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Ritornare alle origini: arte e natura nella “poetica” di César Manrique

Dall'isola di Lanzarote, un'artista poliedrico in grado d'operare in armonia con la natura e di lavorare in un'ottica di continuazione dei processi naturali.

2 minuti di lettura

Viviamo su questo pianeta un lasso di tempo così breve, che tutti i nostri passi dovrebbero dirigersi alla costruzione dello spazio sognato dell’utopia. Costruiamolo insieme: è l’unico modo di renderlo possibile

Dice César Manrique, poliedrico artista lanzaroteno, a cui ho avuto il piacere di approcciarmi durante una vacanza che avrebbe dovuto rispondere al classico binomio estivo di sole e relax. E invece…

Tutta l’isola di Lanzarote è permeata delle tracce del passaggio di questo autore  nativo di Arrecife, capoluogo della quarta isola più grande tra le Canarie, classe 1919, trasferitosi a Madrid nel 1945 e ritornato definitivamente, dopo una capatina dal ’66 al ’68 a New York, nella sua isola natia, in quella «bruciata geologia di ceneri in mezzo all’Atlantico», che tanto condiziona una persona sensibile come quella di César. 

L’idea-perno della politica artistica di César Manrique è quella di conservare l’ambiente, l’armonia con la natura e di lavorare in un’ottica di continuazione dei processi naturali.

Fondamento per l’arte di Manrique è l’iniziare le sue opere senza confezionare preventivamente le planimetrie, sviluppando il suo progetto sopra il terreno e adattandosi ad esso, al punto da disegnare la propria casa in Taro de Tahiche sopra cinque bolle vulcaniche, ognuna di un colore diverso, sopra una colata di lava. La struttura, su due livelli, è stupefacente: spazi interni che seguono le curve naturali delle bolle, spruzzi d’acqua, piscine, palme e cactus da giardino con i quali l’artista trasmette perfettamente l’idea di realizzare un’architettura integrata nel paesaggio naturale.

La casa, trasformata poi nella fondazione César Manrique, fu inaugurata nel 1992, pochi mesi prima della sua morte, avvenuta in un incidente stradale; essa cerca di conservare, studiare e diffondere l’opera del lanzaroteno, tramite l’esposizione di pitture, disegni, bozzetti, sculture, ceramiche, fotografie e planimetrie di progetti realizzati e non. Lo stesso Manrique considerò la fondazione come una remunerazione per il lavoro realizzato nel corso della sua vita, oltre che una “eredità personale” lasciata al popolo della sua amata isola, come si evince dalle parole stesse di Manrique, che afferma: «spero che serva per mantenere viva la promozione dell’arte, l’integrazione dell’architettura nella natura, la difesa dell’ambiente e a conservare i valori culturali e naturali nella nostra isola». Sua è inoltre la sistemazione dell’attrazione turistica del Giardino dei cactus, nel contesto agricolo ai piedi del mulino di Guatiza, sia come centro di studi botanici, sia come mero spazio espositivo per più di 1400 specie di cactus, in un cammino suggestivo tra passerelle di pietra e residui di nera cenere vulcanica.

César Manrique

Devo ammette che questo “incontro” con César Manrique mi ha fatto riflettere; innanzitutto sull’ancestrale rapporto tra uomo e natura, così scontato eppure così trascurato in un mondo, il nostro, che mira allo sfruttamento selvaggio di risorse, soprattuto nelle dinamiche spietate della macchina del turismo balneare; una natura non matrigna, dal leopardiano volto «a mezzo tra il bello e il terribile», e ben lontana dal famoso «o natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor?», semplicemente perché questa terra brulla, a metà tra il mare e il vulcano, non promette niente, ma rimette all’uomo e alla sua humanitas la possibilità di essere apprezzata ed “utilizzata”, senza essere però venire sfruttata come una bellezza in quanto tale, senza mercificazione.

Perché, d’altronde, lo dice Manrique stesso: «la natura è la protagonista assoluta della bellezza di Lanzarote». E poi mi ha fatto riflettere sulla questione del ritorno alle origini. Manrique viaggia; si forma altrove; a New York entra in contatto coi grandi artisti dell’epoca, Mirò e Beckmann solo per citarne un paio, ma poi ritorna. Sulla sua isola natia, una Itaca di lava e sabbia nera, dai suggestivi paesaggi quasi lunari, da difendere dai Proci-magnati del turismo; ma anche, forse, un ritorno alle origini lato sensu: un distacco dalla mondanità alla ricerca dei valori primordiali, di un’arte che si sposa col paesaggio e che, come in una vera storia d’amore, non vede una in subordine all’altro, o viceversa, ma sulla stessa lunghezza d’onda.

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Giulia Malighetti

23 anni, laureata a pieni voti in Lettere Classiche alla Statale di Milano, amante della grecità antica e moderna spera, un giorno, di poter coronare il suo sogno e di vivere in terra ellenica.

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