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70 anni di Repubblica
e un’Italia da ricostruire

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I marò sono tornati a casa e chissà se ai turisti mancherà quel folkloristico striscione affisso sulla facciata della sede de Il Tempo in piazza Colonna a Roma. Anche Salvatore Girone ha lasciato la malvagia India per rientrare in Patria con tutti gli onori, atteso a Ciampino dai ministri della Difesa Roberta Pinotti e degli Esteri Paolo Gentiloni, oltre al capo di Stato Maggiore Claudio Graziano e all’ammiraglio e capo di Stato Maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi.

Trattati come eroi nonostante le vite di due pescatori “perse” in mare per cui i militari dichiararono un semplice dispiacere senza mai protestare la propria innocenza. Ignazio La Russa, esponente FdI ed ex ministro della difesa, avrebbe gradito che i marò sfilassero in pompa magna alla parata del 2 giugno e ci è voluta la compostezza degli affetti del padre di Girone a far sì che il partito di Meloni e Rampelli non utilizzasse ancora una volta i fucilieri come impettiti simboli elettorali («Ci aiuterebbe molto che politica e media non polemizzassero»). Il premier Matteo Renzi ha poi confermato l’assenza del marò alla festa delle Forze Armate, tirando in ballo la sobrietà che sempre meno par essere di casa nel circo politico della serva Italia che si prepara a celebrare i settant’anni di Repubblica e di voto alle donne navigando alla deriva tra populismi e contestate riforme elettorali.

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Al di là della sfilata di fanti, marinai, avieri eccetera lungo i Fori Imperiali di mussoliniana memoria, il 2 giugno di ogni anno è fotografia impietosa dell’Italia come Paese, un’occasione importante e amara per riflettere sulla Repubblica di oggi, figlia di un ieri che ha distrutto e stravolto il 1946, quando re Umberto posizionò la coda tra le gambe e iniziarono i lavori per la Costituente da cui nacque la Carta scritta da Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e riformata ora da Renzi e Maria Elena Boschi. Una Repubblica di malaffare e piccole fragilità, di convenienza e screzi di partito, una Repubblica Prima, Seconda e poi sempre peggio, imbellettata e esibita come una soubrette da Drive In sulla televisione commerciale sdoganata con conseguenze disastrose da quello che per vent’anni sarebbe stato anche il suo Primo Ministro.

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Scheda elettorale referendum 2 giugno 1946

Una Repubblica in cui tutti possono provare ma soprattutto provare a governare, in cui il salto di partito è diventato disciplina olimpica mista al calciomercato da bar dello sport, in cui un premier giovane, carismatico e spontaneo può fare lo sgambetto al predecessore di partito e lanciare hashtag virali come se la politica fosse un sottopancia televisivo trasferitosi sui social. Mentre il mondo torna ad essere diviso dai muri, il progetto Europa sta fallendo e l’onta del populismo cresce da Est a Ovest come uno tsunami, gli sciacalli della politica fanno disinformazione e spingono sul tasto dell’esasperazione che si accompagna all’ignoranza.

Mentre un governo spadroneggia con due pesi e due misure, l’opposizione dura e pura si trincera dietro il grido di onestà brandendo il “no” come vessillo della diversità politica che non crea però alcuna alternativa. Siamo il Paese delle promesse e delle parole svuotate, dove il refrain del “sono tutti uguali” passa dalla bocca dell’anziano deluso a quella dell’imprenditore arricchito, in un continuum gelatinoso i cui estremi non si vedono più, dove chi è contro a qualcosa è favorevole ad altro, senza sfumature di grigio nel mezzo a guidare paradossalmente ancora qualche coscienza critica.

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Il presidente della Repubblica Enrico De Nicola firma la costituzione italiana alla presenza di Alcide De Gasperi e Umberto Terracini, il 27 dicembre 1947 – Foto AP/LaPresse

In un discorso al Senato del 27 giugno 1957, Luigi Sturzo dichiarò che «la Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà». Dalla manomissione si è passati alla violenza e allo stravolgimento, in un diluvio culturale ed etico da quale non sarà facile uscire se non con uno scatto d’orgoglio e dignità. Non servono parate né passerelle stantie dal sapore convenzionale: sia 2 giugno tutto l’anno, ma come nel ’46.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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