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25 aprile 1945

Ha ancora senso festeggiare il 25 aprile?

Per noi la risposta è sì. Ecco perché

8 minuti di lettura

Ogni anno la stessa polemica. Ogni 25 aprile, per 24 ore, si risvegliano i partigiani e i repubblichini da tastiera per azzuffarsi. Non sono diversi da quelli che il 17 marzo si risvegliano nostalgici dei Borbone o degli Asburgo per ricordarci che non si sentono italiani, per riproporre il solito revisionismo parziale della storia. Certo è, che almeno una volta nella vita, davanti a post social, proteste e malumori su questo “dannato” 25 aprile, siamo stati in molti a farci una domanda: ha ancora senso festeggiare il giorno della Liberazione? Per noi la risposta è sì, e proviamo a spiegarvi perché. 

Partiamo dalle cose semplici: il 25 aprile è una festa divisiva? 

Sì. Innanzitutto, per ragioni storiche. I partigiani – nella memoria collettiva simbolo della lotta al nazifascismo – commisero nella guerra civile compresa tra l’armistizio dell’8 settembre e la Liberazione anche efferatezze ed errori e furono molti gli italiani che salirono sul carro del vincitore pochi giorni prima del 25 aprile (niente di cui stupirsi, ahinoi). Come sottolineato dallo storico Gian Enrico Rusconi in Resistenza e postfascismo, la Resistenza, pur essendo entrata nel rituale e nel lessico della Repubblica, «rimane un episodio genericamente positivo ma psicologicamente, culturalmente, politicamente remoto», che fa fatica a consolidarsi tra le memorie collettive dei cittadini e che piuttosto è diventata oggetto di «memorie divise, inconciliate, antagoniste». Le ragioni di tale frammentarietà possono essere rintracciate già negli anni immediatamente successivi al 1945, che mostrarono un paese unito solo in apparenza e, viceversa, già vittima del giogo della Guerra Fredda che avrebbe escluso a partire dal 1947 i partiti socialisti e comunisti dai governi repubblicani. 

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Per queste e altre ragioni, il 25 aprile è stata definita dalla storica Cristina Cenci una festa “debole”, contrapposta a celebrazioni “forti” come il 14 luglio in Francia, che sono in grado di unire una nazione a prescindere da orientamenti e colori politici. È una festa debole non solo perché l’evento fondativo che celebra fu anche una guerra civile, ma soprattutto a causa della partitizzazione del sistema rituale, che l’ha resa a più riprese incapace di diventare espressione corale della nazione.

Sono tutte uguali le violenze?

L’elemento dell’uso della violenza è una delle argomentazioni chiave per chi considera il 25 aprile una “memoria divisiva”: ci si aggrappa (a torto o ragione) a una narrazione per cui dopo l’8 settembre 1843 gli animatori della Resistenza operarono in piena autonomia, incuranti delle leggi (e non-leggi) del martoriato stato italiano. Le violenze partigiane non possono però essere confuse con le violenze naziste o fasciste, perché partivano da presupposti ideologici diversi: la violenza del partigiano era un comportamento incoerente rispetto alla dottrina amante della libertà e democratica che stava alla base della Resistenza (un errore del sistema), mentre la violenza del fascista era coerente a una dottrina orgogliosamente violenta, liberticida e antidemocratica (il compimento esemplare del sistema) e quindi, anche se i comportamenti umani possono talvolta assomigliarsi, le idee rimangono (e devono rimanere) ben distinte.

Il 25 aprile, ieri come oggi

Non si possono ignorare i fatti più crudi della Resistenza. Se vogliamo parlare di guerra civile (e di guerra bisogna parlare) si sa, questa ha come suo fondamento il conflitto, spesso violento e destinato a finire nel sangue. Tutto vero – ed è importante affermarlo e ricordarlo – ma ciò non toglie il valore della celebrazione. Quella del 25 aprile è una data che appartiene di diritto al pantheon valoriale dell’Italia Repubblicana e ha segnato un momento di svolta per il nostro Paese.

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I motivi per continuare a ricordare il giorno della Liberazione sono tanti, specialmente in momenti fragili come quello che stiamo vivendo da oltre un anno: il 25 aprile sancisce l’esistenza di un modello democratico differente e ci rassicura sulla permanenza dei valori costitutivi della nostra società. È la festa della volontà di un popolo di combattere un regime corrotto, liberticida e tirannico, l’occupante e i suoi aguzzini, di spezzare le catene della dittatura e del fascismo. La festa delle idee, non degli uomini, il ricordo di un momento storico, un vero e proprio atto nazionale fondativo della nostra comunità. 

L’epilogo

Il 25 aprile 1945, il CLNAI proclamava l’insurrezione generale. Era l’epilogo di una storia, una storia di sangue, non una favoletta, una storia in cui spesso bene e male si confondono. Perché la guerra è stata stupri, saccheggi, violenze, impiccagioni, vendette private, fame e terrore mischiate ai più nobili ideali e passioni da cui è nato il nostro Paese. Ed è nostro dovere onorare ciò che è nato dal sangue di mezzo secolo devastante, onorare il regalo per cui si è versato questo sangue. La cosa peggiore che potremmo fare sarebbe ignorare, dimenticare, perché significherebbe rendere il sacrificio vano, il dolore privo di una direzione, e quindi davvero assurdo e crudele. 

Detto questo: ha ancora senso festeggiare il 25 aprile? La risposta, purtroppo e per fortuna, è sì. Purtroppo, perché, se ha senso, vuol dire che ne abbiamo ancora bisogno, che abbiamo ancora bisogno di imparare l’importanza della libertà, dei valori della democrazia, l’importanza di partecipare alla vita pubblica, la capacità di percepire l’esistenza della comunità oltre (e sopra) gli individui. Per fortuna perché ci ricorda da dove veniamo e ci racconta tanto sul ruolo della memoria, che se correttamente coltivata scaccia via i fantasmi del passato. 

Del resto, come sottolineato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, la Resistenza fu anzitutto una «rivolta morale» al nazifascismo, che «aveva lacerato, oltre ogni limite, il senso stesso di umanità inciso nella coscienza di ogni persona». In un certo senso, quindi, il contrasto è connaturato al 25 aprile, poiché si tratta di una festa che chiede a tutti di «esplicitare la propria scelta» in merito al fascismo e all’antifascismo.

Per queste ed altre ragioni, anche quest’anno, buon 25 aprile a tutti noi.

Andrea Potossi e Agnese Zappalà

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