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Utopia e Sogno

6 minuti di lettura

“Continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi”. (V. Arrigoni)

A Vittorio, che ha sempre sognato

Credo nella speranza, credo nell’utopia, ma credo soprattutto in quello che siamo.
L’uomo non è diverso da ciò che lo circonda, ma allo stesso tempo se ne eleva, diventando umano, quindi crescendo in vista di quello che lo rende ciò che è: il prendersi cura di sé, del mondo che lo circonda.
L’essere umano deve difendere il suo simile lasciando che ognuno cresca libero e colmo di rispetto.
Non c’è una parola che possa toccare o definire davvero quello che la cura dell’uomo verso il proprio essere può fare, sia in vista della crescita persona che del proprio popolo, che è l’umanità tutta.
Crescere e coltivare il sé è necessario al fine di portare avanti le vite di tutti in somma grandezza, e vera libertà.
Coltivando noi stessi, quello che siamo – facendo sì che il bulbo divenga fiore – noi facciamo crescere in maniera armoniosa e vera il grande prato che è l’umanità. All’interno di questo crescono fiori e arbusti diversi, fili d’erba identici all’occhio spento, ma differenti all’occhio vivo. Ognuno è un universo in espansione, dalla nascita alla morte, attraverso questo grande cammino che è la vita.
Il diritto di ogni uomo è quello di ottenere rispetto e quindi di essere libero, e il suo primo dovere è quello di portare queste cose ad ogni altro essere umano. La guerra non è uno strumento che porta libertà e rispetto; annienta vite in favore di un silenzio che appare con le sembianze del rispetto e della libertà, ma che è guidato, o meglio, teleguidato dalle bombe che esplodono in ogni istante in favore di un dominio universale e unilaterale.
Il concetto di universale viene posto in crisi dall’uomo contemporaneo, in quanto questo termine non si schiera dalla parte della libertà, ma da quella del capitalismo irrispettoso dei diritti umani.
Ciò che l’Occidente porta con sé sono domini materiali di qualche cosa che materiale è solo in parte, cioè della vita.
L’Occidente annichila la vita ascoltando solamente il profondo e triste canto monotonale delle esplosioni.
Sono mosse attraverso uno spartito che è statico e non porta movimento, ma solamente conduce ad un finale al quale seguono, adlibitum, altri finali identici.

Eroi e martiri sono parole troppo occidentali, troppo americane, troppo capitalistiche, create per generare un business, un circolo ulteriore di denaro che porta nuovi capillari in cui il sangue verde del capitale può essere trasportato dal pulsare frenetico e irriverente della guerra.
Guerra è solo sinonimo di economia, ne è la prosecuzione; ne è l’esasperazione, l’esecuzione.
Il silenzio vuole essere rotto da risate e da canti, da sinceri sorrisi che troppo spesso vengono spenti sul nascere da tragedie che solo una parte di umanità vuole.
Il diritto alla vita va combattuto, va portato avanti e chiunque si faccia portatore di questo messaggio non seguirà il nome della guerra, quello della rivolta, della rivoluzione, del bene comune e dell’avvenire.
Le bandiere sono simboli vuoti, perché la guerra ha come destino l’unificazione dello stato mondiale sotto l’egida del simbolo verde. Il nuovo idolo viene innalzato a giustizia e necessità, quando, forse, la necessità vera è la vita, e la prosecuzione libera di questa.
Le bombe cadono e non colpiscono gli obiettivi militari, ma solamente civili. Il militare sceglie di mettersi sul crinale, il cittadino viene gettato su limite del burrone. Gli abitanti dei paesi attaccati vengono condotti sulla passerella come succedeva una volta sulle navi pirata: la salvezza è legata al caso, alla fortuna, che già ha abbandonato l’uomo da tempo perché anche questa può essere comprata. La vita non ha valore, ma è un valore, ed è l’unica parola che merita il termine universale nella sua accezione positiva.
Dobbiamo uscire dall’ignoranza che genera la nebbia del capitalismo ed entrare nella radura della conoscenza, così potremo trovare soluzioni e fondare finalmente Utopia, il luogo dove regna il rispetto, la libertà e il bene comune. Per fare questo bisogna istruire le masse e renderle popoli che vogliono avere una storia e far parte della storia dell’umanità. Un’unica famiglia in cui ognuno è se stesso, dove le differenze sono positive e costituiscono quello che siamo. Sogniamo forse, ma continuiamo a farlo liberamente, a favore della libertà. Solo ricordando e capendo chi è caduto per tutto questo possiamo compiere la storia umana, e portare a termine il lavoro e il viaggio di queste persone, non
eroi, ma persone che sognano, profondamente. Vince chi sogna e sogna chi diviene ciò che è, cioè uomo.

Restiamo umani.

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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