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«The Giver»: valore, dolore, colore

Cosa succede in una società perfetta dove si elimina il dolore? Avremo ancora le emozioni positive e il colore?

6 minuti di lettura

Ci sarà un giorno, in un’epoca lontanissima, una società ideale che finalmente sarà riuscita a realizzare il comunismo.

Tutti vivranno in casette a schiera circondate da stradine piane e praticelli, fontane, ponti e droni che volano al posto delle macchine. Tante bici tutte uguali solcheranno quelle viuzze, cavalcate da giovani che aspettano, nel giorno della scelta, che gli sia assegnato il proprio compito da svolgere nella comunità. Ogni compito è assegnato dal consiglio degli anziani in base alle attitudini dei ragazzi, controllati scrupolosamente grazie alle tante telecamere presenti in ogni angolo nascosto della città.

Più o meno questo sembra essere il prologo del libro scritto da Lois Lowry (qualcuno si ricorda i romanzi per ragazzi di Anastasia Krupnik? Sono suoi, da piccola ne andavo pazza).

The Giver. Ne è stato tratto un film che si può trovare adesso nelle sale. Per questo consiglio, a chi non lo ha ancora visto, di rimandare la lettura, anche se sarò breve e spoilererò il meno possibile. Non ho intenzione di recensire il film, ma di condividere con voi un dettaglio che mi ha colpita.

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In questo idilliaco contesto, in cui non esistono più dolori, sofferenze, diversità, in cui non c’è più nulla che non si possa prevedere né curare, si è perso qualcosa.
Quando esistono contrari ed estirpi il negativo, forse perderai anche il positivo. Togliendo il dolore si è persa anche la gioia, l’emozione, l’amore. Non c’è più il viscerale, una puntura toglie la sensibilità a qualsiasi tipo di emozione.
Tolto il problema della sopravvivenza, si è creato quello della vita. Del vivere. Qual è allora il valore della vita?
Il dolore ha un valore che, in qualche modo, regala qualcosa alla vita?

Strutturalmente abbiamo bisogno anche del negativo, per apprezzare la nostra esistenza e vivere un rapporto di intimità con essa. In questa società perfetta, ottenuta la tranquillità non c’è più niente. Non c’è più neanche il colore. Qualsiasi differenza è stata eliminata. Per questo tutta la prima parte del film è in scala di grigi. Le persone non sono in grado di percepire i colori, perché hanno perso le parole per descriverli e di conseguenza anche la capacità di vederli. Questo argomento mi fa formicolare il cervello dato che, per fare un esempio, c’è una popolazione che parla Dani, in Nuova Guinea, ai giorni nostri, che ha solo due nomi per i colori: uno per il Nero e i colori caldi, uno per il bianco e i colori freddi.

Così come i greci avevano due o tre nomi per i colori, e per il resto erano capaci di accostare il colore del mare a quello di un asino perché classificavano in base alla luminosità. Ma non avere i nomi significa non averne concetto e, quindi, non essere in grado di percepirne la differenza. Stesso discorso si può fare per le emozioni. Se non le hai, se non sai come chiamarle, se non te le insegnano, non hai neanche il modo di sentirle, di riconoscerle. Quando le parole diventano inutili, e cadono in disuso, si perde tutto quello che era legato al significato che suscitavano e al bagaglio d’informazioni che trasmettevano. Si perde un pezzo di realtà e di rapporto con il mondo. Se si cerca di eliminare le differenze, si appiattisce la nostra percezione della realtà.

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In questa società, in cui tendiamo a vite a quanto pare perfette, in cui ci sottoponiamo all’epilazione totale e tingiamo i nostri capelli, tiriamo su una palpebra calante o una riga sulla fronte, e guardiamo commedie romantiche per non alimentare le nostre nevrosi, forse stiamo perdendo qualcosa.

La capacità di vivere nel mondo e il mondo. La capacità di percepire il valore. Valore, che fa rima con colore e dolore.

Non dobbiamo mai dimenticare che, forse, la cosa importante nella vita, è anche saper capire quando va lasciata andare. Forse una vita è più vissuta se si comprende il valore del colore e del dolore, a confronto con una sopravvivenza anche lunga e tutto sommato serena, nutrita però di tentativi di contrastare lo sviluppo naturale della nostra esistenza.

Uscita dalla sala ho realizzato questo: che abbiamo bisogno di tutte le più dolorose differenze, per raggiungere l’intimità vera.
Azzurra come il cielo, intensa come il verde di una foglia e il rosso di una coccinella.

Silvia Lazzaris


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