Si è conclusa qualche giorno fa la mostra di Marco Pace presso la galleria Giuseppe Veniero Project di Palermo (Piazza Cassa di Risparmio 21 – Palermo). L’esposizione era stata inaugurata il 28 Giugno scorso con grande successo di pubblico. In mostra tele di piccole e medie dimensioni, tutte realizzate appositamente per l’evento.
La galleria di Giuseppe Veniero diventa ogni giorno di più un polo fondamentale per l’arte contemporanea in Sicilia, mostrando particolare attenzione per la pittura; non è un caso se Marco Pace (Lanciano 1977, vive e lavora a Firenze), uno dei più interessanti pittori “puri” tra quelli oggi attivi in Italia, già appartenente alla “scuderia” della galleria Bonelli, abbia scelto lo spazio di Veniero per la sua personale palermitana.
La pittura di Marco Pace è tutta giocata sulle analogie, sullo spaesamento, sul cortocircuito narrativo. La sua arte è dunque “poetica”, nel senso più profondo del termine: l’artista di Lanciano, infatti, impiega gli strumenti della migliore poesia giungendo a un risultato classicamente e decisamente pittorico.
Le sue tele sono popolate da figure enigmatiche, molto spesso animali, immersi in paesaggi stranianti. Un cane si accomoda su un divano (il divano Marilyn di Hans Hollein) in un edificio cadente del quale la natura sembra essersi riappropriata, una gigantesca mummia siede accanto al New Museum di New York, un gorilla osserva lo spettatore, con fare indagatore e minaccioso allo stesso tempo, seduto alla sommità di una scala all’interno di ciò che sembra un garage ormai in disuso: ecco alcune delle immagini che Marco Pace regala allo spettatore, invitandolo a una profonda (e, oggi più che mai, necessaria) riflessione sul rapporto che intercorre tra Uomo e Natura.
Nei dipinti in mostra a Palermo la natura sembra riappropriarsi del pianeta, con gli animali che si sostituiscono agli uomini, invadendo edifici in rovina.
Nella poetica dell’artista il fondamentale contrasto tra Natura e Cultura trova la sua apocalittica (e forse più giusta) conclusione: la sparizione dell’uomo.
Si avverte una sorta di inquieta e inquietante fascinazione per la potenza inarrestabile di una Natura che strappa all’uomo lo scettro del potere sul mondo e sferra il colpo decisivo per la definitiva capitolazione della Civiltà
Le scene visionarie di Pace non possono non ricordare l’orizzonte visivo e narrativo in cui si muove tutto quel filone cinematografico definito apocalittico, che ha spopolato nelle sale di tutto il mondo all’indomani dell’11 Settembre. Anche la letteratura più recente ha spesso ipotizzato scenari, più o meno fantasiosi, da fine del mondo. Nel 2007 usciva negli USA il libro Il mondo senza di noi di Alan Weisman. Al centro dell’opera, proprio come nelle tele di Marco Pace, si descriveva l’impatto che avrebbe avuto la natura sul pianeta dopo la scomparsa dell’uomo.
Il dominio umano è superato, l’uomo sconfitto non può far altro che riflettere sulle macerie e sulle rovine della Storia.
Da vero e proprio re (o piuttosto profeta) della rovina, Marco Pace celebra la fine dell’antropocentrismo e il trionfo di una Natura che appare indistruttibile e capace di rigenerarsi senza sosta.