Essere uomo

Avrei voluto essere un uomo

Presa di consapevolezza e denuncia delle differenze di genere: la storia di tre donne che hanno sfidato gli stereotipi per vivere senza barriere

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Nella lunga marcia della storia, la voce delle donne è spesso riecheggiata tra le pieghe delle convenzioni, soffocata dalle leggi non scritte di un mondo pensato da e per gli uomini. In ogni epoca, alcune figure femminili hanno trovato il coraggio — e talvolta l’amarezza — di ammettere che nascere uomo avrebbe semplificato il loro cammino, avrebbe spalancato porte chiuse, concesso libertà negate e riconoscimenti irraggiungibili. Non si trattava di un rifiuto della propria essenza, ma di una lucida constatazione: in un universo dove il genere determinava il destino, essere donna era una condanna alla limitazione. Dietro queste confessioni, sussurrate o gridate, si cela il ritratto di una società che per secoli ha guardato le donne non come individui completi, ma come presenze secondarie. Scoprire chi siano queste donne e cosa le abbia spinte a simili dichiarazioni significa non solo ripercorrere la storia dal loro punto di vista, ma anche tendere l’orecchio a una battaglia che, in fondo, parla ancora al nostro presente.

Diventare un uomo per governare il proprio destino: Christine de Pizan

Una delle voci che nel Medioevo ribadì con forza questa posizione fu certamente quella dell’intellettuale Christine de Pizan. Nata in Italia, a Venezia, ma naturalizzata francese fin dalla tenera età, venne educata alle lettere e alla cultura. Il padre, Tommaso da Pizzano, professore e astrologo alla corte del sovrano francese Carlo V, prese sul serio l’impegno di dare alla figlia una solida cultura. si impegnò a trasmettere alla sua unica figlia le sue conoscenze e investì sulla sua formazione culturale. Questa scommessa paterna avrebbe segnato il destino di Christine de Pizan, intellettuale e donna del Quattrocento, permettendole di diventare una delle voci più interessanti nel panorama culturale francese dell’epoca e le cui opere circolarono nelle corti di tutta Europa. Christine si sposò per amore con un brillante segretario e notaio della corte francese: Etien de Castel. Il loro fu un matrimonio felice, ma di breve durata poiché Etien morì prematuramente, lasciandola vedova e con la prole da crescere.

La vera fama di Christine, però, arrivò proprio quando dovette reinventarsi per non soccombere alle difficoltà che la vita le pose sul suo cammino. La vedovanza fu la soglia verso un nuovo mondo che Christine decise di varcare, per risolvere la delicata situazione finanziaria in cui si trovava, sfruttando l’istruzione ricevuta in dote e diventando una scrittrice professionista. In un’epoca in cui la maggior parte delle donne sapeva a malapena leggere, fu in grado di sfruttare le sue conoscenze e abilità letterarie per mantenere la sua famiglia e garantirsi un’autonomia non solo economica, ma anche sociale. Questo percorso però non fu privo di ostacoli: la sua condizione femminile pesava sulla sua professione e dovette scontrarsi con i pregiudizi di una donna intellettuale nella società medievale. Di fronte a questi ostacoli e a queste difficoltà, nella sua celebre opera La città delle Dame si trovò a riflettere ed evidenziare con rammarico la disparità di opportunità tra i sessi. In un’epoca che vedeva la donna sottomessa e peccatrice, si schierò apertamente contro le posizioni misogine di alcuni pensatori importanti, dando avvio all’acceso dibattito che è passato alla storia come la querelle de femmes.

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Vestire i panni di un uomo: il caso di Catalina de Erauso, la suora alfiere

Nella storia non ci sono state solo donne che hanno voluto polemizzare sulla situazione femminile e riflettere teoricamente sui privilegi che la condizione maschile avrebbe comportato, alcune decisero di abbracciare in tutto e per tutto la vita da uomo, anche i lati più rocamboleschi. Ne è un esempio la storia di Catalina de Erauso che per molti versi assume i tratti di un romanzo d’avventura.

Catalina de Erauso nacque nei Paesi baschi nel 1592, in una famiglia di antico lignaggio militare di San Sebastiàn, ma in un primo momento la sua vita trascorse all’ombra del chiostro del convento dove visse i primi anni della sua formazione. All’età di quindici anni, poco prima di prendere i voti, decise di fuggire e, per non farsi riconoscere, vestì i panni maschili, sotto lo pseudonimo di Alonso e poi di Francisco. Da Bilbao salpò verso il Nuovo Mondo come mozzo e poi trovò impiego come soldato. Militò sotto diversi capitani e, secondo alcune fonti, anche sotto il comando del fratello, che non l’avrebbe riconosciuta.

La sua condizione sotto copertura ci porterebbe a pensare che visse una vita nascosta, cercando di attirare il meno possibile l’attenzione, ma le testimonianze ci dimostrano il contrario. Non solo militare, ma anche assassina di circa dieci uomini, amante del gioco d’azzardo e una seduttrice senza scrupoli. Finì spesso nei guai per aver sedotto donne amanti di uomini importanti, o addirittura aver promesso di sposare qualcuna di loro, salvo poi defilarsi prima di essere scoperta. Ebbe un carattere arrogante, venne spesso coinvolta in cruenti litigi e fu proprio in questa occasione che il suo segreto venne alla luce. Fu coinvolta in una rissa e salvata per miracolo e, quando si cercò di curare le ferite, il suo segreto venne alla luce: non solo il sesso biologico, ma anche la sua verginità.

