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Sulla (non) brevità della vita: la saggezza come scappatoia

2 minuti di lettura

Sulla brevità della vita (titolo originale: De brevitate vitae) è un prontuario di istruzioni attinenti l’uso consapevole della propria vita. Era questo che preoccupava Seneca, filosofo e uomo politico romano (4-65 d.C.), autore del breve scritto che ha di meraviglioso la leggera prosa e la praticità dei consigli riportati.

Vissuto negli anni di massimo splendore della filosofia romana, Seneca era uno stoico. O meglio, praticava la filosofia stoica. Lo Stoicismo è un movimento filosofico nato ad Atene nel 300 a.C. (Zenone di Cizio viene ricordato come il fondatore); il suo fine è semplice: raggiungere la felicità. I mezzi per pervenire allo scopo non sono tuttavia altrettanto immediati. Come ha messo in luce il filosofo francese Pierre Hadot, lo stoicismo, e così  gran parte della filosofia antica, è essenzialmente esercizio di vita. A differenza di quanto comunemente si è soliti pensare – che la filosofia sia fatta di voli pindarici, astrazione e lontananza dalla realtà –  l’esempio di Seneca è utile a mettere in luce la concretezza (spesso perturbante) dei suoi insegnamenti.

La parola “esercizio” ha origini latine: è composta da ex, fuori, e arcere, allontanare. Ci si allontana, esercitandosi, dalla vita quotidiana, che è invece routine, disattenta e indaffarata, dove gli impegni sommergono il tempo da dedicare alla cura di sé.  Seneca chiama «affaccendati» gli uomini che non prestano attenzione al tempo sprecato, nelle inutili preoccupazioni che tuttavia paiono insormontabili. Notava Giacomo Leopardi che gli adulti trovano «il nulla nel tutto», rendendo cioè importante anche ciò che non lo è. E chiamano questo serietà (come diceva il Piccolo principe).

Busto in marmo di Seneca, conservato presso il museo del Prado di Madrid

La vita degli affaccendati se ne va «in un abisso, e come non serve a nulla cercare di riempire un vaso, se manca un fondo che riceva e tenga quello che ci metti, così non ha importanza la quantità di tempo concessa, se non c’è dove si depositi: passa attraverso animi lesionati e bucati».

L’attualità delle parole di Seneca sta proprio qui. Dietro alla figura dell’affaccendato ci nascondiamo un po’ tutti noi. Quanto il tempo sprecato in inutili preoccupazioni? Quanto nell’ansia di un’attesa, superata la quale si rende evidente la banalità della nostra inquietudine? La vita è breve e soprattutto scorre via veloce «come da un torrente rapido e non perenne». Ma l’uso scorretto che facciamo del nostro tempo passa inosservato, «organizzando la vita a spese della vita», da un momento all’altro ci si ritrova con il rimpianto di aver consumato il tempo, apparentemente scarso, che la natura ci ha concesso.

Ma c’è una via alternativa: la saggezza. Solo gli uomini che si dedicano alla saggezza, «solo essi vivono; né solo della loro vita sono attenti custodi: vi aggiungono ogni età; tutti gli anni alle loro spalle sono un loro acquisto. È la loro fatica a guidarci verso luminose conquiste, dissepolte dalle tenebre; non siamo esclusi da nessun secolo, a tutti abbiamo libero accesso, e, se ci garba di evadere dalle angustie della debolezza umana con la grandezza dello spirito, è molto il tempo per cui spaziare».

Saggezza, si badi, non è tanto conoscenza; astraendo un poco dall’idea di Seneca, saggezza è scovare ciò che rende felici, e coltivarlo. Che si tratti dei Limoni di Montale, della Luna di Leopardi, di un quadro, una persona, una notte stellata, saggezza è innanzitutto aggrapparsi a ciò che dà pace, lasciando che la vita si capovolga da breve ad eterna, nella bellezza di quanto provoca il sorriso.

Anche Orazio, quell’Orazio del carpe diem, ricordava che la vita non va sprecata. Carpere, in latino, ha il significato di “cogliere”. Cogliere un fiore, si dice oggi; ma il carpere latino si riferisce più specificatamente al tipo di azione simile allo staccare ad uno ad uno i petali di un fiore. Così Orazio, come Seneca, ci ricorda di cogliere quel fiore che è la vita, che in ogni secondo trova la sua primavera nelle piccole felicità che la saggezza ci procura; ed è nostra premura non lasciare appassire.

 

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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