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Santa Estasi: “Agamennone”. Il ritorno dell’eroe

7 minuti di lettura

L’Agamennone di Eschilo è una tragedia di bagliori e ombre. Memorabile l’incipit: in alto, sopra la casa degli Atridi ormai da un anno la sentinella svolge all’addiaccio l’ingrato compito della veglia. Attende di dare l’allarme, appena vedrà il segnale di fuoco che, in una lunga catena festosa, di monte in monte, porterà la notizia della caduta di Troia e quindi del ritorno dell’eroe in patria. Eschilo ha immaginato una notte squarciata da raggi di luce, una staffetta di “echi” luminosi che annunciano la vittoria. Il regista Antonio Latella sceglie un effetto più familiare: a fendere il buio della sala è il faro alimentato a dinamo di una bicicletta e la sentinella si affanna sui pedali (Gianpaolo Pasqualino), alternando il suo monologo alla canzone Malarazza, che Domenico Modugno nel 1976 ha scritto a partire dalla poesia di un anonimo siciliano, un invito alla dignità e alla ribellione contro le angherie del potere, con il refrain «Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti».

Il Coro

Sul fondo, il lungo tavolo che era protagonista in Ifigenia in Aulide, dove era testimone di empietà (banchetto e sacrificio). Ora invece gli anziani argivi del Coro, poggiati a lunghi bastoni, occupano le sedie che però, per mostrare la differenza e il loro diverso ruolo, stanno sopra il tavolo: il Coro infatti è sopra le vicende, vede e commenta, e dunque la scelta è assai pregnante. Nei loro abiti neri recitano in ritmata sintonia la solenne Parodos della tragedia: un flusso lunghissimo di parole e accenti che sorprende perché nell’originale greco. Due personaggi in scena, Egisto (Emanuele Turetta) e Clitemnestra (Ilaria Matilde Vigna) cominciano a contorcersi e dimenarsi, feriti da quelle parole.

A rompere l’incantesimo, con ironia, è la battuta di Egisto: «Che cosa hanno detto?», interpretando la perplessità del pubblico, travolto dal greco antico. Clitemnestra allora recita la traduzione di quei versi difficili, pieni di allegorie, che rievocano l’empio sacrificio della vergine Ifigenia, ma sono anche gravidi di cupe profezie. All’improvviso, il lampo del celeberrimo sintagma pathei mathos (v.177), cioè «dal dolore viene la conoscenza».

L’atmosfera dovrebbe essere quella gioiosa della vittoria (annunciata dall’araldo, Isacco Venturini), ma le tinte sono inevitabilmente scure, nonostante la danza fra Egisto (in gonna e tacchi) e Clitemnestra. Infatti piomba di nuovo, solenne, un fiume di parole, questa volta in latino (il Primo Stasimo, nella versione latina del XVIII secolo), accompagnato da sequenze ritmiche di colpi di bastone a terra, cadenzate come in un perentorio codice Morse, mentre Egisto striscia fra loro e si aggrappa, quasi per capire ed entrare in quel linguaggio misterioso foriero sciagure.

La regina e la schiava

Sul tavolo sono rimaste due figure: l’imponente Agamennone (Leonardo Lidi) e in abito rosso la straniera Cassandra (Barbara Mattavelli), concubina del re e profetessa. Il comandante si dice più volte «stordito dai fantasmi» (gli amici perduti in guerra? la figlia sacrificata?). La retorica affettata di Clitemnestra è scopertamente iperbolica, mentre volteggia sul palco (spinta sulla sedia dallo stesso Agamennone) e l’omicidio si consuma nella forma simbolica di un bacio, a cui l’Atride si abbandona stanco, fino a sdraiarsi senza vita sul tavolo, che svolge quasi la funzione di un tavolo anatomico del potere sconfitto. Su di esso ora troneggiano le due poltrone di Egisto e Clitemnestra, una sorta di coniugi alla Macbeth: brindano sul cadavere, ma le loro risate sguaiate sono già segno di una fragilità pronta a spezzarsi.

© Brunella Giolivo

Fra i momenti più riusciti, segnaliamo il cammeo di Cassandra. La tragedia eschilea le affida versi di grande potenza icastica, perché grazie alla sua capacità profetica, mentre il dio Apollo la scuote, può vedere i delitti del passato, il massacro presente e futuro, una casa inondata di sangue. Il regista preferisce invece trasformare l’orrore in candore infantile. Quello che in Eschilo è urlo glossolalico, nella fatica di dire l’indicibile, qui assume la forma di una filastrocca: un sorriso imbarazzato e gentile stampato in viso. Cassandra-Mattavelli sussurra le sue visioni, come fossero sogni di una bambina, in un innocente ma simbolico gioco ai dadi.

Mentre Clitemnestra annuncia l’avvento del suo regno, di una violenza nuova, Cassandra pigola il suo ritornello «ototoi, i miei morti sono i tuoi», quasi a invitare la regina a un riconoscimento speculare, centrato sul femminile. Ma il braccio stretto al suo collo si stringe sempre di più. Cassandra comincia a balbettare, in una regressione al linguaggio perduto, alle sillabe essenziali che compongono l’inizio ma-ma.

Cifra caratteristica di questo episodio di Santa Estasi sembra essere la lingua: greco antico e latino ci avvolgono in volute misteriose. Cassandra torna alla lingua pre-razionale, Clitemnestra si chiude in una retorica ipocrita e poi in una razionalità tagliente già presaga della catena di eventi futuri: «La cosa è fatta. Essa è come è» sentenzia. Egisto invece, in un delirio di onnipotenza, grida contro i vecchi del Coro, rivendicando la forza della sua giovinezza, che decreta la fine del linguaggio, e ulula come i cani. Le ultime parole, quasi di compassione, sono di Agamennone, immerso in una vasca (quella dell’omicidio): «questa è l’ora della notte che annuncio il mio ritorno». Il grande eroe è morto, ma continuerà a “pesare” sulle vite di chi è rimasto.

 

Santa Estasi. Agamennone
da Eschilo – adattamento di Riccardo Baudino
regia di Antonio Latella
produzione ERT 2016
visto il  19 maggio 2018; replica: 26 maggio 2018 h 19.30, Piccolo Teatro Studio Melato, Milano

 

Gilda Tentorio

Grecia e teatro riempiono la mia vita e i miei studi.
Sono spazi fisici e dell'anima dove amo sempre tornare.

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