Dopo lo smascheramento, venne mandata in un convento in Perù a ristabilirsi ed espiare le proprie colpe. Ma la sua vicenda aveva già cominciato a circolare e Catalina era diventata una celebrità. Ottenuto il perdono e liberata, nel 1624 tornò in Spagna come uomo, con un nuovo nome: Antonio de Erauso. Durante il viaggio iniziò a scrivere o a dettare direttamente i testi che compongono le sue memorie. Dopo essere stata ricevuta dal re Filippo IV si recò in Italia, dove venne ricevuta da papa Urbano VIII, che le concesse la dispensa di vestirsi e firmarsi come un uomo.

La vicenda di Catalina di Erauso fu uno dei casi che fece più scalpore, ma ci dimostra come già all’epoca molte cercassero lo spazio necessario per affermare la propria individualità e allo stesso tempo come un tentativo di vivere la propria sessualità, in un’epoca in cui l’omossessualità veniva vista come una manifestazione del male.

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Essere uomo
John Opie, Mary Wollstonecraft (1797), National Portrait Gallery, Londra
Fonte: commons.m.wikimedia.org

Dirlo tra le righe: le parole di Mary Wollstonecraft

Il fatto che non lo avesse mai detto apertamente nei suoi scritti non vuol dire che non l’abbia mai pensato. Sicuramente questo è quello che vorrebbe testimoniare l’esperienza della filosofa e scrittrice britannica Mary Wollstonecraft, vissuta nel XVIII secolo. Generalmente meglio conosciuta come la madre della celebre scrittice Mary Shelley, anche Mary Wollstonecraft si scontrò con la dura realtà della sua condizione e fece i conti su quanto potesse essere limitante essere una donna. Nata nel 1759 a Londra in una famiglia disagiata, abbandonò la famiglia a vent’anni per guadagnarsi da vivere. Si impegnò per diventare colta, e fu pensatrice e scrittrice, tuttavia la sua formazione non arrivò attraverso la scuola ma grazie alla sua volontà e ad amicizie colte. Nelle pagine che scrisse emerge la sua padronanza della Bibbia, la conoscenza dei classici, di Shakespeare e di Milton.

Purtroppo, a causa della sua posizione sociale, le sue prospettive apparivano limitate: al più sarebbe potuta diventare governante o maestra di scuola, attività che praticò per un periodo, pur impegnandosi anche in traduzioni di testi importanti e non solo: collaborò anche con alcune riviste. In questi primi articoli dedicati all’educazione delle giovani donne, sebbene gli insegnamenti siano prevalentemente di galateo e cura della casa e della famiglia, emergono le sue opinioni sulla dignità dell’intelletto femminile. Tutto doveva partire dall’educazione e la ragione dell’asservimento della donna era da ricercare nello stato di ignoranza in cui veniva tenuta la donna e alla sua esclusione dalla vita civile.

Nel 1792, sempre più convinta che l’educazione fosse la chiave per la liberazione delle donne pubblicò la sua opera Vindication of the rights of woman, Rivendicazione dei diritti della donna. Il libro puntava il dito sull’educazione dell’epoca, che trascurava le donne. Sottolineò che:

Se le donne non sono uno sciame di frivole efemere, perché tenerle in un’ignoranza camuffata da innocenza? Gli uomini si lamentano, a buon diritto, delle follie e dei capricci del gentil sesso, e fanno dei nostri vizii abietti e delle nostre passioni ostinate oggetto di satira pungente. Osservate, rispondo io, la naturale conseguenza dell’ignoranza! L’intelletto che può fondare le sue basi solo sui pregiudizii sarà sempre instabile, e la corrente procederà con furia distruttiva se non vi sono barriere a frenarne la forza.

In un sistema educativo scritto da uomini che pensava di plasmare la donna ad un eterna fanciulla o ad un animale domestico, l’autrice riteneva che fosse fondamentale sottolineare come le donne non fossero inferiori intellettualmente rispetto al genere maschile e fosse necessario basarsi sun una nuova forma di educazione. Un’educazione per le donne in cui sottolineare il potenziale e la necessità di esprimere le proprie potenzialità.

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Le voci di queste donne, che nei secoli hanno sussurrato o gridato il desiderio di essere nate uomini, non sono semplici lamenti personali, ma testimonianze potenti di un sistema che per troppo tempo ha limitato l’esistenza femminile entro confini stretti e invisibili. Quelle parole, spesso amare, ma sempre lucide, non raccontano una resa, bensì una sfida: la consapevolezza di un’ingiustizia così radicata da spingere chi avrebbe potuto brillare ad immaginarsi diversa solo per essere libera. Oggi, rileggere quei pensieri significa riconoscere il cammino percorso e riflettere su quanto resta da fare. Perché il vero traguardo non sarà quando nessuna donna sentirà più il bisogno di desiderare di essere nata uomo, ma quando ogni essere umano — indipendentemente dal genere — potrà vivere senza barriere, limiti o concessioni. Solo allora queste voci potranno finalmente riposare.

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Eleonora Fioletti

Nata tra le nebbie della pianura bresciana, ma con la testa tra le cime delle montagne. Laureata in Filologia moderna, si è appassionata ai manoscritti polverosi e alle fonti storiche. Nel tempo libero colleziona auricolari annodati, segnalibri improbabili, eterni esprit de l’escalier, citazioni nerd e disneyane da usare in caso di necessità.

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