Milano, Colonne di San Lorenzo cuore pulsante della movida in centro, a due passi da Sant’Ambrogio. Qui dove sorgono le sette colonne della Mediolanum imperiale, c’è anche una piccola isola di teatro antico. Si chiamano Kerkìs, un’associazione che dal 2011 promuove la messinscena di opere teatrali della tradizione classica greca e latina, in collaborazione con la Scuola di Alta Formazione del Teatro Antico in Scena dell’Università Cattolica.
Numerosi spettacoli e tanta energia giovane, che funziona come forza catalizzatrice per altri giovani, in una catena contagiosa di dialogo e formazione, che ha dato vita nel mese di marzo al Festival Thauma, dedicato agli studenti delle scuole superiori. Un’iniziativa meritoria, nata dagli sforzi della professoressa Elisabetta Matelli, di un instancabile attore e regista (Christian Poggioni) e un folto gruppo di attori, nell’impegno condiviso di rendere i Classici più vicini.
Siamo andati a vedere le Rane di Aristofane, un cavallo di battaglia di Kerkìs fin dal 2014. Il piccolo Teatro San Lorenzo alle Colonne è pieno di risa e voci di studenti, ma ci sono anche adulti curiosi. Gli attori in scena non sono professionisti, ma questo non è un teatro amatoriale. Si nota subito dalla cura dei dettagli: pur nella ristrettezza dello spazio, riescono a dare l’idea dinamica del movimento e della danza. Le voci ancora acerbe di alcuni sono compensate dagli interventi sicuri e solidi dei più maturi, come il bravo Simone Mauri, capace di un ampio ventaglio vocale (dal tono affettato al ruggito). E poi c’è la magia delle semi-maschere indossate da alcuni personaggi, a imitazione di quelle antiche, che sembrano animarsi e non sono mai uguali a se stesse, mentre aderiscono ai visi degli attori. Uno spettacolo senz’altro godibile, che ci permette di apprezzare la vena fantastica del grandissimo comico ateniese.
Una città in crisi
La commedia di Aristofane è del 405, anni bui per Atene, invischiata senza via d’uscita nella tremenda guerra del Peloponneso contro Sparta, che di lì a poco trionferà. Come è possibile salvare la città? La situazione è disperata. Al punto che l’extrema ratio è quella di rivolgersi all’oltretomba. Un’utopia venata di disgusto per l’oggi, con l’estenuato rimpianto del passato. Dove sono finiti i buoni esempi di una volta? Tutto finito. Ma il teatro permette un meraviglioso esercizio di immaginazione e chiama lo stesso dio del teatro, Dioniso, a un viaggio avventuroso nell’Ade: sua missione sarà di riportare sulla terra il Poeta, che potrà dispensare saggi consigli alla città e così salvarla. Naturalmente tutto si trasforma in un esilarante viaggio nell’impossibile, in un mondo alla rovescia, costellato di incontri e personaggi. Accanto a Dioniso, il linguacciuto servo Xantia: le gag comiche fra i due sono l’archetipo di tanti duetti comici dei tempi moderni. Kerkìs decide di restituire il testo antico senza attualizzazioni: sentiremo quindi nomi antichi di cui si è ormai persa la memoria, ma che scatenavano l’ilarità del pubblico ateniese dell’epoca, e probabilmente molti dei nominati erano seduti fra gli spettatori. Saremo noi a poter lavorare con la fantasia, e riconoscere in Archedemo (o forse Archedamo? – scherzano gli interpreti su una questione filologica di traduttori) il volto di un politico recente.
La prima parte della commedia ha un ritmo vertiginoso ed energico, nella successione continua di episodi, e costituisce un ottimo esercizio di tipizzazione comica: travestimenti, equivoci, bastonate, battute scurrili, e quindi il tipo collerico, l’effeminato, il burbero, l’isterica, che i ragazzi di Kerkìs risolvono con alcuni cambi di registro (si passa ai dialetti o a un più riuscito metateatro), anche se talvolta la troppa energia trasforma l’esito in un sovrapporsi di voci e gesti, ancora da domare.
Il ritmo si placa nella seconda parte, che però è ben controllata dai ragazzi di Kerkìs. Va in scena il confronto agonale tra Eschilo ed Euripide, una vera e propria gara poetica: chi vincerà, tornerà a vivere. Entrambi i poeti si presentano tronfi e sicuri di sé, pronti a sciorinare versi a effetto e vòlti a distruggere l’avversario, tanto simili a certi agoni televisivi in cui i nostri politici giocano a spararle grosse… Alla fine Dioniso sceglie il vecchio, cioè Eschilo: la tradizione forse può salvare Atene.
Elogio della poesia
Chi sono le rane del titolo, che gracidano nella palude stigia? Creature liminari, rappresentano il canto perenne della natura libero dai condizionamenti politici, oppure sono la caricatura dei virtuosismi canori ma vuoti di senso della nuova poesia? Forse non è importante identificarle con precisione. Quello che rimane del sogno comico di Aristofane, scaturito dalla disperazione, è l’elogio della poesia, un’arma che forse può salvare il mondo. L’intero Coro di Kerkìs intona in greco antico gli ultimi versi della commedia, che invitano il Poeta a dare consigli utili alla città, in modo che abbiano fine i crudeli scontri in armi. Parole vibranti in greco antico, che ti danno i brividi perché ancora così attuali.
Rane di Aristofane
regia di Christian Poggioni
Kerkìs – Teatro Antico in Scena
fino al 24 aprile 2018, Teatro San Lorenzo alle Colonne, Milano