche avendo paura, ma non mostrandola.

La scrittura, un’azione così elementare per moltissime persone, giunge ad essere un vero e proprio superpotere in grado di poter cambiare il mondo. Giancarlo insegna a Mimì che la scrittura è studio, che bisogna cercare la frase perfetta per riuscire ad esprimere a pieno i propri pensieri.

I veri superpoteri

Quali sono, quindi, i veri eroi? E quali sono i loro poteri?

Con il passare degli anni, il Mimì ragazzino che sognava di dimostrare l’esistenza della telepatia e indossava il costume di Spiderman anche quando non era Carnevale, lascia il posto ad un ragazzo che comprende di averli sempre avuti, i superpoteri.

«Alla fine di quella terribile e magnifica estate capii che gli unici superpoteri a disposizione di noi poveri umani sono i rapporti che riusciamo a costruirci, gli amori, le amicizie, gli affetti».

Lo capisce con l’aiuto delle persone che riempiono la sua vita quotidiana: Matthias, il senzatetto che vive vicino al suo palazzo, che insegna a Mimì a vedere. Proprio lui, che la vista l’aveva persa, fa capire al ragazzo che tutto quello che serve per vedere davvero, per sapere, è guardare. Usare gli occhi per osservare le persone e gli eventi, per comprendere i comportamenti e le reazioni delle persone.

Sasà, il suo unico migliore amico, che non credendo nei superpoteri fa sempre in modo che Mimì metta tutto in discussione. La famiglia di Mimì con i suoi miti convenzionali, come Maradona, che a Mimì non piacciono, ma che nonostante questa diversità di interessi non smetterà mai di avere il supporto della sua famiglia.

Ed infine, Giancarlo.

Marone, all’interno di un dialogo, fa dire a Giancarlo che lui non combatte la camorra, per quello ci sono i giudici ed i poliziotti.

Lui scrive e basta, scrive per raccontare, per dare alle persone la possibilità di scegliere. E forse, il vero superpotere è sapere. Sapere e conoscere, per essere veramente liberi di poter fare delle scelte che siano proprie e di nessun altro.

Alla fine del romanzo si comprende che i veri superpoteri non sono altro che “super-normali”. Mimì capisce di essere un ragazzo normale, esattamente come lo era Giancarlo Siani.

Lorenzo Marone nasconde, dietro a molteplici eroi e poteri, una semplice verità: siamo tutti ragazzi normali come Giancarlo e Mimì.

Oppure, siamo tutti supereroi proprio perché siamo ragazzi normali.

Benedetta Bellini

 


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