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smart working storia

Smart working d’altri tempi

Una specie di "smart working" esisteva già nelle campagne europee a partire dal quattordicesimo secolo. Era la pratica del putting-out system: In cosa consisteva, esattamente?

8 minuti di lettura

Le pareti in legno della casupola sono illuminate dalla luce tremolante del caminetto. Fuori l’aria è gelida e secca, nei campi ghiacciati non ci sarà nulla da fare per un altro mese. Tre bambini dormono su un pagliericcio, mentre un uomo e una donna siedono davanti al focolare. Mormorano una canzone popolare, le loro mani rese ruvide dai lavori agricoli manipolano rapide una matassa di lana grezza, ne traggono fili che pettinano per pulirli, li intrecciano insieme per farne un gomitolo più ordinato.
Qualcuno bussa alla porta. L’uomo si alza, si intabarra in un soprabito di panno, apre. Entra un altro uomo, vestito di abiti costosi: si vede che viene dalla città. I due lo accolgono di buon umore perché lo aspettavano, gli versano un bicchierino di acquavite, lo invitano a scaldarsi davanti al fuoco, scambiano chiacchiere di circostanza sull’itinerario che sta compiendo. Poi gli consegnano due ceste di lana già lavorata, lo aiutano a caricarle sul carretto trainato da un mulo che attende all’esterno. L’uomo lascia sul tavolo alcune monete d’argento, saluta e se ne va.

È una scena che in tante campagne europee si è ripetuta un’infinità di volte, almeno dal quattordicesimo secolo al diciottesimo secolo inoltrato (e in alcune aree anche più a lungo): si tratta della messa in pratica del “putting-out system” per gli storici dell’economia anglofoni, o “Verlagsystem” in area germanica, o infine “lavoro domestico” in Italia. Si tratta di un concetto molto semplice: il ricorso, da parte di mercanti con un capitale da far fruttare, a lavoratori che si occupassero di una o più fasi della manifattura di un prodotto – senza che questa fosse necessariamente la loro principale occupazione a tempo pieno – fornendo loro i materiali e gli strumenti necessari.

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Il Basso Medioevo e l’Età moderna videro lo sviluppo di un sistema economico protoindustriale, che conteneva cioè già alcuni tratti delle logiche di produzione che sarebbero entrate a pieno regime con la gigantesca rivoluzione avviata a metà Settecento in Gran Bretagna (quella delle immense fabbriche tessili, delle macchine a vapore, dei bambini lavoratori, di Charles Dickens, delle città sporche di fumo, dei primi sindacati). Una serie di cambiamenti economico-sociali, cominciati intorno all’anno Mille e accelerati dalla Peste del Trecento, avevano stravolto il funzionamento le catene produttive che andavano dal reperimento della materia prima alla vendita finale, al dettaglio e all’ingrosso.

Di pari passo cambiavano mode, tendenze e necessità: la gente, dai contadini ai re, aveva bisogno e voglia di tessuti, tradizionali e innovativi, e intere città che oggi consideriamo perle medievali o culle di rinascimenti devono tutta la loro fortuna alla tessitura. Proprio per rispondere all’elevata richiesta di tessuti dal resto d’Europa, nelle Fiandre e nell’Italia centro-settentrionale, i mercanti iniziarono a trovare manodopera economica e disponibile tra i sobborghi dei grandi centri produttivi e le località minori che li circondavano, specialmente nelle campagne. Qui tanti lavoratori avevano un impiego legato al ciclo delle stagioni, che lasciava intervalli di tempo libero da poter sfruttare per arrotondare guadagni spesso vicini alla sussistenza. Il mercante cittadino (alcuni storici si arrischiano già a chiamarlo imprenditore, un po’ in anticipo sui tempi) sceglieva di investire il suo capitale in materie prime e strumenti da fornire ai lavoratori, i quali avrebbero poi dato indietro il prodotto lavorato dopo un intervallo di tempo concordato; il pagamento avveniva a cottimo, spesso suddiviso: una parte alla consegna del materiale, il resto al ritiro del prodotto finito.

È evidente che questo sistema fosse estremamente funzionale, non solo perché permetteva di suddividere le fasi del lavoro in modo ottimale per il committente, ma anche per l’abbattimento dei costi dei salari; nelle campagne il lavoro avveniva al di fuori dell’orbita delle corporazioni di mestiere che nelle città permettevano di fare rete contro i “padroni”; inoltre, nei centri urbani i laboratori impiegavano operai che richiedevano stipendi più alti. In campagna questo tipo di lavoro era quasi sempre, come si accennava, un arrotondamento, un modo per impiegare momenti altrimenti improduttivi, e quindi c’era sempre a disposizione manodopera disposta ad accontentarsi di un pagamento meno cospicuo.

Il metodo, inaugurato dai mercanti della lana e di tessuti in generale, fiamminghi e toscani, fu presto imitato da moltissimi produttori in tutta l’Europa densa (la fascia di territorio economicamente dinamica e molto popolata che andava dalla Toscana alle coste fiamminghe): l’orologeria svizzera si basò sul Verlagsystem per tutta l’età moderna, così come le produzioni in legno lungo la valle del Reno. Del tramonto di questo sistema integrato si è già detto: quando nel diciottesimo secolo le innovazioni tecniche e logistiche della Rivoluzione industriale cominciarono a diffondersi a macchia di leopardo, si portarono via pian piano il lavoro domestico su larga scala. L’emorragia di capitale umano verso le città industriali divenne incontenibile e il cuore della produzione si stabilizzò definitivamente nei giganteschi centri urbani.

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Il fenomeno del putting-out system non è sterile e ormai legato solo al passato, ma permette alcune riflessioni: prima di tutto, il ciclo delle stagioni e il rispetto delle possibilità dell’uomo andavano tenuti in considerazione per forza di cose nell’organizzazione della produzione, ed esistevano limiti da non superare. Inoltre, le fonti sembrano dimostrare sempre più che in età preindustriale, nelle aree economicamente dinamiche, l’integrazione tra centri urbani, centri minori e campagne fosse virtuoso e permettesse spesso di garantire a molti standard di vita accettabili; questo grazie a integrazioni territoriali non sbilanciate solo a favore delle città e dell’urbanizzazione a tutti i costi. Non si vuole naturalmente affermare che la situazione dei lavoratori nel Medioevo e nella prima Modernità fosse migliore di oggi; ma tra gli elementi con cui una rinnovata storia del lavoro, militante e ben divulgata, può contribuire al dibattito sulla crisi della contemporaneità c’è la differente consapevolezza che anche i lavoratori stessi possedevano nei confronti di certe situazioni.

Anche nell’ambito lavorativo, dunque, riflettere consapevolmente su alcune soluzioni trovate in passato potrebbe fornire spunti, di fronte a un sistema economico che dimostra giorno dopo giorno i suoi punti più deboli e disumani.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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