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Yu Hua, «Il settimo giorno»: l’inferno dei vivi

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«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; ce n’è già uno, ed è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme» ammette Marco Polo alla fine delle Città invisibili (acquista) di Italo Calvino. Chi ha letto questa conclusione sa che Polo aggiunge anche che esistono due comportamenti davanti all’inferno. Il primo è il più facile e consiste nell’adattarsi all’inferno, fino a non vederlo più. Il secondo è più difficile, perché «esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Yu Hua avrà letto Calvino? Nel suo Il settimo giorno (acquista), di fatto, lo scrittore cinese opera una memoria delle parole di Polo. Con una variante: per riconoscere l’inferno dei vivi, è necessario osservarlo da morti.

Yu Hua
Fonte: www.fondazionemilano.eu

Voce narrante del romanzo è quella di un quarantenne, morto nell’incendio del ristorante in cui stava mangiando spaghetti, che una mattina si muove in una città avvolta nella nebbia e stranamente vuota. Yang Fei, questo il suo nome, si deve presentare alle nove, con mezz’ora di anticipo sulla propria cremazione, alla camera ardente. Lì riceverà un tagliando alfanumerico, A64, e dovrà aspettare il proprio turno su una delle sedie di plastica della sala d’attesa, perché le poltrone sono riservate ai vip. Uno di questi rivela di avere “unto i politici” per ottenere il permesso di farsi costruire una tomba che fosse la copia esatta del Monumento agli eroi del Popolo di Piazza Tian’anmen. Yang Fei, invece, scopre che lui una tomba non l’ha. Tra i vivi non gli è rimasto nessuno e in ogni caso, se anche qualcuno potesse prendersi cura di lui da morto, non potrebbe mai sostenere il costo, trentamila yuan, del metro quadro di terreno necessario per la sepoltura. Niente tomba, nessuna possibilità di riposare in pace. 

Iniziano così i sette giorni – periodo di tempo a disposizione di famiglia o amici per onorare il defunto – che danno il titolo al romanzo e durante i quali il protagonista vagabonda nelle terre di quelli che non hanno sepoltura e che, con l’andare del tempo, si scarnificano finché di loro non resta che lo scheletro. Ma, sorpresa, nelle lande desolate dell’aldilà c’è un Eden popolare, Campi Elisi plebei dove si raccolgono coloro che non sono stati amati dalla vita. Davanti agli occhi increduli di Yang Fei si apre una campagna con alberi carichi di frutti, ortaggi in quantità che crescono naturalmente e un corso d’acqua limpida che gorgoglia. Qui «i morti sono seduti in gruppi, come attorno a tanti tavoli», e fanno allegramente di tutto: «chi si avventa sul cibo, chi lo gusta con calma, chi chiacchiera, chi fuma e beve, chi alza il calice per brindare, chi si massaggia la pancia piena…». Un’Età dell’oro da fine settimana fuoriporta insomma, ma eterna. Un risarcimento post mortem, dopo le brutalità sopportate nel mondo dei vivi.

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Yang Fei, in questi sette giorni, incontrerà diversi personaggi di cui scopriremo la storia e soprattutto le cause che li hanno portati alla morte. Incontreremo Li Qing, ex moglie di Yang Fei che non ha mai smesso di amarlo; Li Yuezhen, mamma adottiva del protagonista; Liu Mei, una vicina di casa, morta suicida a causa di un inganno del fidanzato. In questo viaggio, però, Yang Fei è alla ricerca di una persona in particolare: il padre adottivo Yang Jinbiao, scomparso improvvisamente. Era ammalato di tumore e Yang Fei era certo che se ne fosse andato per non essere di peso al figlio. 

Yu Hua

Riuscirà infine Yang Fei a riposare in pace? Qualcuno, nell’inferno dei vivi, gli procurerà una tomba? L’autore ha imposto al narratore di non rivelare nulla dei giorni successivi. Ma ha voluto che la voce narrante si congedasse dal lettore con parole eloquenti, quelle che Yang Fei scambia con Wu Chao, fidanzato della suicida Liu Mei:    

«“Vai,” dico, “le foglie ti chiamano, i sassi ti sorridono e l’acqua del fiume ti saluta. Non ci sono ricchi né poveri, non esiste sofferenza né dolore. Niente vendetta, niente odio … I morti sono tutti uguali.”
“Che posto è?” 
“La terra di chi non ha sepoltura.”»     
   

Dopo Fugui, l’anziano contadino protagonista di Vivere (2012), depositario di una comprensione della vita conquistata faticosamente attraverso errori, povertà e lutti, Yu Hua utilizza l’esperienza paradossale di Yang Fei per condurre il lettore, in modo brutale ma realistico, nella Cina di oggi, che affronta grandi e rapidi cambiamenti il cui prezzo, sempre più spesso, è la perdita di valori tradizionali quali l’armonia, l’amore familiare e il reciproco rispetto. Continua così, romanzo dopo romanzo, l’affresco niente affatto oleografico che Yu Hua traccia del proprio Paese, delle sue contraddizioni e, nonostante tutto, della sua inesauribile vitalità.

Giuditta Bertoli

 

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