Two and the Machine è il nuovo disco interamente strumentale dei musicisti Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini, un progetto che mira ad indagare la relazione tra l’umano e l’artificiale, ponendo al centro il tema della creatività come specificità umana. Ne abbiamo parlato insieme a Gian Ranieri Bertoncini.
Il 18 maggio è uscito il vostro nuovo album, Two and The Machine. Cosa vi ha portato a trattare, in musica, un tema complesso come il rapporto tra l’essere umano e la macchina?
GRB: Il connubio uomo-macchina è sempre stato presente nella storia dell’umanità. La scoperta e l’utilizzo di utensili che permettano di agevolare le più svariate mansioni è parte indissolubilmente legata all’evolversi delle civiltà. L’era digitale ha fortemente amplificato questo status, aprendo possibilità che fino a qualche decennio fa erano solo fantasiose elucubrazioni fantascientifiche. Nel campo musicale, dai primi anni Ottanta del secolo scorso, con l’avvento del MIDI, le strade percorribili si sono moltiplicate a dismisura, aprendo scenari e possibilità pressoché infinite. Two and the Machine esplora alcuni di questi sentieri, cercando di instaurare un equilibrio in cui analogico e digitale dialoghino tra loro, sfruttando le suggestioni sonore create con l’ausilio del computer e innestandoci la casualità legata alla pratica improvvisativa. Il lavoro discografico rappresenta quindi una fotografia di uno di questi possibili percorsi, mutando la propria forma ogni qualvolta si eseguono i pezzi in situazioni live.
Nel mondo della musica, sono diversi gli artisti che hanno affrontato questo tema, dai Pink Floyd ai Radiohead. Avete avuto delle influenze particolari?
GRB: Sono davvero tanti gli artisti che nel corso degli anni hanno segnato il mio percorso musicale e ciò traspare evidentemente a livello compositivo nei pezzi che ho creato per Two and the Machine. Direi che ciò che mi ha più influenzato è stato l’uso del SUONO operato da alcuni artisti più che l’organizzazione musicale nelle sue componenti più classiche, ossia melodia-armonia-ritmo. Ho cercato di far tesoro dell’esperienza musicale con l’ascolto dei più svariati generi, essendo fermamente convinto che in ogni situazione ci sia sempre da imparare, elaborare e tradurre l’acquisito filtrandolo ed organizzandolo in base alla propria urgenza creativa e comunicativa.
Questo rapporto tra umano e macchina si riproduce all’interno di Two and The Machine, in cui i suoni della tromba, affidati a Michele Tedesco, e della batteria di Gian Ranieri Bertoncini, si fondono con le sonorità elettroniche dell’emettitore sonoro digitale. Come dialogano questi due aspetti nelle dodici tracce che compongono il disco?
GRB: In realtà è stato un processo naturale in quanto da moltissimo tempo mi occupo di elettronica oltre a suonare il mio strumento principale, che è la batteria. È evidente che al giorno d’oggi l’analogico e il digitale convivono in maniera paritaria nelle produzioni musicali nella quasi totalità dei generi. Nel nostro caso la macchina, con la sua camaleontica e immensa potenzialità, è stata la base da cui sono scaturiti i brani che ho composto, innestando su di essa parti scritte ed improvvisate dal duo. In altri termini è il suono generato artificialmente a diventare il perno attorno al quale ruota l’intero ecosistema, lasciando che i ruoli ricoperti dai musicisti percorrano, nelle parti improvvisate, percorsi ogni volta differenti. Con Michele è stato molto semplice mettere in atto questi propositi vista la sua indubbia capacità tecnica e creativa con il suo strumento, portandoci a lavorare con molta fluidità e soprattutto con una forte comunione di intenti.
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L’improvvisazione è un elemento che caratterizza il vostro album. Può essere intesa come la rappresentazione della creatività umana?
GRB: Assolutamente sì! Siamo entrambi musicisti che frequentano l’ambiente jazzistico, quindi è imprescindibile la pratica improvvisativa nella stesura dei pezzi. Ritengo che l’improvvisazione sia il livello più stimolante della vita musicale, dove convergono studio e creatività. A questo aggiungerei una mia particolare attrazione per la casualità degli eventi, che può portare ad aprire porte su scenari inaspettati ed intriganti. In altri termini, la possibilità di organizzare il caos e contemporaneamente destrutturare le rigide sicurezze acquisite razionalmente dall’intelletto attraversa la pratica strumentale e lo studio.
Il vostro è un progetto molto ambizioso, che, attraverso la musica, vuole invitare gli ascoltatori a riflettere sulle sfide e le contraddizioni intrinseche del mondo moderno. La seconda traccia, Plastic Noodles, si lega, infatti, al fenomeno dell’inquinamento e dell’impatto ambientale della plastica. La vostra può, quindi, essere un tipo di musica “impegnata”?
GRB: Francamente ritengo che non sia appropriato partire dall’idea che Two and the Machine si proponga come un gruppo “impegnato” nel senso stretto del termine. Partendo dal presupposto che la nostra musica è strumentale, ossia non si avvale della presenza di testi, mi è parso interessante veicolare attraverso di essa degli stati d’animo inerenti a problematiche che tragicamente ci coinvolgono costantemente nel nostro vivere quotidiano. È un piccolo apporto che lancia dei messaggi volti a sensibilizzare chi ci ascolta a soffermarsi su determinati argomenti e meditare sull’uso deleterio che l’uomo riesce ad attuare su cose che potenzialmente potrebbero aiutarci a migliorare la nostra esistenza. È l’invito a considerare e riflettere sul rovescio della medaglia, un suggerimento a migliorare i nostri comportamenti in modo da trarne un beneficio collettivo.
Avete già in mente nuovi progetti insieme?
GRB: Lapidariamente: creare e suonare! E non lasciarci sopraffare dall’Intelligenza Artificiale :-).
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